Mitigare non basterà, meglio imparare ad adattarsi
Adattarsi vuol dire ridurre i rischi legati agli effetti nocivi del cambiamento climatico, e allo stesso tempo cercare di sfruttare al meglio le potenziali opportunità.
di Silvia Pugliese e Giulia Perotti
Era il 1960 quando il professore americano Charles D. Keeling dimostrava che il livello di CO2 nell’atmosfera stava effettivamente aumentando, e gli servirono altri dieci anni per domandarsi: “l’anidride carbonica prodotta dai combustibili fossili sta cambiando l’ambiente dell’uomo?”
50 anni dopo, conosciamo molto bene la risposta a questa domanda. A giugno e luglio 2022, l’Europa ha subito due ondate di caldo estremo e siccità. In Portogallo, il record nazionale di temperatura è stato battuto a luglio, quando la temperatura ha raggiunto i 47°C. Nel frattempo, nel Regno Unito, le temperature hanno superato per la prima volta i 40°C.
Come se non bastasse, un recente comunicato delle nazioni unite avverte che le concentrazioni di gas serra continuano a salire a livelli record. I tassi di emissione dei combustibili fossili sono ora al di sopra dei livelli pre-pandemici, dopo un calo temporaneo dovuto alle chiusure. L’ambizione degli impegni di riduzione delle emissioni per il 2030 deve essere sette volte superiore per essere in linea con l’obiettivo di +1.5°C rispetto ai livelli preindustriali degli accordi di Parigi.
Inutile girarci attorno: il riscaldamento globale nel XXI secolo è stimato (con il 66% di probabilità) a +2.8°C ipotizzando il mantenimento delle politiche attuali, o a +2.5°C se gli impegni nuovi o aggiornati saranno pienamente attuati. Questo è il prezzo della dipendenza dell’umanità dai combustibili fossili. È diventato ormai imperativo adattarsi il prima possibile ai cambiamenti climatici presenti e futuri.
Adattarsi…concretamente
Adattarsi vuol dire ridurre i rischi legati agli effetti nocivi del cambiamento climatico, e allo stesso tempo cercare di sfruttare al meglio le potenziali opportunità associate ai cambiamenti climatici.
La scienza dell’adattamento, tuttavia, è molto complessa. Il clima è un intricato puzzle di cause-effetto e di “tipping points”, ovvero punti di non ritorno. È per questo che scienza, istituzioni e governi devono collaborare e in questo frangente più che mai. È quello che cerca di fare il WASP (World Adaptation Science Program), forum internazionale composto da un gruppo di gestione, un comitato scientifico e un comitato politico e finanziario.
Il suo obiettivo è quello di garantire che le lacune di conoscenza sull’adattamento climatico siano colmate affinché chi prende le decisioni politiche possa avvalersi di tutti i dati e le conoscenze necessarie ad un adattamento efficace. Ma in che cosa consistono, concretamente, queste misure di adattamento? Nel suo ultimo report del 2022 sulla vulnerabilità e resilienza, il gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) ha identificato le tre grandi aree sulle quali la maggior parte dei paesi sta agendo.
Il primo gruppo riguarda oceani, terraferma ed ecosistemi: l’adattamento ai rischi e agli impatti legati all’acqua costituisce la maggior parte di tutti gli sforzi documentati sinora. L’innalzamento del livello del mare comporta l’aumento della frequenza e della magnitudo di eventi estremi a livello del mare. La combinazione di misure non strutturali, come i sistemi di allerta precoce, e strutturali, come gli argini, sono essenziali.
Per quanto riguarda la terraferma, la gestione dell’acqua nelle aziende agricole, il suo stoccaggio, la conservazione dell’umidità del suolo e l’irrigazione sono alcune delle risposte di adattamento più comuni. L’adattamento per le foreste naturali comprende misure di conservazione, protezione e ripristino, con un’attenzione particolare alla gestione dei rischi crescenti dovuti a parassiti, malattie e incendi.
Al secondo gruppo appartengono aree rurali, urbane e infrastrutture: i sistemi urbani sono luoghi critici, soprattutto se situati sulle coste. Quasi l’11% della popolazione globale – 896 milioni di persone – viveva all’interno delle zone costiere a bassa elevazione nel 2020. Le risposte all’innalzamento del livello del mare e al cedimento del terreno nelle città, negli insediamenti costieri e nelle piccole isole includono la protezione e la sistemazione di argini e il trasferimento anticipato e pianificato di cose e persone. Per le città che non si trovano sulle coste, agricoltura e silvicoltura urbane sono sempre più applicate.
