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L’Antartide ha superato il “punto di non ritorno”?

L’Antartide ha superato il “punto di non ritorno”?

A causa dell’aumento della temperatura globale la calotta glaciale antartica si sta destabilizzando, a tal punto che si comincia a discutere se il “punto di non ritorno” sia stato già superato in alcune sue aree.

di Luca Famooss Paolini

Lo sapevate che sul pianeta Terra esiste un continente quasi completamente disabitato, ricoperto interamente da ghiaccio spesso in media 2 km, dove le temperature possono raggiungere anche 100°C sotto lo zero e dove è facile registrare raffiche di vento gelido tra 100-300 km/h. Di cosa stiamo parlando? 

 

Ebbene, stiamo parlando dell’Antartide. La presenza di questo continente all’interno del sistema Terra è così rilevante che la sua recente risposta al cambiamento climatico sta facendo preoccupare (e non poco) la comunità scientifica. Sembrerebbe infatti che la calotta glaciale antartica si stia destabilizzando a causa dell’innalzamento della temperatura globale, a tal punto che si comincia a discutere se il “punto di non ritorno” sia stato già superato in alcune sue aree.

 

Vediamo di capire perché l’Antartide è così sensibile ai cambiamenti climatici e di vedere qualche dato sulla sua attuale condizione.

 

Fenomeni di instabilità

La “calotta glaciale” è uno strato permanente di ghiaccio che ricopre un’intera piattaforma continentale (vale a dire un’area maggiore di 50.000 km²) e per questo motivo non va confusa con un ghiacciaio, che risulta invece molto più piccolo. Per farvi capire, nel mondo esistono solo due calotte glaciali: la calotta glaciale della Groenlandia e la calotta glaciale antartica.

 

Tralasciando per un attimo la calotta glaciale della Groenlandia (di cui parleremo in un prossimo articolo), il ghiaccio che costituisce la calotta glaciale antartica scorre continuamente dal continente verso il mare e, una volta giunto sulla costa, scivola sul fondo oceanico, formando delle magnificenti piattaforme di ghiaccio galleggiante. Queste piattaforme sono particolarmente importanti perché “frenano” il ghiaccio proveniente dalla terra ferma, regolando quindi il flusso verso il mare aperto (fenomeno del “buttressing” in inglese).

 

Ebbene, in una condizione di “stabilità” la massa di ghiaccio accumulata dallo calotta glaciale (attraverso le precipitazioni nevose) e quella rilasciata in mare (attraverso il distaccamento di iceberg e lo scioglimento delle piattaforme galleggianti) si eguagliano; contrariamente, in una condizione di “instabilità”, una prevale sull’altra, inducendo l’espansione o la retrocessione della calotta glaciale. In questo contesto, l’attuale aumento della temperatura globale sta creando delle condizioni di instabilità dinamica per alcune porzioni di calotta glaciale.

 

I fenomeni di instabilità più importanti sono essenzialmente due. Il primo viene definito “instabilità della calotta glaciale marina” (in inglese “marine ice sheet instability”) e si verifica a causa dell’aumento delle temperature oceaniche. Un oceano più caldo, infatti, intensifica lo scioglimento delle piattaforme galleggianti nella loro parte sommersa, riducendo l’azione frenante esercitata sul ghiaccio a monte. Di conseguenza il flusso di ghiaccio verso il mare aumenta e la calotta glaciale retrocede.

In alcune circostanze particolari la retrocessione può spingere il confine a terra della calotta, chiamato “linea di galleggiamento”, sopra un fondo roccioso che pende verso l’interno del continente, cosa che aumenta ancora di più il flusso di ghiaccio. Si instaura quindi un “circolo vizioso di retroazioni”, in grado di amplificare l’effetto dell’aumento delle temperature oceaniche e di autoalimentarsi: temperatura oceanica più alta, flusso di ghiaccio maggiore; flusso maggiore, linea di galleggiamento retrocessa; linea retrocessa, flusso maggiore; flusso maggiore, linea ancora più retrocessa; e così via.

 

L’altro fenomeno di instabilità è chiamato “instabilità delle cliff marine” (“marine ice cliff instability” in inglese). In questo caso è il surriscaldamento atmosferico ad agire sulle piattaforme galleggianti, sciogliendone in parte la superficie superiore. Si creano così delle pozze di acqua che, con il tempo, si infiltra all’interno delle pareti verticali di ghiaccio, determinandone la fratturazione e quindi la rottura. L’effetto diretto è, come prima, un minor contenimento del ghiaccio, l’aumento del suo flusso verso mare e la retrocessione della calotta glaciale. 

