carbon footprint

L’impronta di carbonio di una maglietta

Bere, mangiare, vestirsi sono le tre cose fondamentali che ci troviamo a fare ogni giorno prima di uscire da casa. Abbiamo già visto quali sono le impronte delle prime due, quindi non ci resta che tirare fuori gli scheletri dal nostro armadio. 

L’impronta di carbonio di una maglietta dipende da tantissimi fattori: la produzione dei materiali, il loro trasporto, la trasformazione, il nuovo trasporto verso il negozio, ma anche le emissioni dovute a lavaggio e stiraggio, e per finire lo smaltimento. Quanto utilizziamo un capo può influenzare molto la sua impronta di carbonio: se decido di tenere le magliette 3 anni, anziché 2, e di lavarle a bassa temperatura per non farle rovinare, allora avrò risparmiato al pianeta la produzione di una maglietta ogni 6 anni, oltre al minore costo energetico e ambientale legato all’uso.  Quelle emissioni risparmiate possono abbassare molto il conto finale. 

Ma ora passiamo a qualche numero. Una maglietta di cotone emette circa 2,2 kg di CO2.

Una maglietta in acrilico o altri materiali plastici, invece, ha una impronta più che doppia, e di circa 5 kg di CO2. Di base, comprando le prossime due magliette di cotone anziché in acrilico, potreste aggiungere un nuovo binge-watch di Game of Thrones al vostro conto senza sentirvi in colpa per le emissioni che causa.

è molto importante capire anche che una buona parte di queste emissioni viene causata da noi, ossia da quanto spesso laviamo e stiriamo ogni capo; la nostra compulsione per dei vestiti sempre pulitissimi potrebbe costare al clima più di quanto pensiamo, oltre a generare, nel caso dei materiali sintetici, la dispersione di microplastiche nell’ambiente

Quello dell’abbigliamento è un settore in cui c’è molto da fare per migliorare: nel 2015, solo l’uno per cento (1%!) dei prodotti d’abbigliamento veniva reintrodotto nella catena di produzione per essere riciclato (o come prodotto finale, o come materiale da trattare e riutilizzare per nuovi capi). Questo, oltre a risultare in una quantità enorme di rifiuti anche non riciclabili (quasi 40 tonnellate l’anno!), causa spreco di materiale e un’impronta di carbonio che potrebbe invece venire abbassata tramite riuso (prima) e riciclo (poi). 

Il commercio online ha cambiato alcune cose, smaterializzando fortemente il sistema di compravendita. Su duegradi abbiamo visto che comprare online non ha un effetto necessariamente negativo sulle emissioni (anche se lo ha sull’occupazione); se a questo seguisse un cambio nei consumi, con minori acquisti e un occhio alla qualità, si potrebbero risparmiare tonnellate di CO2 grazie a un mercato in cui ogni capo viene creato solo quando è venduto, e dunque grazie a alla mancata creazione di tutti quei prodotti “usa e getta” anche nell’ambito della moda. 

Per cui, se ci chiediamo come abbassare la nostra impronta di carbonio, conviene pensare a quanto ci importa avere vestiti di qualità, che però possano durare di più, piuttosto che altri che devono essere buttati dopo un anno perché già rovinati. Poi, pensare di dare nuova vita ai vestiti grazie ai negozi d’usato è una soluzione efficiente da due punti di vista: in molti luoghi d’Europa è così si continua a rinnovare il proprio guardaroba con un occhio all’ambiente e l’altro al portafogli. E in effetti non sembra davvero una cattiva idea.

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