Le evoluzioni della società contemporanea hanno portato a una sempre maggiore ricerca di indipendenza: da contesti di continua (e, spesso, forzata) condivisione sociale a una casa propria, un’auto personale, un vivere slacciati da possibili dipendenze da altri.
Che questa indipendenza abbia un costo lo sappiamo tanto più dopo la pandemia, in cui la solitudine ha, per molti, significato l’insorgere o l’aggravarsi di sofferenze psicologiche. Del resto, la condivisione ha certamente difetti, come la mancanza di privacy e il controllo sociale, ma anche pregi, primo tra tutti la presenza di una “rete di protezione” utile in caso di necessità economiche o personali.
Ma qual’è, invece, la differenza tra l’impronta di carbonio di una vita condivisa e una vita indipendente? Proviamo a fare qualche calcolo.
Partiamo dalle case, dato che il settore delle costruzioni è uno dei più impattanti al mondo in termini di emissioni. Prima di tutto, condividere casa può ridurre molto la nostra impronta di carbonio. Questo non vale solo per la propria famiglia: ricerche sull’impatto ambientale dei divorzi e delle amicizie hanno mostrato come la presenza di persone nella stessa casa faccia abbassare le emissioni individuali e assolute. Il risparmio cresce ulteriormente se, invece di una casa indipendente come un villino, si sceglie di vivere in appartamenti condominiali: questi sono infatti generalmente più piccoli e, quindi, più efficienti energeticamente. Ovviamente, nei casi in cui i condomini siano molto vecchi, il discorso non tiene altrettanto bene a causa di elettrodomestici e isolamento termico poco efficienti; è per questo che l’Agenzia Internazionale per l’Energia inserisce l’efficientamento energetico tra le priorità assolute della lotta al cambiamento climatico.
Altro punto fondamentale è quello degli spostamenti: nel 2015 si stimava che in Europa le auto private rimanessero parcheggiate per il 92% del tempo.Nel frattempo, il numero delle auto immatricolate non ha fatto altro che crescere; abbastanza ironico per Paesi come l’Italia, in cui il calo demografico si fa sentire. Questo, comunque, vuol dire che la statistica è probabilmente peggiorata. Eppure, esistono soluzioni di condivisione per minimizzare quest’impronta: se immaginiamo che un’auto in car sharing possa essere utilizzata da 5 persone, a differenza di un’auto privata, otteniamo un risparmio di almeno 3.5 tonnellate di CO2 a persona. Ancora meglio sarebbe se l’auto fosse elettrica o se si utilizzasse mobilità alternativa, come i mezzi pubblici o le care tradizionali biciclette, quando possibile.
Ancora, riprendendo il carbon footprint di una maglietta possiamo comprendere bene come la condivisione dell’abbigliamento possa abbattere la nostra impronta in questo settore: solo per citare uno studio giapponese, riutilizzare 1 kg di magliette (circa 6-7 magliette) e 1 kg di jeans (2-3 paia) farebbe risparmiare circa 60 kg di co2 in totale. Sostanzialmente come tutelare un albero o due per un anno compensando le nostre emissioni.
E che dire dello spreco di cibo? Secondo dati da Gran Bretagna e Stati Uniti all’aumentare dei membri di un nucleo abitativo si ha una riduzione dello spreco di cibo pro capite, altro elemento importante nel minimizzare la nostra impronta sul pianeta.
Insomma, in un contesto in cui le pressioni a vederci soltanto come singoli crescono continuamente, le necessità climatiche richiedono invece una chiara inversione di tendenza: condividere un po’ di più ciò che abbiamo diminuirebbe significativamente la nostra impronta sul pianeta, garantendoci al tempo stesso un maggiore benessere psicologico e, chiaramente, economico.
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