OGM

Abbiamo bisogno degli OGM?

Abbiamo bisogno degli OGM?

In Italia si torna a parlare di OGM. Tra vecchi timori e nuovi entusiasmi, la relazione tra ingegneria genetica, crisi climatica e perdita di biodiversità resta complicata. 

di Viola Ducati

 

Ad aprile 2022 un’ampia coalizione di organizzazioni europee ha lanciato la campagna #IChooseGMOFree per chiedere ai politici nazionali e ai membri del Parlamento europeo di prendere posizione contro la deregolamentazione dei cosiddetti “nuovi OGM”. In Italia la raccolta firme è stata promossa dal Coordinamento Italia libera da OGM (C.I.L.O.), composto da 29 associazioni contadine, del biologico, ambientaliste e della società civile, tra cui Slow Food, FederBio e WWF.

 

Il timore comune è che l’Unione europea modifichi la propria posizione in materia di organismi geneticamente modificati, adottando una legislazione più permissiva nei confronti degli OGM ottenuti con le nuove tecniche di editing genomico. Nell’ultimo decennio, infatti, la ricerca scientifica ha fatto importanti passi avanti, mettendo a punto delle tecnologie che permettono di correggere il genoma di colture e animali in modo rapido e preciso, spesso senza dover inserire il DNA di altri organismi.

 

Tra le più promettenti ci sono la cisgenesi, una tecnica che prevede il trasferimento di porzioni di DNA tra due piante della stessa specie, dunque sessualmente compatibili, e l’editing del genoma, un insieme di tecniche che consentono di produrre modificazioni mirate identiche a quelle spontanee, accelerando la produzione di nuove varietà. Tra queste il sistema CRISPR/Cas9, valso alle scienziate Emmanuelle Charpentier e Jennifer A. Doudna il premio Nobel per la chimica 2020, sembra destinato a rivoluzionare il campo delle biotecnologie. 

 

Fig. 1: Editing del genoma con il sistema CRISPR-Cas9. Fonte: hhv-6foundation

 

I nuovi OGM sono OGM?

Per comprendere il dibattito sui nuovi OGM e sulle New Breeding Techniques (NBT), note in Italia anche come Tecniche di evoluzione assistita (TEA), bisogna innanzitutto chiarire che cosa sia un OGM. L’Unione europea ne dà una definizione tanto sintetica quanto ambigua nella Direttiva 2001/18/CE del 2001: “Un organismo, diverso da un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”.

 

L’articolo 2 della Direttiva precisa che la modificazione genetica in questione deve essere ottenuta mediante alcune tecniche specifiche. Dunque altri processi, comunque artificiali, non producono un OGM. L’approccio dell’UE è chiaro: gli organismi sono definiti in base al modo in cui sono stati ottenuti e non in base alle loro caratteristiche. Seguendo questo criterio, di conseguenza, anche gli organismi prodotti con tecniche di evoluzione assistita sono a tutti gli effetti OGM, disciplinati dalla Direttiva del 2001, benché potenzialmente identici a varietà ottenute per evoluzione naturale. La Corte europea di giustizia ha chiarito questo punto con la sentenza del 25 luglio 2018.

 

La decisione ha segnato una battuta d’arresto per la diffusione delle NBT nel territorio comunitario, visto che anche questi organismi, come gli OGM tradizionali, possono essere autorizzati solo dopo un’approfondita valutazione dei rischi per l’ambiente e per la salute umana e devono rispettare severi obblighi in materia di tracciabilità, etichettatura e monitoraggio. Ma la vicenda non si è fermata qui. Temendo di accumulare un ritardo competitivo rispetto ai Paesi con regolamentazioni più permissive, come gli Stati Uniti, il Brasile, l’Argentina, il Canada e l’India, la Commissione Europea ha condotto uno studio approfondito, arrivando alla conclusione che la Direttiva del 2001 “non è adatta allo scopo per alcune nuove tecniche genomiche e per i loro prodotti, e deve essere adattata al progresso scientifico e tecnologico”.

 

Gli autori dello studio, infatti, hanno evidenziato che “potrebbe non essere giustificato applicare livelli diversi di supervisione normativa a prodotti simili e con livelli di rischio simili, come nel caso delle piante coltivate in modo convenzionale e di quelle ottenute con alcune NBT”. Entro il 2023 la Commissione dovrà formulare una proposta di modifica o di mantenimento del regolamento attuale. L’Unione europea si allineerà agli altri grandi produttori agricoli o si atterrà al principio di precauzione che ne ha finora guidato le scelte?

