Saranno le città a contrastare la crisi climatica?
Le città sono responsabili di circa il 75% delle emissioni globali di anidride carbonica.
di Eleonora Moro
Cinque anni dopo la ratifica dell’accordo di Parigi, i risultati ottenuti dai paesi e le politiche messe in atto per ridurre le emissioni di gas serra sono del tutto insoddisfacenti. La maggior parte degli impegni istituzionali risultano non essere in linea con gli obiettivi dell’accordo. Un recente rapporto delle Nazioni Unite denuncia infatti la scarsa efficacia dei propositi finora concordati: se quest’ultimi non dovessero aumentare di ambizione, le emissioni raggiungeranno le 56 gigatonnellate di gas serra entro il 2030, più del doppio di quanto sarebbe necessario per limitare il riscaldamento a 1 grado e mezzo. Al contrario, le emissioni di gas serra globali sono continuate ad aumentare fino all’arrivo della crisi pandemica, che porterà ad un calo, nel 2020, tra il 4 e l’8 per cento.
Il ruolo delle città
Le città, nel contesto della lotta alla crisi climatica, sono una realtà sempre più importante: a livello globale, le popolazioni urbane rappresentano il 55% dell’intera popolazione mondiale, oltre l’80% del prodotto interno lordo, e circa il 75% delle emissioni di anidride carbonica. Questa combinazione di grande rilevanza demografica ed economica, insieme al loro impatto ambientale, fa sì che le città siano una causa, ma possano diventare anche una soluzione, ai problemi legati alla crisi climatica. Inoltre, le città sono burocraticamente snelle, e quindi in genere più reattive ed agili delle entità statali; grazie a rapporti più stretti con imprese, residenti e istituzioni possono quindi implementare azioni climatiche urgenti e decisive, spesso con risultati più immediati e di maggiore impatto. In materia di energie rinnovabili, ad esempio, non meno di 100 città in tutto il mondo utilizzano almeno il 70% di energia elettrica ricavata da fonti rinnovabili.
Varie istituzioni cittadine riconoscono il proprio ruolo nella lotta al cambiamento climatico e non mancano di ambizione: a settembre dell’anno scorso, più di 100 città nel mondo si sono impegnate a raggiungere la neutralità carbonica netta entro il 2050.
Molte città si sono unite in coalizioni per avere un maggiore impatto e condividere esperienze di soluzioni ambientali e climatiche, fornendo così modelli di azione ad altre entità cittadine. Spesso però queste iniziative non si impegnano a perseguire un obiettivo specifico, ma piuttosto a intraprendere azioni climatiche, permettendo così ad ogni città di definire i propri obiettivi. Valga come esempio quello delle quasi diecimila città ed amministrazioni locali, rappresentanti circa 770 milioni di persone, che, riunite nel Patto globale dei Sindaci, (il più grande movimento al mondo per le azioni locali in materia di clima ed energia), si sono impegnate a ridurre le proprie emissioni.
Ciò non obbliga a perseguire un obiettivo specifico, ma piuttosto a sviluppare un piano d’azione climatico monitorando i progressi almeno ogni due anni. Ancora, negli Stati Uniti, più di 280 città, università ed altri attori locali si sono impegnati ad intraprendere azioni climatiche coerenti con gli obiettivi dell’accordo di Parigi, come ad esempio progetti di energia rinnovabile ed efficienza energetica negli edifici pubblici e creare incentivi per il rinnovamento sostenibile di edifici privati, nel tentativo di contrastare l’evidente mancanza di ambizione a livello nazionale.
Le motivazioni
Il nuovo protagonismo delle città non è dovuto solo al loro rapporto più diretto col tessuto socioeconomico, ma anche dalla loro particolare esposizione agli effetti catastrofici del cambiamento climatico: più del 90% delle zone urbane del mondo sono situate in prossimità di coste, dove l’innalzamento del livello del mare, inondazioni e forti tempeste costiere minacceranno sempre di più gli abitanti e le infrastrutture.
Vari altri fattori, tra cui l’inquinamento dell’aria, spiegano il maggiore impegno a ridurre le emissioni da parte delle autorità urbane. Ben il 90% della popolazione urbana globale nel 2016 è stata esposta ad aria inquinata – misurata sotto forma di polveri sottili (PM2.5) – e più della metà della popolazione urbana ha affrontato livelli di PM2.5 almeno 2 volte e mezzo superiori allo standard di sicurezza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (cioè una media di 10 microgrammi per metro quadrato in un anno).
