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L’impronta di carbonio di un animale domestico

Al 2019, in Italia la metà della popolazione aveva almeno un animale domestico. I più quotati? Sorprendentemente gli uccelli (circa 13 milioni), seguiti da gatti (7.5 milioni) e cani (7 milioni). In tutto, 32 milioni di compagni animali ci aspettano, divertono, consolano ogni giorno. E in cambio? Il nostro amore, certo, ma anche qualcosa di più: una piccola impronta di carbonio da aggiungere alla nostra.

Calcolare quanto l’avere un animale domestico possa influire sulla nostra impronta di carbonio non è facile, perché i fattori da considerare nel conto assomigliano parzialmente a quelli riguardanti la vita umana: l’impronta di carbonio di un gatto che viaggia molto in aereo è di certo superiore a quella di un gatto “sedentario”, così come un pastore tedesco consuma più cibo di un pincher. In media, possiamo però dire che in un anno un cane emette tra 350 e 1400 kg di CO2 equivalente, mentre un gatto si ferma a valori approssimativi tra 150 e 250kg. Una buona percentuale di questa impronta dipende dalla dieta degli animali, in cui la carne è componente principale (e, in alcuni casi, indispensabile).

In termini comparativi, quindi, avere un cane è un po’ come bere una bottiglia di rosso al giorno, o andare a un concerto almeno una volta alla settimana. Per compensare la vita di un cane occorrerebbe piantare almeno una ventina di alberi nel nostro giardino, e farli crescere assieme a lui.
Pensare a come ridurre un’impronta simile, allora, non è certamente un’ingenuità.

La cosa positiva è che possiamo applicare agli animali molte delle considerazioni che facciamo per noi stessi: cibo più sostenibile, shampoo eco-compatibili, cambio di cellulare ogni 5 anni invece che 2 (scherziamo!). 

Il cibo, prima di ogni altra cosa, merita speciale attenzione: negli ultimi anni il comparto animale ha visto una considerevole crescita di cibo di alta qualità, che al pari di quello umano richiede acqua e terreno. Soprattutto nel caso degli animali carnivori, questo ha un chiaro effetto sull’impronta di carbonio, che cresce quanto più gli animali non si nutrono più di risultanze ma godono di una produzione alimentare dedicata. Per questo, tornare a un’alimentazione meno “umanizzata” potrebbe ridurre l’impatto del nostro animale domestico, così come una riduzione nelle quantità che, soprattutto da noi in occidente, sono spesso sproporzionate. Un esempio? Più della metà dei cani e gatti in america sono in sovrappeso o obesi

Per il resto, ogni azione che possa limitare l’impatto del nostro animale domestico è un passo avanti per la sostenibilità; ulteriore passo avanti è adottare animali domestici invece che comprarne, perché nel primo caso evitiamo di creare una domanda addizionale, e quindi una bocca da sfamare, nel mercato. Un mercato che, tra l’altro già viene caratterizzato da abbandoni. Ultima possibilità è quella di scegliere un animale con un impatto ambientale minore, come un roditore o un rettile; quale scusa migliore dell’ambiente per soddisfare il vostro segreto desiderio di un serpente domestico?
Insomma, quando pensiamo al nostro impatto sul pianeta possiamo anche includere nelle nostre ricerche di una vita più sostenibile i nostri animali domestici; tenendo comunque sempre a mente che anche il cane più grande emetterà almeno 5 volte meno di quanto non facciamo noi.

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