Arte e cambiamento climatico

Come il cambiamento climatico influenza l’arte

Come il cambiamento climatico influenza l’arte

L’arte visiva e sensoriale è inevitabilmente toccata dalla crisi climatica, il problema più determinante di una generazione. E ha la capacità di trasmetterne l’urgenza.

in copertina: Climate 04 – Sea Level Rise, Andreco, 2017

 

Per il debutto della serie dei nostri articoli all’incrocio tra la crisi climatica e le Arti abbiamo preso le mosse dall’Architettura. Come spiegato nel primo articolo, questa serie non vuole esaurire il dialogo tra arte e CC facendo una critica sistematica delle opere sul tema, ma essere un esercizio di riflessione rispetto a come l’arte si approccia alla questione. Forti della convinzione che categorizzare realtà complesse sotto etichette generali sia virtù degli esperti, invece che passare in rassegna consequenzialmente la Pittura, la Scultura e così via, ci incuriosisce esplorare i modi differenti e sempre originali con cui gli artisti provenienti dalle diverse categorie di arti visive e sensoriali abbiano espresso nelle loro opere, installazioni ed esibizioni l’influenza della crisi climatica. Permetteteci, quindi, di cancellare i confini delle definizioni e qui approcciarci all’arte nel senso più lato del termine. 

 

L’arte visiva o sensoriale, di cui si può fare esperienza fisica, a differenza della scienza, dei dati, delle scienze sociali, dei fatti, ha il potere di fare eco alle sfide dell’umanità facendo leva sulla nostra inconsapevolezza emotiva. L’Arte ha anche il potenziale di cambiare il modo in cui pensiamo repentinamente, di mutare plasticamente la prospettiva da cui osserviamo un problema, di aprire i nostri occhi e di ispirare azioni tangibili. L’Arte ha la capacità di trasmettere urgenza. E dunque, in un’ epoca di emergenza climatica e crisi sistemica innumerevoli artisti, quali cittadini del mondo, sono inevitabilmente toccati dal problema più determinante di una generazione.

 

L’arte del cambiamento climatico

Esperti del settore la definiscono addirittura Arte del Cambiamento Climatico: nel 2005 l’attivista Bill McKibben lancia un appello alla comunità artistica globale per fare in modo di arrivare all’“altro” lato del nostro cervello, poiché la comprensione intellettiva della crisi climatica non si era dimostrata sufficiente. C’era bisogno di immaginazione, era necessario chiamare in gioco gli artisti.  

 

Nel 2015, in occasione della COP di Parigi, la stessa UNFCC finanziò l’iniziativa Artists 4 Climate Paris 2015, nella quale artisti da tutto il mondo diedero il proprio contributo per ridefinire la nostra relazione con il Pianeta. Fu in questo frangente che Olafur Eliasson realizzò l’opera Ice Watch, in collaborazione con il geologo Minik Rosing, comprendente 12 pezzi di ghiaccio glaciale estratti dal fiordo di Nuuk in Groenlandia, disposti in cerchio fuori dalla piazza del Panthéon. Definito come “bellissimo, inquietante, monumento morente”, è una di quelle installazioni che non si dimenticano (n.d.r.: confermo, la mia università del tempo vi si affacciava ed era uno spettacolo straziante).

 

Ice Watch, Olafur Eliasson, 2015 

 

Sulla stessa lunghezza d’onda, Deanna Witman ha raccolto per oltre 15 anni immagini satellitari di paesaggi ghiacciati per testimoniare il mutamento del clima, stampandole su carta salata in modo che anche l’opera stessa scomparisse se esposta alla luce solare (Melt). 

 

Melt, Deanna Witman. 

 

La stessa artista ha anche lavorato alla Guida per la perdita e il dolore nell’Antropocene, che affronta il tema del cambiamento climatico e degli impatti personali e sulla comunità associati al “dolore ecologico”. 

 

C’è poi chi cerca di catturare l’impatto dell’attività umana e del settore dei trasporti in una fotografia aerea dell’intricata autostrada di Los Angeles come Ed Burtynsky (Highway #1, 2003). Fun (sad) fact: il centro della città di Siena, casa per 30.000 persone circa, ha all’incirca le stesse dimensioni di questo tipo di svincolo autostradale.

 

Highway #1,  Ed Burtynsky, 2003. 