L’effetto dell’aria inquinata sulla salute umana non è un problema soltanto delle note città asiatiche, ma anche di quelle europee ed italiane: in Italia si stima che nel 2016 siano stati 76.200 i decessi prematuri dovuti all’inquinamento dell’aria. Città come Pechino, Nuova Delhi e Seoul hanno adottato politiche ambientali per ridurre i livelli di inquinamento dell’aria a cui i propri cittadini vengono da lungo tempo esposti, come ad esempio l’allestimento di impianti solari sul tetto di edifici comunali a Nuova Delhi, o le misure adottate dalla città di Pechino per ridurre o chiudere gli impianti a combustibili fossili.
Le opportunità socioeconomiche offrono un’ulteriore motivazione affinché le città adottino decisioni di difesa degli equilibri climatici a livello locale. Le politiche ambientali spesso attraggono nuove industrie e forniscono l’opportunità di sviluppare nuovi settori meno impattanti a livello ambientale. Queste non soltanto portano alla creazione di nuovi posti di lavoro, ma possono anche rendere credibile l’ambizione delle città di definirsi “verdi” e “sostenibili”. Con nuove, evidenti possibilità economiche e sociali: più residenti, più turisti e più imprese a basso impatto ambientale.
Le città di Friburgo, Ginevra, Vancouver e Copenhagen ad esempio, sono tra le sempre più numerose città che utilizzano le loro strategie climatiche come strumento di marketing per attrarre lavoratori, turisti e imprese. Tuttavia, perché le nuove politiche siano ‘virtuose’, occorrerebbe che la nuova occupazione generata non abbia essa stessa un impatto ambientale globalmente negativo sul territorio circostante. Sarebbe perciò auspicabile che gli amministratori delle comunità locali valutino l’impatto ambientale delle nuove industrie considerando il breve, medio e lungo periodo.
Le città a livello internazionale
In conclusione, le città giocano un ruolo chiave nel perseguimento degli obiettivi di risanamento climatico sia a livello locale che nazionale e internazionale. Secondo alcune stime, il 65% degli obiettivi che riguardano gli SDG (gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, dall’inglese Sustainable Development Goals) non verranno raggiunti senza il coinvolgimento delle città e delle amministrazioni locali, dato il loro ruolo chiave e le loro competenze tecniche e burocratiche in settori quali l’energia, le infrastrutture, i trasporti, l’edilizia abitativa, l’uso dell’acqua e del suolo.
Ciò spiega come, pur essendo stati gli SDG negoziati tra nazioni, molte organizzazioni abbiano giustamente elaborato iniziative per realizzare quegli obiettivi a livello locale. Molte città, e coalizioni di città, hanno inoltre svolto un prezioso ruolo di stimolo affinché politiche ambientali più ambiziose venissero perseguite a livello regionale e nazionale. Un esempio consiste nella pressione, durante la recente conferenza climatica COP25 a Madrid, fatta da coalizioni cittadine sui delegati nazionali, affinché proponessero obiettivi più stringenti ed ambiziosi.
Nonostante le loro forti motivazioni e la loro importanza demografica ed economica, le città si trovano ad affrontare sfide decise/imposte da politiche nazionali: molte di esse non hanno né l’autorità istituzionale né gli strumenti legali per perseguire i loro obiettivi climatici. Ad esempio le norme edilizie e le regolamentazioni sull’efficienza dei veicoli o degli apparecchi sono determinate a livello nazionale ed hanno un’influenza diretta sulle strategie ambientali delle città. Inoltre, la tassazione, la regolamentazione ambientale e la struttura del mercato dell’elettricità, essendo determinati in gran parte dalle politiche nazionali, limitano spazi di iniziativa per le autorità locali. Ciò vale in particolare per le regioni in cui il controllo subnazionale è più debole, come in alcune parti dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e del Medio Oriente.
È perciò importante che i governi nazionali, nonché gli altri attori climatici, comprese le organizzazioni internazionali e la società civile, riconoscano il ruolo cruciale delle città nell’affrontare i cambiamenti climatici, magari potenziando la loro capacità di azione e coinvolgendole sempre di più nei dibattiti politici.
Questo articolo si basa in parte sul Renewables in Cities 2019 Global Status Report. Per sapere di più sul ruolo delle città nel promuovere le energie rinnovabili, accedi alla pubblicazione qui (in inglese).
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