Cos’è il “climate despair” e come possiamo combatterlo
Ora che è entrato nelle nostre vite, il cambiamento climatico sta cominciando a intaccare anche la nostra salute mentale. C’è qualcosa che possiamo fare?
Il modo di dire inglese “ignorance is a bliss”, che trova la sua origine in una poesia del XVIII secolo, descrive un ironico stato di beatitudine di chi, ignorando un fatto o una situazione spiacevole, non può esserne turbato. Uno stato di inconsapevolezza ormai rara, in un mondo in cui le informazioni e le news dell’ultima ora viaggiano alla velocità della luce (letteralmente). Siamo costantemente bombardati da notizie che ci distolgono dal qui e ora per catapultarci nel bel mezzo delle proteste in Bielorussia o nelle spiagge nere di petrolio delle Mauritius, tra le macerie di Beirut o tra le fiamme degli indomabili incendi in California. A pensarci bene, la maggioranza delle informazioni che ci assalgono da dietro lo schermo sono brutte notizie.
Come arma di difesa, talvolta chiudiamo gli occhi e scrolliamo via, altre volte cerchiamo di allontanarci e prendere le distanze da ciò che leggiamo in modo da minimizzare il nostro coinvolgimento emotivo. Una sorta di “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Talora optiamo per negare l’apparente: la negazione è, infatti, una risposta emotiva comune a situazioni percepite come minacciose e ineludibili, che portano a un senso di impotenza, inadeguatezza, disperazione.
Si può immaginare che avvenga lo stesso nei confronti della crisi climatica, ma non è così facile. La crisi climatica, infatti, ha l’innata caratteristica di essere globale e scientificamente provata; risulta difficile in questo caso coprirsi gli occhi, negare e guardare altrove.
Cos’è la “disperazione climatica”, e chi colpisce
Sembrerebbe che un numero crescente di persone stia iniziando a soffrire di disturbi mentali dovuti a stress e ad ansia connessi al cambiamento climatico. Alcuni lo definiscono “climate despair” (disperazione climatica, in italiano), per descrivere quel senso di impotenza di fronte alla crisi climatica quale forza irrefrenabile che farà estinguere, eventualmente, l’umanità e che rende la vita nel frattempo essenzialmente vana.
Colpisce, innanzitutto, chi vive le conseguenze del cambiamento climatico in prima linea: dopo l’uragano Katrina, ad esempio, i residenti delle aree colpite mostrarono un incremento pari a piú del doppio sul tasso di suicidio o volontá di suicidarsi, mentre un sesto presentava i sintomi da disturbo da stress post-traumatico. Quest’ultima condizione, che perdura per parecchi anni, è comune anche tra le persone che sopravvivono a incendi e temporali estremi.
Sarebbe tuttavia riduttivo limitare il climate despair solo a chi subisce i cambiamenti climatici sulla propria pelle. Questo condizione è piuttosto comune a chiunque si tenga informato sulle sorti del mondo. Episodi di depressione, pensieri suicidi, ansia e altri problemi di salute mentale sono stati riconosciuti come “condizioni sensibili al clima” persino dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO).
Grazie al pronunciato e rinnovato impegno collettivo delle generazioni più giovani, negli ultimi tre o quattro anni il clima è entrato a far parte del dibattito sociale e culturale. Conseguentemente, anche il numero di casi di pazienti affetti da attacchi d’ansia e depressione collegati alla crisi climatica è salito vertiginosamente. La stessa American Psychological Association (APA) ha affermato che le conseguenze di tale fenomeno non sono distribuite equamente, e che alcune fasce di popolazione ne risentono maggiormente: persone a basso reddito, cittadini di colore, popolazioni indigene. Alcuni la chiamano “eco-ansia”, altri “melanconia ambientale”, “climate anxiety” o “eco-nichilismo” ma anche “futilitarianismo umano”. Altri ancora sconsigliano di leggere articoli a riguardo. Una delle prime voci ad aver parlato parlato apertamente dell’ansia depressiva da cambiamento climatico è stata proprio Greta Thunberg.
E come si fa a restare positivi quando ti dicono che ogni bambino nato oggi soffrirà a livello di salute o avrà a che fare con le conseguenze dell’inarrestabile cambiamento climatico in tutti gli stadi della sua vita? E che vivrà in un mondo in cui la temperatura sarà 4 gradi più alta rispetto alla media pre-industriale (con annesse conseguenze su ecosistemi e eventi meteorologici estremi)?
Il cane che si morde la coda
Tanto più aumenta la preoccupazione nei confronti delle sorti del mondo, tanto più alto il livello di stress verso il futuro, soprattutto per coloro che riceveranno una Terra allo stremo e dovranno abitarla nel vicino 2100. Il senso di disperazione climatica che pervade oggigiorno è conseguenza diretta del fatto che la crisi climatica non è mai stata così presente nella nostra quotidianità; la ritroviamo nelle nostre città allagate, nell’agenda politica e nei nostri discorsi a tavola.
E se da un lato insistere sull’attualità della crisi è condizione necessaria per creare la giusta pressione negli organi decisionali di governo, dall’altro, si fa spazio la sensazione di vivere in una bolla surreale, in cui tutto sta già accadendo ma nessuno sembra aggiustare le proprie abitudini di conseguenza. Milioni di persone continuano a guidare automobili inquinanti, altrettante seguono a consumare quantità di carne non sostenibili, come se tutto fosse normale. Il senso di inutilità e di frustrazione che ne deriva, ma anche la sensazione di vivere in una perenne emergenza non ancora affrontata, sono alla radice del cosiddetto climate despair, popolare tanto tra le nuove che tra le passate generazioni.
Come quando ci sentiamo impotenti di fronte ad un’ingiustizia, l’unico modo per superare il trauma è rimboccarsi le maniche e affrontarla, convincendo tutti quelli attorno a fare lo stesso. Per questo, nonostante tutto, è importante trovare un equilibrio tra sentire parlare di clima (e quindi, possibilmente, soffrire d’ansia), e la necessità di dover parlare di clima per combattere la fonte di quell’ansia. Forse, venire ascoltati, sentirsi parte di un movimento ambizioso e con spirito di iniziativa esecutivo, vivere in un paese il cui governo e i connessi organi subnazionali e sovranazionali dimostrino di impegnarsi e di prendere sul serio la minaccia, potranno accompagnare, se pur non sostituire, l’assistenza necessaria per combattere quest’ulteriore fonte di stress mentale.
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