Infine, vi è il settore energetico: le opzioni di adattamento più fattibili e intraprese finora comprendono la diversificazione della produzione energetica, anche con risorse energetiche rinnovabili e generazione di energia che può essere decentralizzata a seconda del contesto (ad esempio, eolica, solare, idroelettrica su piccola scala). Inoltre il miglioramento dell’efficienza energetica e dell’accumulo di energia può ridurre la vulnerabilità ai cambiamenti climatici, soprattutto nelle popolazioni rurali.
Resilienza a livello europeo e nazionale
Concentriamoci adesso sulla resilienza climatica a livello europeo. Già dal 2012, l’Agenzia europea dell’ambiente (AEA) dispone di una piattaforma di adattamento al clima sempre aggiornata, dove fornisce informazioni scientifiche, casi studio e supporto su come adattarsi alle mutevoli condizioni climatiche. In aggiunta, il Green Deal europeo, adottato nel giugno 2021, stabilisce un obiettivo vincolante di neutralità climatica nell’Unione Europea entro il 2050, per perseguire l’obiettivo di temperatura a lungo termine stabilito negli accordi di Parigi. Il Green Deal include anche la strategia dell’UE per la biodiversità per il 2030, che prevede, tra le altre cose, di piantare almeno 3 miliardi di alberi e ripristinare almeno 25.000 km di fiumi in uno stato di libero scorrimento entro il 2030.
Una delle aree più vulnerabili d’Europa è proprio l’Italia. Difatti la nostra penisola è ad alto rischio climatico a causa della maggiore frequenza e intensità di eventi estremi. Questi eventi possono includere inondazioni, ondate di calore e siccità. Inoltre, nelle zone costiere dell’Italia, l’innalzamento del livello del mare e il fenomeno del cedimento (diminuzione del livello del suolo) stanno causando l’erosione costiera e la possibile salinizzazione delle risorse idriche.
Per questo motivo, nel 2012 l’Italia ha avviato un processo nazionale di adattamento per affrontare gli effetti del riscaldamento globale. Questo processo, noto come Strategia nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, è risultato in tre documenti stilati nel 2014, che forniscono indicazioni per gli interventi di adattamento delle aree urbane, delle risorse idriche e di due aree speciali, quali l’area alpina e appenninica e il distretto idrografico padano. A quanto pare, però, dopo ben otto anni, il piano non è stato ancora approvato, né include attualmente una pianificazione finanziaria.
È ovvio quindi che in Italia c’è ancora moltissimo lavoro da fare. Questo, tuttavia, non ha fermato le realtà regionali e locali. A livello urbano, cominciano ad essere molte le iniziative messe in pratica per fronteggiare il cambiamento climatico. Alcuni comuni, come quelli di Torino, Ancona e Bologna, hanno già approvato il proprio “Piano di Resilienza Climatica”, in cui tra i punti fondamentali vi sono cercare di ridurre il manifestarsi di fenomeni critici, adattare l’ambiente urbano e i servizi per gestire eventuali emergenze e sviluppare una cultura del rischio climatico nei cittadini.
Un esempio di resilienza che sfrutta al meglio le potenziali opportunità associate ai cambiamenti climatici viene dal sud. I canali artificiali di Ugento (in provincia di Lecce) vengono ogni anno ostruiti da circa 35000 m3 di Posidonia, una pianta acquatica tipica del Mediterraneo, che cresce in maniera sproporzionata per via dei cambiamenti climatici e del riscaldamento della superficie terrestre. Invece che lasciarlo un problema, si è deciso di adoperare la biomassa fogliare per ricostruire e proteggere i cordoni dunali messi a protezione della zona costiera, col tempo degradati per cause naturali e antropiche. Questo ha consentito di preservare le spiagge in inverno e di mantenere la principale attività economica locale in estate, vale a dire il turismo. Difatti, le foglie di Posidonia controllano l’erosione, ripristinano la vegetazione delle dune e forniscono l’habitat per una varietà di organismi.
In attesa di un piano di resilienza a livello nazionale, non ci resta che sperare che queste sporadiche quanto intraprendenti iniziative locali aumentino di numero e tutelino il nostro territorio dagli incombenti effetti del cambiamento climatico.
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