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Bollettino Estate 2019: Non ci resta che piangere

Dopo un mese di assenza, ci teniamo a far ripartire il nostro Bollettino col piede giusto. Per farlo, vogliamo citare le parole utilizzate Philip Alston, Special Rapporteur dell’ONU per l’estrema povertà ed i diritti umani (non esattamente una ONG ambientalista) nel suo ultimo report: 

“il cambiamento climatico avrà conseguenze devastanti sulle persone in difficoltà. Anche nel migliore degli scenari possibili, centinaia di milioni di persone dovranno affrontare insicurezza alimentare, migrazioni forzate, malattie e morte. […] Una logica perversa fa si che le fasce più povere della popolazione, che sono responsabili di una piccola frazione delle emissioni globali, siano quelle maggiormente colpite dal cambiamento climatico. […] Rischiamo uno scenario di apartheid climatico, in cui i più ricchi pagano per sfuggire al calore eccessivo, alla fame ed ai conflitti, ed il resto del mondo è lasciato a soffrire”. 

Bentornati.

Per completezza, abbiamo deciso di raccogliere anche le voci della comunità scientifica. Cinque diversi studi pubblicati negli ultimi due mesi dicono la stessa cosa: il ghiaccio si sta sciogliendo troppo velocemente. In Antartide, i ghiacciai si ritirano cinque volte più velocemente rispetto agli anni ’90; in Canada, il permafrot – una tipologia di terreno perennemente ghiacciato, tipico delle zone artiche – si è squagliato settant’anni prima del previsto: in quelle zone non faceva così caldo da 5000 anni; nella splendida Patagonia cilena, si è spaccato a metà uno dei più grandi ghiacciai del mondo; in Asia centrale, i ghiacciai dell’Himalaya perdono 8 miliardi di tonnellate d’acqua all’anno. Non dimentichiamo, poi,  l’immagine che ha fatto il giro del web: un gruppo di cani che traina una slitta sull’acqua dei ghiacci sciolti in Groenlandia. Ovunque vi troviate nel mondo, siate certi che il ghiaccio attorno a voi sta sparendo.

Foto: Steffen M. Olsen

Di studi del genere ne escono a decine ogni mese. Sembra di essere sotto una goccia cinese, o in presenza di quel collega un po’ pedante che richiama la tua attenzione picchiettandoti insistentemente il dito sul braccio. Come a dire: “ricordati che devi morire”. 

Toccherebbe scrivercelo da qualche parte, ed a tratti effettivamente sembra che qualcuno stia prendendo carta e penna. I Verdi, ad esempio, hanno ottenuto un buon risultato alle Elezioni Europee di maggio – segno che una minima rilevanza il cambiamento climatico stia cominciando ad averla in Europa. Soprattutto, Regno Unito, Irlanda, Francia e Canada hanno dichiarato l’“emergenza climatica,” un atto simbolico che tutto sommato è ‘na cosa bella. Solo che, ecco, sarebbe ancora più bella se le suddette nazioni evitassero di dare complessivamente 27,5 miliardi di dollari l’anno di incentivi ai combustibili fossili. Ci ha colpito particolarmente la mossa felpata di quel birichino di Justin Trudeau, primo ministro del Canada, che il giorno dopo la dichiarazione di emergenza climatica ha annunciato che triplicherà la capacità dell’oleodotto Trans Mountain (per la modica cifra di 5,5 miliardi di dollari). Justinone mio, te lo chiedo da umile peccatore, con la faccia sotto i tuoi piedi: diamoci una calmata, che va a finire che poi uno pensa che stai coi cattivi.

A proposito di cattivi, anche il mese scorso ci è toccato assistere a Trump che fa Trump, stavolta con un’assurda legge sulla produzione di carbone che di fatto cancella un ambizioso piano di riduzione delle emissioni da carbone presentato durante la presidenza Obama. D’altronde, col clima negli Stati Uniti non hanno nessun problema: hanno solo avuto l’inverno più piovoso mai registrato nel Midwest, che ha lasciato i terreni saturi d’acqua e soggetti ad inondazioni, causando l’evacuazione di 100 mila persone ad Iowa City, e rendendo impossibile la semina in diversi stati. Più a sud, diverse tempeste in Oklahoma e Missouri hanno causato una decina di vittime, mentre l’Arkansas e la Louisiana hanno dovuto affrontare alluvioni di “magnitudine epocale”. Per concludere, è già qualche giorno che l’Alaska ha cominciato a bruciare.

