Che fine hanno fatto gli SDGs?
Come avanza il mondo sulla sostenibilità e la lotta al cambiamento climatico.
di Verdiana Fronza
Monitorare il progresso sullo sviluppo sostenibile
Come ogni anno, il Dipartimento per gli Affari Economici E Sociali delle Nazioni Unite (UNDESA) ha pubblicato il Rapporto sugli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (in inglese, SDGs), documento che monitora il progresso sui 17 obiettivi alla base dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. L’Agenda, approvata nel 2015 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, si pone come programma d’azione per il benessere delle persone e del pianeta, la pace e la prosperità, e i suoi obiettivi toccano tutte le dimensioni della sostenibilità, da quella socioeconomica a quella ambientale. Ma gli SDGs non sono solo un fine generale e astratto: essi si compongono di target e indicatori precisi che permettono di monitorarne il progresso.
Dalla riduzione della povertà (SDG 1) all’uguaglianza di genere (SDG 5), lo sviluppo urbano (SDG 11) e la produzione e il consumo sostenibile (SDG 12), la biodiversità (SDG 14 e 15), la governance (SDG 17), e la lotta al cambiamento climatico (SDG 13), i dati che informano ogni indicatore SDG sono numeri che parlano del pianeta e dell’umanità tutta – anche dell’Italia, dove l’Istituto Nazionale di Statistica si occupa di descrivere l’evoluzione di questi obiettivi a livello nazionale e regionale.Una realtà di molteplici crisi: cosa racconta il report 2022
Se gli SDGs rappresentano la nostra realtà, nel 2022 il quadro dipinto è alquanto cupo. Per il secondo anno di fila il report non registra progressi. Al contrario, stiamo vivendo un contesto di molteplici crisi climatica, politica e sanitaria, che impedisce il progredire verso lo sviluppo sostenibile e mette in serio pericolo qualsiasi avanzamento fatto finora. La salute (SDG 3), la sicurezza alimentare (SDG 2), l’educazione (SDG 4), l’ambiente e la pace (SDG 16) sono particolarmente colpite.
In primis, l’impatto del Covid-19 si è fatto sentire: secondo i dati, la pandemia ha annullato quattro anni di progresso nella lotta alla povertà estrema, la salute, l’accesso universale all’educazione e ai servizi primari. Al contempo i conflitti armati continuano a causare distruzione e morte, moltiplicando le situazioni emergenziali come quella energetica e alimentare, e costringendo migliaia di persone ad abbandonare il proprio Paese. Quanto sta accadendo con la guerra in Ucraina ne è un esempio.
Allontanarsi dagli obiettivi posti dall’Agenda 2030 ha quindi ripercussioni tangibili: i dati e le storie raccontate dal report parlano di emergenze interconnesse che ci toccano da vicino, anche se – come spesso accade – sono le persone più vulnerabili ad essere più esposte e minacciate. A pagare il prezzo più caro è infatti chi abita nei cosiddetti Paesi in via di sviluppo, le minoranze, le donne, i bambini e le bambine.
I numeri della lotta al cambiamento climatico
Nessun SDG è un’isola poiché integrazione e indivisibilità sono la premessa dell’Agenda 2030. Nonostante ciò, è chiaro come l’obiettivo 13 sulla lotta al cambiamento climatico stia al centro del sistema di SDGs, in quanto la crisi climatica pregiudica il progredire verso tutti gli altri aspetti dello sviluppo sostenibile.
Ma come si misura il progresso nella lotta al cambiamento climatico? L’obiettivo 13 si compone di cinque target legati alla resilienza e l’adattamento ai disastri climatici, l’integrazione del cambiamento climatico nelle politiche nazionali, l’ampliamento della conoscenza e le capacità di risposta ai cambiamenti climatici, l’allineamento con la Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, e la promozione di meccanismi di supporto alla mitigazione e all’adattamento climatici. Rispetto a questi target si può valutare il progresso delle risposte all’emergenza climatica.
I numeri parlano chiaro: c’è un codice rosso per l’umanità, sempre più vicina alla catastrofe climatica. Le concentrazioni di gas serra sono le più alte registrate nella storia e in continuo aumento, e le emissioni hanno raggiunto livelli record nel 2021, vanificando i lievi progressi registrati nel 2020 dovuti alla pandemia. Maggiori emissioni implicano temperature globali più alte, che contribuiscono all’intensificarsi degli eventi climatici estremi che si stanno verificando in ogni continente. Per esempio, anche se azioni rapide venissero intraprese per rimanere sotto ai 2°C di riscaldamento globale, i livelli del mare continuerebbero ad alzarsi nei decenni seguenti, aumentando il rischio di inondazioni. A questo ritmo si stima che le catastrofi climatiche aumenteranno del 40% entro il 2030 rispetto ai numeri del 2015.
Se prima del 2020 il numero di morti legate a catastrofi era in diminuzione – seppur in modo di disomogeneo – il COVID ha interrotto questa traiettoria con i suoi quasi 300 000 decessi riportati e 2 milioni stimati contro la media di 57 000 dei precedenti quattro anni. La pandemia ha portato alla luce il legame esistente tra le vulnerabilità socioeconomiche e i rischi biologici, e il susseguirsi di altri disastri direttamente legati al clima ha ulteriormente aggravato la situazione,soprattutto nelle aree più vulnerabili.
L’unico a non aumentare in modo consistente è il contributo dei Paesi sviluppati nel finanziamento alla lotta alla crisi climatica. Nonostante i dati non rassicuranti, i finanziamenti per l’azione climatica sono ancora troppo pochi. Anche se nel 2009 alla Conferenza delle Parti di Copenhagen i Paesi industrializzati si sono impegnati a contribuire con 100 miliardi di dollari ogni anno entro il 2020, la somma non è mai stata raggiunta: il contributo più alto è stato di circa 80 miliardi di dollari, nel 2019. Al contempo l’IPCC stima che siano necessarie somme nell’ordine dei trilioni per raggiungere un futuro sostenibile a basse emissioni.
Siamo di fronte a una crisi totale?
Lo stallo e, in certi casi, il vero e proprio regresso sull’SDG 13 non è solo una questione ambientale: pandemie, crisi dei sistemi alimentari e conflitti dipendono anche da ecosistemi terrestri e marini sempre più sotto pressione e impoveriti, e quando la crisi climatica mette alla prova gli ecosistemi, ne pagano le conseguenze anche i miliardi di persone che traggono sostentamento dai loro servizi. Si parla di ognuno di noi.
Se i dati e le stime lanciano un grido di appello, è necessario rispondere a livello sia sistemico che individuale. Riprendendo in mano quelli che sono i target che segnano la strada verso una più forte coscienza climatica, è positivo notare che i Paesi che hanno segnalato l’adozione di strategie nazionali per la riduzione del rischio climatico sia quasi triplicato rispetto al 2015 (da 55 a 123). Allo stesso modo, l’obiettivo 13 ci ricorda l’importanza di un’educazione allo sviluppo sostenibile e alla cittadinanza globale in modo da supportare ogni individuo nell’acquisizione delle competenze necessarie per un agire consapevole.
In entrambi i campi occorrono però maggiori sforzi. Da una parte, serve garantire un quadro legislativo e istituzionale chiaro e coerente e le risorse finanziarie adeguate a implementare le strategie di riduzione del rischio climatico; dall’altra, bisogna integrare le tematiche climatiche nei sistemi educativi nazionali, visto che esse sono molto più presenti nei testi normativi che nei curriculum scolastici veri e propri. In questo modo si possono iniziare a rafforzare le basi istituzionali e le competenze individuali in favore della lotta al cambiamento climatico.
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