 

O chi racconta del contributo del cambiamento climatico all’estinzione di massa dipingendo un rinoceronte ad acquerello con all’interno la rappresentazione di specie in via di estinzione o estinte, come Laura Ball (Growing Pains, 2010).

 

Growing Pains, Laura Ball, 2010

 

Alcuni, quali Lori Nix (Beauty Shop, 2007) e il collettivo di artisti Superflex (It’s not the end of the world, 2019; Flooded McDonald’s, 2008), giocano a ricreare scene di interni simulando che un evento meteorologico estremo vi si sia abbattuto con conseguenze catastrofiche; altri lo fanno all’aperto (Alexis Rockman, Manifest Destiny, 2004); altri ancora si immaginano città del futuro ambientate nel futuro post-CC come il duo Thukral e Tagra (Dominius Aeiris, XX).

 

It’s not the end of the world, Superflex, 2019

 

Beauty Shop, Lori Nix, 2007

 

Flooded McDonald’s, Superflex, 2008

 

A detta di storici e ricercatori dell’arte, dagli anni 2000 la produzione artistica riguardante il cambiamento climatico è aumentata, proporzionalmente alla sensibilitá pubblica al tema. L’arte sembra dividersi tra chi criticamente cerca di denunciare una situazione di urgenza climatica e necessitá di agire, con lo sguardo rivolto alle catastrofi potenziali dell’avvenire, e chi fa un salto nel futuro e descrive la desolazione di un Pianeta in cui si è scelto di non contrastare la crisi climatica. 

 

L’arte e la scienza

L’arte del cambiamento climatico spesso incontra anche la scienza: nel 2007 Eve Mosher disegnò una linea blu ad indicare l’alta marea in un campo sportivo vicino a Manhattan (NY) per segnare le aree che sarebbero state inondate negli anni a venire a causa del CC. 

 

HighWaterLine, Eva Mosher, 2007

 

Nel 2015, sempre utilizzando delle linee, lo scienziato marino Joan Sheldon realizzó una sciarpa che illustra la temperatura annuale degli ultimi quattro secoli. E, ancora, nel 2016 Ed Hawkins creò un’immagine che fa tutt’oggi il giro del mondo, conosciuta come Climate Stripes, molto cara alla nostra redazione, categorizzabile anch’essa nella cosiddetta “data art”: una serie di strisce colorate che rappresentano le anomalie della temperatura media annuale ordinate cronologicamente. Lo stesso Hawkins ha poi affermato la necessitá di “infiltrarsi nella cultura popolare” per innescare la miccia di un cambiamento di atteggiamento e di una rivolta sistemica di massa. 

 

Climate Scarf, Joan Sheldon, 2015

 

Climate Stripes, Ed Hawkins, 2016

 

Torniamo, infine, entro i confini italiani, con Lorenzo Quinn, visual artist autore di Support, opera di primo piano della 57esima Biennale di Venezia. Due mani scolpite di dimensioni giganti che reggono palazzo Ca’ Sagredo a Venezia, come supporto e aiuto per uno degli edifici piú storici della meravigliosa città, tra le piú minacciate dal cambiamento climatico. 

 

Support, Lorenzo Quinn, 2017

 

Sempre a Venezia, Andreco, artista focalizzato sulla relazione tra gli umani, la natura, l’ambiente che creiamo e il paesaggio naturale, crea l’installazione Climate 04-Sea Level Rise, parte di un progetto europeo all’incrocio tra arte e scienza per il cambiamento climatico. Un murales realizzato lungo le sponde del Canal Grande in Fondamenta Santa Lucia che rappresenta una traduzione artistica degli studi sull’innalzamento del livello del mare, secondo le evidenze scientifiche e le stime fornite dai centri di ricerca coinvolti nel progetto.

 

Climate 04 – Sea Level Rise, Andreco, 2017

 

 

La cosiddetta Arte del cambiamento climatico è un’arte che da un lato rende i dati piú accessibili ai non scienziati e trasmette in modo diretto lo status quo della crisi anche a coloro per cui numeri e parole non sono abbastanza, dall’altro esprime le paure delle persone per l’incertezza di un futuro imprevedibile. Quel che è certo è che, siano puramente artisti o scienziati-artisti, chi partecipa all’Arte del cambiamento climatico è ispirato da un collettivismo per il bene pubblico e dallo scopo di rendere la crisi climatica concepibile, comprensibile, vicina.

 

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