Incredibilmente, c’è chi se la passa peggio. Per esempio l’India. Tutto è cominciato ad inizio maggio nello stato dell’Orisha, sulla costa nord-orientale, dove si è abbattuto il ciclone Fani. Direte voi: gran novità, un ciclone in India. Si tratta però del ciclone più violento degli ultimi vent’anni, con venti fino a 225 km/h che hanno costretto oltre un milione di persone ad evacuare. Grazie all’efficacia dei sistemi di prevenzione indiani e ad un po’ di fortuna (come spesso accade, il ciclone si è “ammansito” una volta toccata la costa), la conta finale dei danni è di una città devastata e un’ottantina di morti. Un mese dopo, sulla costa nord-occidentale, si è invece fatto vivo il ciclone Vayu (si legge uagliù), che per fortuna ha causato solo un grande spavento, qualche mareggiata ed un bel po’ di vento. Non siamo ancora certi del ruolo del cambiamento climatico in questo macello, ma funziona un po’ come col fumo: non tutti i fumatori hanno un cancro ai polmoni, non tutti coloro che hanno un cancro ai polmoni sono fumatori… ma di certo fumare non aiuta. 

Ma per l’India non è finita qui. Nel nord del paese è stata registrata la più lunga ondata di caldo nella sua storia recente: oltre 30 giorni di agonia in cui si sono sfiorati i 50°C. Ospedali stracolmi di gente che si è sentita male. Centinaia di persone morte dal caldo (non metaforicamente). Nell’ultimo decennio, ogni anno si è registrata una temperatura record più alta. A Nuova Delhi si sono superati i 48°C, nuovo record per il mese di giugno. Ma di che diamine stiamo parlando? Ventuno milioni di persone stipate in una città paralizzata sotto 48°C. Se l’idea era quella di ricreare una rappresentazione dell’inferno dantesco, ci stiamo riuscendo benissimo.  

Tutto questo mentre in diverse parti del paese si attraversava una gravissima siccità. Negli stati del Maharashtra e del Karnataka, nell’India sud-occidentale, oltre il 75% dei villaggi è stato colpito dalla siccità e gli agricoltori non hanno potuto coltivare i campi. Diversi villaggi sono stati abbandonati e attualmente 8 milioni di persone rischiano di morire di fame. Le riserve d’acqua del Maharashtra sono arrivate al 5% della capacità totale – in alcuni villaggi si è toccato lo 0,5%. Nella città di Chennai, 4,6 milioni di persone, l’acqua è razionata al punto che ha smesso di uscire dai rubinetti di negozi ed alberghi. La siccità è così grave che è visibile dal satellite: i laghetti attorno alla città non esistono più. In altre parole, una città ben più popolosa di Roma è rimasta per settimane alla mercé dei monsoni, da cui dipende il 70% della piovosità annuale in India. Alla fine i monsoni sono arrivati, in ritardo, solo all’inizio di giugno, ma la quantità di pioggia è attualmente del 30% sotto la media. La situazione rimane in evoluzione.

Nulla di paragonabile all’India, ma un tempo orribile lo abbiamo avuto anche in Italia. Dopo un inverno di siccità, in cui si è temuto per i raccolti anche nella verdissima pianura Padana, a maggio sono invece arrivatii gelo e pioggia ininterrotta, qualche alluvione, ma anche un paio di esondazioni di fiumi tra Cesena e Milano ed una tappa del Giro d’Italia deviata, perché dieci metri di neve non si potevano spalare via in poche ore. Le rondini, arrivate qualche settimana prima del gelo, sono morte assiderate confermando, e dando per l’ennesima volta ragione a mia madre, che una rondine non fa primavera. 

Poi, all’improvviso, mentre il Lago di Como esondava inesorabilmente addosso ai comaschi acchittati per lo struscio del venerdì (tre mesi fa il lago era ai minimi storici), è arrivata l’estate. L’hanno portata le cavallette che hanno invaso la Sardegna distruggendo 2500 ettari di terreni, che manco durante le piaghe d’Egitto; si parla della peggior invasione degli ultimi 70 anni. Si è proseguito con un’ondata di calore che ha paralizzato l’Europa dal Belgio alla Spagna, dal Portogallo alla Polonia, stabilendo un gran record in Francia – la temperatura più alta mai registrata nel Paese, 45.9°C. A Roma, diversi turisti si sono lamentati perché, giustamente, sono arrivati fin qui e gli si scioglie pure il gelato. In Grecia, gli studiosi temono che il caldo possa danneggiare irreparabilmente i monumenti archeologici. In sostanza, qui rischia di crollare il Partenone. 

Naturalmente, come ci dice l’Organizzazione Meteorologia Mondiale, tutte queste notizie sono in linea con gli effetti previsti del cambiamento climatico. Soprattutto, ci tiene a precisare l’Organizzazione, il peggio deve ancora arrivare. Tutto questo mentre in Catalogna divampa l’incendio più esteso degli ultimi vent’anni: le premesse per un’estate bellissima ci sono tutte. E a noi, col gelato che si scioglie ineluttabile tra le dita, non ci resta che piangere.

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