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Bollettino 03/19: La nuova normalità

Questo mese lo sciopero globale per il clima ha avuto una grandissima risonanza mediatica (e meno male!), al punto che tutte le altre notizie sul clima sono passate in secondo piano. Ma, a differenza nostra, il riscaldamento globale non si è fermato ad ammirare i ragazzi in piazza. E quindi eccoci qui, con la solita ventata di ottimismo, a riportarvi bruscamente alla realtà, alla “nuova normalità” della nostra Terra surriscaldata.

Cominciamo da casa nostra: non abbiamo fatto nemmeno in tempo ad entrare in primavera che il Nord Italia è già in piena crisi di siccità. Tra gennaio e marzo non hanno fatto due gocce nemmeno a pagarle, di neve da questo lato delle Alpi ne è caduta poca ed i ghiacciai, si sa, non sono più quelli di una volta. E quindi, mentre ad ottobre i fiumi del Nord strabordavano, inondando le strade di trote, la portata d’acqua del Po tra gennaio e febbraio è stata del 55% inferiore alla media stagionale ed il Lago Maggiore oggi ha un livello di riempimento che sarebbe normale solo ad agosto, dopo un’estate senza pioggia. Si prospetta un anno complicatissimo, specialmente per gli agricoltori.

Al Sud – soprattutto agli amici pugliesi – non sta andando meglio. Il raccolto di olive dello scorso autunno è stato il peggiore degli ultimi 25 anni: gli ulivi sono particolarmente vulnerabili alla variabilità della pioggia, alla siccità estiva e alle gelate primaverili – tutte conseguenze del cambiamento climatico nel Mediterraneo. Questi choc climatici rendono i nostri alberi secolari più vulnerabili anche alla “xylella fastidiosa”, un batterio che li danneggia severamente, una (xy)jella tremenda che definire “fastidiosa” è un cauto eufemismo.

In Europa, l’evento del mese è stato un incredibile sbalzo di temperatura nel Regno Unito. In Scozia la temperatura ha raggiunto i 18.3°C, mentre in Inghilterra si è andati ben al di sopra dei 20°C; i cittadini ne hanno approfittato per crogiolarsi al sole nei parchi. Un panorama quantomeno insolito per gli inglesi, ed infatti così caldo tra febbraio e marzo non aveva mai fatto nella storia. Ma i dirimpettai d’Oltremanica, in questo momento in altre spinose faccende affaccendati, non hanno di che festeggiare, anche perché a causa di questo inverno smisuratamente caldo e soleggiato sono a rischio di estinzione alcuni rari fiori artici, e l’acqua potrebbe presto cominciare a scarseggiare. In altri tempi, si sarebbe detto “piove sul bagnato”.

A proposito di pioggia, segnaliamo che in Groenlandia, dove le nevicate sono essenziali per permettere la formazione di nuovi strati di ghiaccio, ormai piove persino d’inverno; ciò contribuisce ulteriormente alla corrosione dei ghiacci di superficie. Ed il processo non si fermerà: uno studio di UN Environment, l’agenzia ONU per l’ambiente, ci ha detto che, anche se riuscissimo nell’impresa di rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi, le temperature ai poli aumenteranno di un margine compreso tra i 3°C e i 5°C. In pratica, la prossima Elegia per l’Artico Einaudi potrà suonarla senza giacca.

Anche all’altro capo del mondo, in Australia, sembra non esserci pace. Sono ormai tre mesi che ne parliamo: prima i picchi di caldo, poi gli incendi e le alluvioni. Questa volta si sono aggiunte delle ondate di calore oceaniche che, allo stesso modo in cui gli incendi bruciano le foreste, possono sterminare in qualche giorno vaste popolazioni di coralli ed alghe, minacciando gli ecosistemi che da essi dipendono. Non vi stupirà sapere che, anche a causa del cambiamento climatico, la frequenza del fenomeno è triplicata nell’ultimo secolo. E gli australiani, sconvolti da questi mesi infernali, si sono rimboccati le maniche per evitare il collasso dei loro fragilissimi ecosistemi. O meglio, questo sarebbe accaduto in un mondo sensato; e invece, nel 2018, l’Australia ha battuto il suo precedente record di emissioni di gas serra.

Ma marzo segna soprattutto il ritorno della primavera: quindi alberi in fiore, letarghi che volgono al termine ed inondazioni un po’ ovunque, dagli Stati Uniti all’Indonesia. Intere contee degli Stati del Midwest americano – Nebraska, Iowa, Sud Dakota, Missouri – sono state inondate, lungo il corso dei fiumi Missouri e Mississippi. Il conto è di almeno tre morti, tre miliardi di dollari di danni ed il presentimento che il Midwest figurerà in parecchi dei prossimi Bollettini.

In Indonesia, nell’isola di Papua, un mese di piogge violente, inondazioni e frane ha causato 11500 sfollati, almeno 113 morti ed una novantina di dispersi. Anche in questo caso il clima gioca la sua parte. Da un lato le nubi erano più cariche di acqua, evaporata in maggiori quantità visto l’aumento della temperatura del mare; dall’altro, era aumentata la probabilità che si verificasse l’Oscillazione Madden-Julian, un fenomeno che modifica la “normale” circolazione dei venti che soffiano sulla regione (un climatologo è appena morto leggendo questa frase, ci dispiace davvero ma già così si capisce poco).

Non c’è dubbio, però, che i protagonisti di questo Bollettino siano il Malawi, lo Zimbabwe ed il Mozambico, dilaniati da una delle peggiori catastrofi climatiche mai avvenute nell’emisfero sud. Il ciclone Idai ha sradicato villaggi, creato laghi e fiumi profondi anche sei metri che fino al giorno prima non esistevano e fatto diventare la città costiera di Beira un’isola, interrompendo qualsiasi collegamento con l’entroterra. Nel momento in cui scriviamo, è in corso una crisi umanitaria che ha colpito quasi due milioni di persone e ha stroncato la vita di almeno 468 persone in Mozambico, 259 in Zimbabwe e 56 in Malawi; il numero continua a salire ogni giorno, anche perché, come inevitabile nei casi di inondazioni di questa portata, sta scoppiando in queste ore un’epidemia di colera.

Il Bollettino potrebbe finire con un bel Pesce d’Aprile, ma crediamo che a nessuno scapperebbe un sorriso dopo questo viaggio mensile nella realtà disastrosa di un mondo vessato dal cambiamento climatico. Ma non c’è motivo di scoraggiarsi eccessivamente, perché la realtà possiamo ancora contribuire a cambiarla. Ogni giorno possiamo fare un piccolo gesto – una luce spenta, un hamburger in meno, un autobus in più – per limitare questa miseria. Ogni giorno possiamo fare qualcosa per impedire che quella che abbiamo appena raccontato diventi la nostra nuova normalità.

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