I circoli viziosi del clima
Il clima non reagisce solo in maniera lineare. Attraverso i cosiddetti “cicli di retroazione”, gli effetti dei cambiamenti climatici possono essere drasticamente amplificati o ridotti.
di Stella Levantesi
Nell’ultimo secolo, l’attività umana ha influenzato a tal punto il clima da provocare alterazioni climatiche molto più rapide di quelle innescate dai processi naturali. Il riscaldamento del sistema climatico è inequivocabile e, a partire dagli anni ’50 in particolare, molti dei cambiamenti osservati sono senza precedenti. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, il ghiaccio si è ridotto, il livello del mare si è alzato e le concentrazioni di gas serra sono aumentate sino a livelli mai osservati almeno negli ultimi 800mila anni.
Ma il clima non reagisce solo in maniera lineare. Le relazioni di causa-effetto che lo determinano, infatti, sono molto complesse. Questo significa che, nel sistema climatico, interagiscono elementi che costituiscono sia la causa che l’effetto di un processo: è quello che viene chiamato dagli scienziati il “circolo vizioso di retroazioni” o anche ciclo di feedback climatici. Sono processi che possono amplificare o ridurre gli effetti di un dato fenomeno, diventando a loro volta forzanti, del cambiamento climatico globale.
Quando, nel sistema climatico, le retroazioni amplificano l’effetto iniziale si parla di retroazione positiva, quando lo riducono, di retroazione negativa. I termini, per chi è estraneo al mondo scientifico, sono controintuitivi. I feedback positivi, infatti, tendono ad accelerare il riscaldamento globale e non sono affatto positivi, almeno non nel senso comune del termine.
Il ritiro dei ghiacci, in particolare, sta causando una serie di cicli di retroazione positivi che interessano l’intero pianeta poiché amplificano l’impatto dello scioglimento sul sistema climatico stesso.
Il ciclo di retroazione dell’albedo
Il primo ciclo ha a che fare con l’albedo, che consiste nella frazione di energia solare riflessa dalla Terra rispetto a quella incidente – l’energia solare totale che investe il pianeta Terra. L’albedo media terrestre è in calo a causa dello scioglimento dei ghiacci e della diminuzione delle superfici innevate perché ci sono meno superfici “riflettenti” e più superfici che, invece, tendono ad assorbire la radiazione solare. Per esempio, un campo di grano ha una albedo molto più bassa di un campo ricoperto di neve perché ha una minore capacità di riflettere i raggi solari.
Questo ciclo di retroazione equivale ad aumentare del 25 per cento gli effetti delle emissioni di gas serra. In particolare, ha effetto nelle regioni polari dove contribuisce, fra le tante cose, all’amplificazione artica, fenomeno per cui l’Artico si scalda molto più rapidamente del resto del pianeta.
Il ciclo di retroazione del metano
Un altro ciclo di retroazione di cui sentiamo parlare in relazione al ritiro dei ghiacci è il rilascio del metano, un gas serra il cui impatto su un periodo di 100 anni è 34 volte superiore a quello della CO2. Nel permafrost, lo strato di terreno permanentemente ghiacciato che si trova nel sottosuolo delle zone ad alta latitudine, ci sono depositi naturali di carbonio. Man mano che la temperatura terrestre aumenta, il permafrost si scioglie. Così, il carbonio viene rilasciato sotto forma di gas metano: più metano viene rilasciato nell’atmosfera a causa dello scioglimento, più l’atmosfera si riscalda. Più l’atmosfera si riscalda, più ghiaccio si scioglie.
Il permafrost si trova anche sui fondali marini. L’acqua, più calda a causa del riscaldamento globale, scongela il permafrost dei fondali marini dell’Oceano Artico. Anche in questo caso, i depositi di carbonio vengono rilasciati sotto forma di metano gassoso che risale in bolle lungo la colonna d’acqua per poi essere rilasciato nell’atmosfera.
