Clatrati, opportunità o minaccia?
I clatrati hanno iniziato ad attirare l’attenzione della comunità scientifica presentandosi come alternativa all’utilizzo di combustibili fossili, ma c’è un altro lato della medaglia: il loro preoccupante impatto sul clima.
A cura di Giulia Perotti e Silvia Pugliese
I clatrati sono composti chimici paragonabili a delle gabbie (Figura 1). Il termine clatrato deriva dal latino “clatratus” che significa per l’appunto “chiuso con inferriata”. Immaginatevi dunque un reticolo di molecole “ospitanti” in grado di racchiudere molecole “ospiti”. Ecco, questa è la struttura che li caratterizza.
Tra i diversi tipi di clatrati esistenti, i più studiati sono quelli idrati, in cui le molecole ospitanti sono molecole di acqua ghiacciata che, come conchiglie, racchiudono al loro interno molecole di gas, come anidride carbonica (CO2), idrogeno o metano (CH4). Sebbene abbiano l’aspetto di semplice ghiaccio, i clatrati di metano hanno un comportamento molto diverso. Per via del loro alto contenuto di gas, se posti vicino a una fiamma bruciano ed è per questo motivo che sono anche noti come “ghiaccio che brucia”.
Figura 1. I clatrati di metano e la loro struttura a gabbia.
Le molecole di acqua (H2O) racchiudono al loro interno il metano (CH4).
Dove trovarli?
Studi condotti dalla United States Geological Survey (USGS) hanno individuato innumerevoli giacimenti di clatrati di metano nel permafrost e sotto il letto oceanico, a 300 metri di profondità (Figura 2). I batteri che abitano questi luoghi si nutrono di materiale organico e rilasciano metano, che a queste alte pressioni (3-30 MPa) e basse temperature (10-25 ℃) viene intrappolato.
Queste condizioni sono necessarie: se la temperatura non fosse abbastanza bassa, l’acqua non sarebbe ghiacciata, e i legami idrogeno della struttura chimica non potrebbero creare cavità per ospitare il metano. Parallelamente, le alte pressioni sono essenziali in quanto stabilizzano il gas, che in questo modo rimane all’interno dei clatrati, senza sfuggire.
Le ricerche dell’USGS stimano che la quantità di carbonio contenuta nei clatrati di metano oceanici sia pari a diecimila miliardi di tonnellate, vale a dire, il doppio rispetto a quella rimasta nei giacimenti di carbone, petrolio e gas naturale sfruttati finora. Per darvi un’idea concreta, il metano estraibile dai clatrati sarebbe in grado di soddisfare il fabbisogno mondiale di gas metano da 80 a 800 anni. Un metro cubo di clatrato è infatti in grado di inglobare una quantità di gas stratosferica, ben 160 metri cubi di gas a temperatura ambiente. Da questi numeri si deduce che i clatrati di metano costituiscono un’immensa risorsa di gas naturale: il loro sfruttamento potrebbe aiutarci nella riduzione dell’utilizzo di combustibili fossili e nella transizione verso energie rinnovabili.
Figura 2: La distribuzione dei giacimenti di clatrati di metano.
In blu: giacimenti accertati. In rosso: giacimenti da verificare. © Usgs
Un’alternativa ai combustibili fossili
I clatrati di metano sono noti da tempo alle società petrolifere. Già nel 1930, quando si iniziarono ad utilizzare i gasdotti con l’intento di trasportare gas in zone fredde, si notò che i tubi erano intasati da una sostanza simile a ghiaccio (Figura 3). Ci vollero svariati anni prima che ci si rendesse conto che non si trattava di ghiaccio, bensì di clatrati di metano! Successivamente vennero messe a punto delle tecniche per ridurne la formazione, ma ancora oggi i clatrati di metano bloccano il flusso di gas nei gasdotti, incidendo sui costi. Sarebbe dunque doppiamente vantaggioso riuscire a estrarre il metano contenuto nei clatrati, evitando al contempo i costi dovuti al blocco delle tubature.
Figura 3: Tubature intasate da clatrati di metano (sopra).
Esempio di un clatrato di metano estratto (sotto). © Unina
Lo sfruttamento dei clatrati di metano, data la loro abbondanza e le loro risorse, fa gola a molti Paesi, primi fra tutti quelli la cui economia dipende in larga misura dall’approvvigionamento energetico: Stati Uniti, Russia, Cina, Germania e Giappone. Tuttavia, l’estrazione del metano nei clatrati è pericolosa e presenta numerose difficoltà ingegneristiche e ambientali. In primis, operare alle grandi profondità (superiori a 300 m) dove si trovano i giacimenti costituisce un problema non indifferente. Il clatrato di metano è stabile ad alte pressioni sui fondali, ma il reticolo che li compone si sfalda facilmente a mano a mano che viene portato in superficie. Inoltre questa procedura estrattiva potrebbe causare ingenti perdite di metano nell’atmosfera e negli oceani, con conseguenti esplosioni e impatti sul clima del pianeta.
I clatrati di metano e il loro impatto sul clima
Non bisogna infatti dimenticare che il metano è un potente gas serra. Basta considerare il fatto che su un periodo di 100 anni, una tonnellata di metano ha un potenziale di riscaldamento globale che è da 28 a 36 volte più grande dell’anidride carbonica. Il metano interagisce fortemente con l’atmosfera e il clima, attraverso un vasto numero di feedback e reazioni chimiche.
Quando il permafrost si scalda per via dell’innalzamento della temperatura globale, non solo il metano intrappolato nei clatrati può sfuggire, ma il suolo si scongela e l’attività microbica aumenta; gli scienziati sono particolarmente preoccupati per questo secondo aspetto, in quanto la crescita di questi microorganismi minaccia di aumentare le emissioni di CO2 e CH4 in maniera incontrollata. Tutto ciò non fa altro che peggiorare il problema del surriscaldamento della superficie terrestre, il quale a sua volta porta allo scioglimento di più ingenti quantità di ghiaccio, e così via, in un circolo vizioso quasi impossibile da arrestare.
È per questo che oggi l’interesse per le tecnologie di controllo e mitigazione del metano è più alto che mai. Per via del suo alto potenziale di riscaldamento globale, la riduzione delle emissioni di metano potrebbe fornire risultati tangibili nella guerra al cambiamento climatico in tempi molto brevi rispetto ai benefici della riduzione dell’anidride carbonica, che arriveranno più tardi. Ma questa è un’altra storia.
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