 

 

Quanto ghiaccio ha perso l’Antartide?

Secondo stime molto recenti riportate dall’IPCC, la calotta glaciale antartica avrebbe perso una massa di ghiaccio pari a circa 2500 Gt dal 1992 al 2016, con un’impennata considerevole negli ultimi anni: si è infatti passati da una perdita media di 51 Gt all’anno tra il 1992 e il 2001 a una perdita media di 199 Gt all’anno tra il 2012 e il 2016. Questi dati diventano ancora più allarmanti se si considera che la totalità della perdita di ghiaccio si è registrata nella porzione dell’Antartide Occidentale. Questa porzione è infatti quasi interamente poggiata su un fondo roccioso al di sotto del livello del mare (anche 2000 m) e risulta quindi particolarmente sensibile al riscaldamento globale e soggetta ai processi di instabilità descritti sopra. 

 

Nello specifico le zone maggiormente colpite sono state la porzione della calotta glaciale nel mare di Amundsen (circa 112 Gt all’anno tra il 2003 e il 2013) e nella Penisola Antartica (28-31 Gt all’anno tra il 2003 e il 2013). Giusto per fare un esempio, il ghiacciaio di Pine Island nel mare di Amundsen ha destato particolare attenzione perché, tra il 2017 e il 2020, ha incrementato la sua velocità verso il mare di ben il 12%, con un ritiro della piattaforma di ghiaccio di circa 19 km. Per alcuni scienziati questo ghiacciaio potrebbe superare a breve (se non lo ha già fatto) il “punto di non ritorno”, determinando il collasso di intere porzioni dell’Antartide Occidentale.

 

Al contrario, l’Antartide Orientale sembrerebbe essersi mantenuta abbastanza stabile, con un leggero incremento della massa di ghiaccio di circa 15-18 Gt all’anno tra il 1992 e il 2016. Questo incremento è stato dovuto all’aumento delle precipitazioni nevose all’interno del continente, che hanno controbilanciato la perdita di massa di alcuni ghiacciai costieri (ad esempio quello di Totten).

 

 

Ci dovrebbe importare…eccome!

Ma perché mai dovremmo preoccuparci di un continente così lontano da noi e per di più neanche tanto attraente per le vacanze? La risposta è presto detta! Il contributo dell’Antartide all’innalzamento del livello medio del mare per anno è passato da 0,29 mm dal 1993 al 2015 a 0,43 mm dal 2006 al 2015, vale a dire il 12% dell’innalzamento su scala globale nello stesso periodo (3,58 mm dal 2006 al 2015). E per ora hanno ceduto “solamente” porzioni dell’Antartide Occidentale “molto piccole” se paragonate alla sua grandezza totale. Se per assurdo ci immaginassimo un collasso improvviso di tutta l’Antartide Occidentale, sapete di quanto si innalzerebbe il livello del mare su scala globale? 3,2 m

 

Inoltre gli scienziati temono che l’immissione di tutto questo ghiaccio in mare (ovvero acqua dolce) potrebbe avere seri impatti sulla circolazione oceanica globale. Difatti la riduzione della salinità delle correnti vicino l’Antartide, unito all’aumento delle temperature oceaniche, sta riducendo la formazione dell’acqua fredda e densa che scorre nelle profondità oceaniche, con potenziali effetti sulla Circolazione Meridionale Capovolta su scala globale (vi rimandiamo al nostro articolo per rinfrescare la memoria).

 

Infine la retrocessione della calotta glaciale e delle piattaforme galleggianti sta rendendo disponibili aree marine e tratti di costa prima inaccessibili, con profondi impatti sull’ecosistema Antartico. Ad esempio la scomparsa del ghiaccio in mare ha comportato la riduzione della popolazione dei krill, piccoli organismi invertebrati che compongono lo zooplancton, mettendo sotto pressione alcune specie marine di cui il krill è cibo primario (pinguini, pesci, balene e foche).

 

Conclusione

Beh…questi dati parlano da soli e seppur siano solo un altro dei vari esempi dell’imponenza dei cambiamenti climatici in atto, dovrebbero destare particolare preoccupazione data la loro intrinseca irreversibilità. Qualora avessimo effettivamente la “fortuna” di essere spettatori di un collasso dell’Antartide Occidentale, potremmo dover attendere secoli (anzi, millenni) prima che l’Antartide ritorni allo stato attuale. Questo scenario, data la sua gravità e data la sua possibilità di accadimento, non penso richieda molte altre parole.

 

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