Un articolo pubblicato sul Guardian sostiene che il metano immagazzinato nei sedimenti oceanici dell’Artico, in particolare vicino alle Svalbard e nel Mare di Laptev, si è destabilizzato, e ora viene rilasciato nell’atmosfera con conseguenze potenzialmente preoccupanti per il clima globale. Il ricercatore Frans-Jan W. Parmentier, tuttavia, spiega in un’analisi per Climate Feedback che l’oceano è un efficiente filtro per il metano quando l’acqua è profonda più di 100 metri. Infatti, quando le bolle salgono verso la superficie, il metano si dissolve rapidamente nell’acqua per ossidazione. Poiché i depositi di metano vicino alle Svalbard e nel Mare di Laptev si trovano sotto i 300 metri di profondità è improbabile, quindi, che influenzino le concentrazioni atmosferiche, anche quando questi iniziano a destabilizzarsi.
In alcune regioni, dove determinate condizioni di temperatura e pressione lo permettono, il metano prodotto dallo scioglimento del permafrost può essere intrappolato in depositi ghiacciati chiamati “idrati di metano”. Tali depositi, che sono stati osservati in diversi luoghi, compreso il Mare di Laptev, possono rilasciare “pennacchi” localizzati di bolle di gas metano. Gli idrati di metano sono oggetto di attento studio da parte dei ricercatori perché, come sostengono gli esperti su Climate Feedback, potrebbero scongelarsi nelle acque di riscaldamento, portando ad un crescente rilascio di carbonio nell’atmosfera che, a sua volta, potrebbe contribuire a un ulteriore riscaldamento globale. Tuttavia, molti siti di idrati sono stati scoperti solo di recente e mancano di misurazioni a lungo termine, il che rende difficile determinare se sono, effettivamente, in aumento. Inoltre, il Guardian evidenzia che i risultati sono preliminari e non ancora sottoposti a peer-review.
In ogni caso, uno dei motivi per cui lo scioglimento del permafrost preoccupa molto gli scienziati è proprio perché stabilisce un feedback positivo, un circolo vizioso che si autoalimenta. In circostanze naturali, non alterate dal cambiamento climatico antropico, gli strati superficiali di permafrost, che arrivano fino a circa 50 cm di profondità, si sciolgono con l’arrivo dell’estate. Questa parte del permafrost viene chiamata “strato attivo” e si scongela con i cambiamenti stagionali annuali. Ma il riscaldamento globale sta esponendo allo scioglimento anche gli strati di permafrost più profondi e più antichi – un segno di forte instabilità.
Le temperature del permafrost, infatti, sono aumentate fino a registrare livelli record, ha riscontrato l’IPCC. Entro il 2100, l’area del permafrost in prossimità della superficie diminuirà e verranno rilasciati nell’atmosfera da 10 a 100 miliardi di tonnellate (Gt C) – potenzialmente fino a 240 Gt C – di carbonio in forma di anidride carbonica e metano, con il potenziale di accelerare ancora di più il cambiamento climatico.
Perché dobbiamo conoscere i cicli di retroazione
Oggi, circa la metà della CO2 emessa dall’uomo rimane nell’atmosfera, mentre il resto viene assorbito dagli oceani e dalla biosfera, rispettivamente circa il 30% e il 15-20%. Questo, tuttavia, potrebbe cambiare. Non c’è garanzia che l’oceano e la biosfera terrestre continueranno ad assorbire la stessa frazione di emissioni di carbonio con il passare del tempo. Anzi, nel complesso, si prevede che ci sarà un aumento delle emissioni nell’atmosfera e una minore capacità di assorbimento da parte della terra e degli oceani. Per questo, quando si parla di clima, è fondamentale considerare i cicli di retroazione.
Questi cicli non sono unicamente legati al ritiro dei ghiacci. Altri feedback riguardano, infatti, il processo di acidificazione degli oceani e la biosfera terrestre. Ma indifferentemente dal meccanismo di retroazione considerato, la principale implicazione dei feedback positivi è che le attuali proiezioni climatiche potrebbero in realtà sottovalutare gli effetti del riscaldamento globale. Proprio per questo, è fondamentale considerare i meccanismi dei feedback che, poiché complessi, potrebbero trasformarsi, a loro volta, in forzanti del cambiamento climatico e determinare un rapporto di causa-effetto non lineare del clima.
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