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L’estate dei campeggi climatici

L’estate dei campeggi climatici

Dalla Sicilia all’Alto Adige, l’estate 2023 è stata scandita dai climate camp. Cosa sono, perché sono importanti e di cosa si è parlato

 

Illustrazione di Beatrice Maffei

Articolo di Viola Ducati

 

I climate camp, campi di incontro, formazione e discussione organizzati e rivolti agli attivisti e alle attiviste per il clima, stanno diventando un elemento contraddistintivo dei nuovi movimenti per il clima, nati a partire dalla seconda metà del 2018 in Svezia e Regno Unito e cresciuti poi in tutta Europa (e non solo), Italia compresa. Dopo il Venice Climate Camp del 2019, il primo campeggio italiano sulla crisi climatica, negli anni successivi le esperienze di questo tipo si sono moltiplicate. Il 2023 conferma questa tendenza, con alcune interessanti novità. 

 

In campeggio ieri e oggi

A luglio la seconda edizione del Climate Social Camp a Torino (con un legame di solidarietà con il Festival Alta Felicità in Val di Susa), a inizio agosto il Campeggio di Ecologia Politica Network ad Augusta in Sicilia, a fine agosto il KlimaCamp Alto Adige a Vipiteno, e poi a settembre gli Stati generali dell’azione per il clima presso il Campo Base Festival in Val d’Ossola e infine il Venice Climate Camp. Sono solo alcuni degli appuntamenti che negli scorsi mesi hanno tenuto occupati gli attivisti climatici di tutta Italia, coinvolgendo anche molte reti internazionali. Campeggi di tre o quattro giorni, autogestiti, autofinanziati, a partecipazione libera e gratuita, dove gli attivisti hanno potuto organizzarsi e programmare le attività per l’autunno e l’anno a venire, ma anche sperimentare nuove pratiche e provare a costruire alleanze e sinergie. 

 

Il successo in termini di partecipazione e il moltiplicarsi di queste iniziative ne dimostrano l’efficacia e l’urgenza: i campeggi sono uno strumento nuovo, che prova a rispondere ai bisogni emergenti dell’attivismo climatico, come l’esigenza di formarsi, creare reti di supporto tra movimenti ed elaborare proposte condivise e innovative. Al tempo stesso, i campi climatici di questa estate e delle precedenti recuperano, rielaborano e trasformano l’eredità dello storico campeggio di supporto a occupazioni e mobilitazioni, tipico degli anni Settanta e Ottanta. Se, infatti, i campeggi antinucleari di quegli anni (pensiamo a Nova Siri, Montalto di Castro, Comiso) servivano innanzitutto per permettere agli attivisti di partecipare in maniera continuativa alle azioni di mobilitazione, gli attuali campi climatici stanno diventando sempre più delle forme di attivismo in sé. Pur senza escludere azioni di occupazione e disobbedienza civile, portate a segno proprio attraverso il campeggio.

 

Il caso del Climate Social Camp di Torino

È il caso del grande campeggio che si è tenuto per la seconda volta a Torino, dal 26 al 28 luglio, organizzato dal nodo torinese della rete Ecologia Politica, dal gruppo locale di Fridays for Future, Extinction Rebellion e vari centri sociali della città. Il camp si è svolto al Parco Artiglieri di Montagna, l’ultima area verde del quartiere San Paolo, dove da ormai un paio di anni è in corso una lotta contro la svendita dei giardini pubblici al gruppo Esselunga, che progetta di rimpiazzarli con un grande supermercato e relativo parcheggio. 

 

“Vogliamo ridare voce a questo luogo e a questa battaglia su scala nazionale”, spiega una delle organizzatrici del camp e membro del collettivo Ecologia Politica Torino, che ha preferito rimanere anonima. Il campeggio è a tutti gli effetti un’occupazione, ma è anche l’occasione per elaborare nuove strategie e nuovi approcci. Partendo proprio dalla valorizzazione delle battaglie locali a livello nazionale e internazionale, per riconnettere le problematiche concrete dei territori con le grandi cause ambientaliste e climatiche, e viceversa. 