 

Fig. 2: Mappa mondiale degli ettari coltivati con organismi geneticamente modificati (cartogramma di equalizzazione della densità). Il Nord e il Sud America rappresentano l’85% dell’agricoltura OGM globale (Paull & Hennig, 2019a). Fonte: Researchgate

 

Rispondere al cambiamento climatico con la genetica

Ma perché le NBT ci interessano tanto? Che cosa promettono? Secondo lo studio della Commissione europea sopra citato i prodotti ottenuti con queste tecniche hanno il potenziale di contribuire alla sostenibilità dei sistemi agroalimentari in linea con gli obiettivi del Green Deal europeo e della strategia Farm to Fork, finalizzata a  costruire un sistema alimentare equo, sano e rispettoso dell’ambiente. In un mondo sempre più densamente popolato e minacciato dagli impatti del cambiamento climatico, le varietà appositamente selezionate e migliorate per adattarsi alle mutate condizioni ambientali potrebbero giocare un ruolo cruciale.

 

I benefici delle biotecnologie, del resto, sono stati ampiamente riconosciuti in un simposio internazionale organizzato dalla FAO nel 2016: le tecnologie di manipolazione genetica sono in grado di migliorare l’efficienza delle risorse vegetali, sviluppare la resilienza ai cambiamenti climatici, aumentare la durata di conservazione di frutta e verdura, potenziare le rese, migliorare le qualità nutrizionali delle piante e trasformare i sistemi alimentari in modo che necessitino di meno input e abbiano un minore impatto ambientale.

 

Il caso delle viti geneticamente modificate è un chiaro esempio: in un settore particolarmente esposto al cambiamento climatico e al contempo con un alto impatto ambientale, la creazione di varietà resistenti alle malattie fungine ha permesso di eliminare l’uso dei fungicidi. Un risultato importante, tenendo conto che la viticoltura, occupando solo il 3,3% dei terreni agricoli in EU, impiega il 65% di tutti i fungicidi usati nel settore agricolo

 

Fig. 3: 10 varietà resistenti alle malattie fungine già brevettate, registrate e presenti sul mercato.

 

L’altra faccia della medaglia: gli impatti ambientali e sociali

Mentre le multinazionali dell’agroalimentare e l’industria agro-biotecnologica fanno pressione per deregolamentare i nuovi OGM, l’agricoltura contadina, il settore del biologico, le associazioni di consumatori e gli ambientalisti si battono perché la tracciabilità di questi prodotti continui ad essere assicurata. Il rischio è che i nuovi OGM entrino nel mercato europeo senza etichetta, visto che spesso sono del tutto indistinguibili dai prodotti ottenuti con tecniche tradizionali. Questi timori , tuttavia, sono condivisi anche da una parte delle istituzioni e del mondo della ricerca.

 

Aumentare le colture OGM, infatti, potrebbe ridurre la biodiversità vegetale e animale, e con essa la resilienza del settore agricolo. Proprio la FAO ha segnalato che dall’inizio del Novecento circa il 75% della diversità genetica vegetale è andata perduta perché gli agricoltori hanno abbandonato le varietà locali a favore di varietà geneticamente uniformi e ad alto rendimento. In Europa, dove solo una minoranza di agricoltori ha mantenuto le colture tradizionali adattate localmente, sdoganare le varietà geneticamente modificate potrebbe rendere l’intero settore più vulnerabile agli impatti del cambiamento climatico. Inoltre, il danno non è solo ambientale: introdurre gli OGM nel mercato europeo significherebbe concentrare ulteriormente il mercato della biodiversità nelle mani di pochi grandi produttori.

 

Oggi quattro aziende – Bayer, Syngenta fusa con ChemChina, Corteva e BASF – detengono circa il 67% delle sementi commerciali, formando un sostanziale oligopolio. La diffusione di varietà geneticamente modificate – e brevettate – non farebbe che rafforzare questa tendenza, perché solo le grandi multinazionali sono in grado di affrontare i costi associati all’introduzione di un nuovo OGM sul mercato – la stima è di 135 milioni di dollari, con un iter di otto anni. 

 

Con i nuovi OGM è in gioco non solo la libertà di scelta dei consumatori, ma anche l’autonomia degli agricoltori. Servono investimenti pubblici e tanta ricerca di base affinché i benefici del progresso biotecnologico siano trasparenti e condivisi.

 

Segui Duegradi su InstagramFacebookTelegramLinkedin e Twitter

 

Add a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *