Artico, la nuova frontiera

Artico, la nuova frontiera

Artico, la nuova frontiera

I cambiamenti climatici hanno riportato il Polo Nord sullo scenario internazionale. 

di Leonardo Parigi – Osservatorio Artico 

 

Il 2020 si è aperto con la crisi tra Stati Uniti e Iran, portando alle stelle la tensione internazionale per un possibile conflitto. Poche settimane più avanti è esplosa l’emergenza sanitaria globale che ci troviamo a fronteggiare. Ma due dei temi di questo decennio sono senza alcun dubbio l’ambiente e il clima, comun denominatori che accompagnano già le nostre vite e che riguarderanno sempre di più le scelte politiche, economiche e sociali. 

 

Il cambiamento climatico è il perno su cui si muovono molte delle decisioni politiche attuali, anche perché è passato da essere un tema considerato radical-chic a un ambito potente del mondo business. In questo contesto si apre un fronte completamente nuovo: l’Artico. A essere precisi potremmo dire che il Polo Nord “torna” sullo scenario internazionale, dopo circa un ventennio di silenzio totale. 

 

Quando nel 1492 Colombo sbarca in una terra ai confini del mondo, gli appetiti delle potenze internazionali guardano a quelle coste lontane come potremmo guardare noi alla colonizzazione di altri pianeti. Ma c’è ancora qualcosa di inesplorato e misterioso su questa Terra. Qualcosa di geograficamente distante, difficile da maneggiare, ostile e con un fascino ancestrale. Questo luogo è proprio l’Artico, una regione immensa toccata da tre continenti, un “mare chiuso” come il Mediterraneo dove la natura è ancora libera. Ma è già vittima

 

La maggior parte degli scienziati definisce l’Artico come la regione situata sopra al Circolo Polare Artico, una linea immaginaria che circonda il globo a circa 66 ° 34 ’N. Si stima che la copertura di ghiaccio nell’Oceano Artico si sia ridotta di circa il 50% negli ultimi quarant’anni, con immense implicazioni per l’ambiente e per le popolazioni native. Secondo gli ultimi studi climatologici nella regione polare – dove è bene ricordare che l’aumento delle temperature è in media di 4 gradi centigradi – la rapidità dello scioglimento dei ghiacci ai poli potrebbe portare a un innalzamento del livello dei mari che lascerebbe 400 milioni di persone esposte alle inondazioni costiere. E questo entro pochi decenni. 

 

La nuova analisi aggiorna e combina i dati sulle masse di ghiaccio esistenti, prevedendo che il 2020 segnerà un nuovo primato negativo sul tema. Il ghiaccio finito in mare, infatti, è passato da 81 miliardi di tonnellate annue negli anni Novanta a 475 nel 2018, con conseguenze che riusciamo già oggi a toccare con mano anche sulle coste italiane. Il record negativo precedente spettava al 2010, al termine di un ciclo di estati molto calde. Ma l’ondata di caldo in Artico dello scorso anno fa presagire il peggio. 

 

Complessivamente, le due calotte polari hanno perso 6,4 miliardi di tonnellate di ghiaccio tra il 1992 e il 2017, e la perdita più ampia si deve alla Groenlandia, con il 60% del totale. Non si tratta di evidenziare solamente il pericolo ambientale dello scioglimento, effetto conseguente dell’innalzamento delle temperature, e causa dell’innalzamento dei mari, che già di per sé sarebbe un argomento centrale per la politica internazionale. Si tratta invece di allargare questa visione di “effetti domino” sulla sicurezza di una regione immensa per dimensioni e per capacità di sviluppo, che riguarda direttamente anche l’Unione Europea.

 

Le cinque nazioni costiere dell’Artico sono (andando da Ovest verso Est) gli Stati Uniti, il Canada, la Danimarca, la Norvegia e la Russia. Ma sarebbe sbagliato guardare solo a questi singoli Stati per definire ciò che sta accadendo nella regione. Lo scioglimento progressivo dei ghiacci e la loro ritirata sono un tema ormai accettato anche dai più scettici, e poco importa se la colpa di questo fenomeno sia da attribuire in misura maggiore o minore all’impatto dell’uomo sul clima e sull’ambiente. Prendendolo come un dato di fatto, la regione polare inizia a schiudersi al mondo. 

 

I ghiacciai dell’Artico costituiscono circa il 20% della fornitura di acqua dolce dell’intero globo terrestre. L’acqua di mare congelata viene comunemente chiamata ghiaccio marino. Spesso il ghiaccio marino è completamente coperto da una spessa coltre di neve. Il ghiaccio marino ha un’importanza fondamentale per la vita sulla Terra, dato che aiuta a determinare il clima terrestre. Negli anni si sono moltiplicate le analisi economiche e geopolitiche sulle ricchezze che sarebbero sepolte sotto al Mare Artico. Gas, Petrolio, terre rare, metalli preziosi. Una ricerca dell’American Geological Survey, ormai datata da circa un decennio, stimava che l’Oceano Artico conservasse circa il 25% delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale. 

 

Oltre a Magnesio, Tungsteno, Zinco, Uranio, Titanio e una lunga lista di materiali rilevanti per l’industria mondiale. Un El Dorado ghiacciato, a cui tutte le capitali del Nord guardano con evidenti appetiti. Eppure la maggiore ricchezza potrebbe derivare proprio dall’umanizzazione dell’Artico, con la possibilità di incrementare il turismo, aprire nuove rotte commerciali, sviluppare infrastrutture e potenziare le coste settentrionali del mondo. Nella regione abitano popolazioni autoctone, che contano circa 4 milioni di persone. 

 

Artide e Antartide sono caratterizzati da un regime di “internazionalità”, impedendo agli Stati di occuparsene solo in via unilaterale, ma, tra le differenze più sostanziali, vi è il Trattato di Washington del 1961, che regola la regione del Polo Sud, mentre non esiste una regolamentazione internazionale per l’Artico. Nel 1991, con il “Processo di Rovaniemi”, fu costruito un primo pilastro per la cooperazione sul tema della protezione ambientale, sfociato poi nella costituzione del Consiglio Artico nel 1996. Ad oggi, l’unico riferimento normativo da considerare nelle vicende artiche è la Convenzione dell’ONU sul Diritto del Mare del 1982 (UNCLOS). 

 

La cooperazione internazionale è oggi l’unica forma di reale governance della regione, anche grazie ai forum intergovernativi regionali che allargano le competenze nazionali. Ma una reale regolamentazione della regione è inesistente, per cui i cinque Stati rivieraschi dominano, di fatto, il possibile sviluppo dell’Artico.

 

La Guerra Fredda aveva incluso tutti gli spazi possibili del conflitto. Mare, Aria, Terra e anche Spazio. Anche il Polo Nord era toccato dalla tensione politica fra gli schieramenti, e così gli Stati Uniti erano presenti nella regione con un contingente in Groenlandia (che ha un governo semi-autonomo, ma fa parte del Regno di Danimarca) e con l’aeronautica statunitense. Dall’altra parte della cortina, Mosca poteva vantare una linea di installazioni militari di prim’ordine. Dopo il 1989 si è smantellata la rete di infrastrutture militari, da una parte e dall’altra. Il mondo è mutato, gli orizzonti geopolitici non riguardavano il Nord. 

 

Oggi invece assistiamo a un ritorno sulla scena proprio della regione polare. La Russia ha rimodernato le sue postazioni, le caserme e le installazioni radar. Ha la possibilità di mettere in acqua un’intera flotta dedicata (la Flotta del Nord), mentre Washington spinge perché gli alleati della NATO facciano da guardiani di confine, e mette in campo nuove risorse in campo tecnologico e militare. 

 

La cooperazione internazionale guida con favore la regione da almeno vent’anni, e al momento l’irrobustimento muscolare delle armate appare più un esercizio che una reale minaccia. Ma lo scenario peggiore è sempre dietro l’angolo, e così l’Artico torna a essere uno dei pivot della politica internazionale prossima ventura. 

 

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