 

“Rispetto all’edizione del 2022, svoltasi in concomitanza con il meeting europeo di Fridays For Future, quest’anno abbiamo deciso di lavorare su una scala più nazionale, complice l’attuale congiuntura: da un lato un governo poco preparato e totalmente disinteressato e un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza inadeguato, che perpetua una logica estrattivista rispetto ai territori, senza affrontare la radice dei problemi, e dall’altro l’acuirsi di eventi climatici estremi, l’intensificarsi dei conflitti ambientali e il conseguente aumento della repressione”, prosegue l’attivista. Da qui la scelta di focalizzare i dibattiti e i tavoli di discussione del camp su pochi temi chiave: rispetto agli oltre dieci tavoli condotti nel 2022, quest’anno gli attivisti si sono concentrati soprattutto su acqua e suolo. Al suono di “fermare il cemento” e “difendere l’acqua”, le parole d’ordine del manifesto del camp. 

 

Tre parole chiave per l’autunno

Corsi pratici per imparare ad arrampicarsi sugli alberi, e provare così a bloccare cantieri e interventi ad alto impatto ecologico (al riguardo, l’occupazione della foresta di Hambach, in Germania, ha fatto storia), workshop su tecniche di disobbedienza civile, momenti di confronto con alcuni dei gruppi di attivisti più attivi a livello internazionale sui temi dell’acqua e del suolo, dal francese Soulèvements de la Terre al collettivo Araba Bizikir dai Paesi Baschi,  e poi seminari e dibattiti. Dopo tre giorni di intenso lavoro, con quali messaggi e quali obiettivi sono tornati a casa gli attivisti climatici? 

 

Territorio
“Dal camp è emerso il bisogno di lavorare di più su e con i territori”, racconta l’organizzatrice intervistata. La scelta di temi trasversali e ubiquitari come la difesa di acqua e suolo dimostra la volontà del movimento climatico di lavorare in modo concreto, andando a indagare e mettere in questione la vivibilità dei territori, ognuno con le proprie specificità. E mettendosi in ascolto delle persone che li abitano.

 

Dialogo
Lavorare sui territori, riconoscendo il valore della differenza e del particolare, significa innanzitutto andare a incontrare le persone, per capire le loro problematiche e costruire possibili ponti. “Basta con la retorica della sensibilizzazione, del pretendere di insegnare alle persone cosa dovrebbero fare o non fare”, continua l’attivista. “Quello che vogliamo fare, da subito, è piuttosto metterci in ascolto delle persone, per capire i loro problemi, connettere le questioni in gioco e creare alleanze tra battaglie lontane eppure simili. All’interno di un quadro interpretativo più ampio, che connetta la dimensione ambientale e climatica a quella sociale”. Oggi la priorità degli attivisti è aprirsi e raggiungere anche chi finora è rimasto ai margini del discorso climatico e ambientalista, a partire dagli altri movimenti sociali ma non solo. Il forte legame tra i movimenti per la giustizia climatica e l’esperienza di lotta del collettivo di fabbrica della GKN di Firenze ne è un esempio, come anche l’invito rivolto ai movimenti per l’abitare dal Climate social camp di Torino.


Strumenti nuovi
Con quali strumenti iniziare a lavorare sui territori, con le persone? Dal Climate Social Camp di Torino escono due proposte molto concrete: la mappatura e l’inchiesta. La prima è una pratica di cartografia collaborativa finalizzata a conoscere le problematiche simili presenti su territori diversi, per costruire possibili alleanze e sinergie. La seconda è una pratica di ricerca dal basso volta a creare interazioni, stimoli e collaborazioni – ma anche ferma e competente opposizione – tra chi amministra i territori, ne cura la gestione e ne pianifica trasformazioni e chi, invece, resta spesso imprigionato nel ruolo di “destinatario passivo” delle politiche territoriali. Ritorna dunque il modello della ricerca-azione: bisogna conoscere per poter trasformare, e funziona meglio se lo si fa in maniera partecipativa. L’(auto)formazione è dunque al centro della proposta degli attivisti: per rispondere alla crisi climatica e ambientale servono persone e comunità che guardino al proprio territorio con senso di appartenenza e amore, per viverlo e proteggerlo in maniera più attiva e responsabile. 

 

“Nei prossimi mesi la sfida sarà quella di fare in modo che la nostra proposta diventi reale e concreta, costruendo davvero un discorso allargato, che riesca a raggiungere sempre più persone che non provengano da ambienti di attivismo”, ammette l’organizzatrice. In questa possibile difficoltà sta però anche il punto di forza del movimento climatico: la volontà di iniziare un dialogo nuovo, più inclusivo. La volontà di essere un tramite reale. Le istituzioni, i mezzi di informazione, i cittadini stessi saranno capaci di accorgersene? 

 

 

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