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Cina a emissioni zero entro il 2060?

Cina a emissioni zero entro il 2060?

La Cina promette che raggiungerà zero emissioni nette di CO2 entro 40 anni. Qualche dettaglio in più sul progetto cinese, tra speranze e perplessità. 

Sabrina Pusterla

Il presidente cinese Xi Jinping ha confermato l’impegno della Cina di voler diventare un Paese a zero emissioni nette di CO2 entro il 2060. Lo ha dichiarato più volte durante una serie di incontri nell’autunno 2020 (prima all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a settembre, poi tra novembre e dicembre durante il summit annuale dei Paesi BRICS e al Climate Ambition Summit delle Nazioni Unite) e nuovamente qualche giorno fa, durante il Global Climate Summit organizzato su iniziativa del presidente USA Biden. L’obiettivo è ridurre l’impatto ambientale della produzione cinese, mantenendo il proprio impegno internazionale delineato già nell’ambito dell’Accordo di Parigi. 

 

Si tratta di una decisione importante per la lotta per il futuro del pianeta. Tali dichiarazioni sono state accolte positivamente a livello internazionale e dall’Unione Europea, che da qualche giorno ha raggiunto un accordo definitivo sul proprio obiettivo di neutralità climatica entro il 2050. 

 

 

Un paese “a emissioni zero”

Il presidente cinese ha confermato che il Paese raggiungerà l’ambizioso traguardo di diventare “carbon neutral”. L’obiettivo è di avviare una serie di azioni per rendere la Cina “CO2 zero” ovvero ridurre e poi azzerare l’anidride carbonica (CO2) netta immessa in atmosfera. Questa situazione è raggiungibile quando la CO2 prodotta non supera quella “catturata”. Con l’intensificazione di energie da fonti rinnovabili il sistema produttivo riduce le emissioni totali, mentre quelle rimanenti vengono “catturate” attraverso serbatoi di carbonio naturali (foreste e oceani) o artificiali (carbon capture and storage).

 

È sicuramente un segnale positivo perché porterebbe il Paese che produce la maggior quantità di gas serra al mondo (28% delle emissioni globali) a ridurre drasticamente il suo impatto sulla crisi climatica. Secondo le stime di Climate Action Tracker (CAT), una tale svolta potrebbe portare ad abbassare di 0,2-0,3 gradi le stime sul surriscaldamento climatico nel 2100. Si tratta di un traguardo di estrema importanza per il Pianeta perché si passerebbe dai previsti +2,7 gradi nel 2100 ad un aumento di 2,4-2,5 gradi. 

 

Ma qual è esattamente il progetto cinese?  

Al Climate Ambition Summit delle Nazioni Unite concluso il 12 dicembre 2020, il presidente cinese ha fornito informazioni rispetto ai progetti per raggiungere gli obiettivi promessi. Anzitutto ha ricordato l’importanza di una cooperazione internazionale e di un dialogo reciproco fra paesi. Ha parlato, poi, di responsabilità e di vantaggi comuni a tutti i paesi come elementi fondamentali per affrontare questa crisi.

 

Ma nel concreto qual è il programma? Come primo riferimento abbiamo il 2030, preso come anno fondamentale per poter raggiungere gli obiettivi prefissati per il 2060. L’intenzione è innanzitutto ridurre l’uso del carbone del 65% nel 2030 rispetto al 2005 (un punto su cui Xi Jinping è tornato anche nel summit di Aprile). In secondo luogo, incrementare dal 20% al 25% la quota di combustibili non fossili per il consumo di energia e aumentare la capacità di produzione di energia solare ed eolica. Ruolo importante ha anche il progetto di  aumentare il volume delle foreste di 6 milioni di metri cubi nel 2030 rispetto al 2005, andando così ad incrementare il polmone verde e serbatoio di carbonio del paese. In sintesi, dunque, l’idea è di agire parallelamente su 3 fronti, andando a ridurre la produzione di agenti inquinanti, investire in fonti di energia rinnovabile e aumentare i serbatoi di carbonio nazionali.

 

Rimangono però alcuni punti da chiarire, considerando soprattutto la forte dipendenza cinese dal carbone. In primo luogo, come farà il paese a diventare “a emissioni zero”, vista una politica attuale volta a un alto uso del carbone e a una continua costruzione di centrali a carbone sia in Cina che all’estero? Come garantire che il Paese non provi semplicemente a spostare le proprie emissioni di produzione in altri Paesi esteri in cui opera? Inoltre, il picco di emissioni arriverà prima del 2030, ma a che livello e quando sarà? 

 

Una difficile impresa, un grande sforzo

La promessa cinese costituisce sicuramente una grande sfida. Data l’espansione economica del paese, la numerosità della popolazione e l’elevata urbanizzazione, la Cina dovrà sicuramente fare ingenti sforzi sia economici che progettuali per raggiungere i suoi intenti, (così come sta provando a fare l’Europa). Il risultato sperato è la creazione di un’economia resiliente e di una società società inclusiva che non lasci indietro nessuno. La transizione del sistema economico, infatti, causerà problemi ad alcuni tessuti sociali fortemente dipendenti da una economia fossile. Per fare in modo che la transizione sia accettata a livello politico e sociale, è giusto fare questo tipo di considerazioni per rendere il processo il meno impattante possibile sotto tutti i punti di vista.

 

Nonostante per la Cina si tratterebbe di un piano di investimento ingente, a livello generale il ritorno economico dovrebbe comunque essere positivo. Infatti, considerando che il Paese ha una crescita media, negli ultimi anni, del +6-7%, si stima che la transizione green porterebbe il PIL cinese a segnare un ulteriore aumento del 2-3% nella prima metà di questo secolo. Dunque, sforzi odierni in materia di transizione ambientale porterebbero sia dei benefici ambientali che un’ulteriore spinta economica per il paese.

 

Resta da capire se la superpotenza cinese riuscirà ad avviare il piano e a rispettarne le scadenze. 

 

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