Come cambiare il clima con le parole
Gran parte della comunicazione ambientale si concentra sul suscitare le emozioni dei lettori. È una buona strategia?
“Molte parole, pochi fatti”: quanto spesso abbiamo pensato o sentito dire questa frase quando si parla di clima? Una riflessione amara, che nasconde però un errore di fondo, perché neanche le parole sono ancora abbastanza: sui mezzi di informazione, nelle dichiarazioni politiche, ma anche in famiglia o con gli amici, parliamo troppo poco della crisi climatica in atto.
La comunicazione climatica deve invece rappresentare un caposaldo della difesa del clima per una serie di motivi fondamentali: parlare di clima aumenta la nostra consapevolezza del problema; ci aiuta a cercare più dati e conferme a verifica delle informazioni che riceviamo; questi dati creano un quadro più preciso di quello che si è fatto e di ciò che serve fare per andare avanti sulla via giusta, e questo può spingerci ad agire, una volta che abbiamo tutti i mezzi a disposizione per farlo. E agire vuol dire farlo come singoli, tramite le azioni quotidiane, ma anche come cittadini, cioè puntando ad avere un’influenza reale e significativa sulla politica.
Per giungere a questo risultato, tuttavia, la comunicazione sul clima deve essere fatta in maniera corretta, altrimenti non sempre parlare di clima, ambiente e meteo si rivela positivo.
Come dire quel che vogliamo dire a chi vogliamo dirlo
Partiamo da una buona notizia, e cioè che discutere di cambiamento climatico, a qualsiasi livello, con chiunque, può aumentare la comprensione del problema e anche la predisposizione a considerarlo come una questione urgente e condivisa. Per questo, anche se doveste finire a litigare con vostra zia, convinta che il suo SUV non causi l’inasprimento delle condizioni climatiche, non scoraggiatevi: lei negherà di fronte a voi, ma poi andrà a documentarsi sull’argomento, e il primo passo sarà compiuto.
A volte il confronto si fa più spinoso: la persona con cui discutiamo potrebbe tirare fuori qualche informazione che smentisce, almeno in apparenza, la validità delle nostre parole (dicendo, ad esempio, che il clima è sempre cambiato e che le attività umane non c’entrano niente).
A tali affermazioni si deve rispondere con i fatti, ormai inequivocabili: il mondo scientifico è concorde sulle cause del cambiamento climatico (siamo noi!), e se è vero che modificazioni di meteo, ambiente e clima non seguono sempre l’opera dell’uomo, altrettanto vero è che mai sono avvenute in maniera tanto sistematica.
Per questo, ciò che si sta cercando di definire con più precisione ora non è il “se” le inondazioni, le temperature, la siccità e le crisi idriche, aumenteranno, ma il “quando” questo avverrà. Poiché qualcuno ancora mette in dubbio quella che è una verità scientifica, è importante non fornire appigli comunicando in maniera strategica e incisiva. Ad esempio, dire che il 97% degli scienziati è d’accordo sul considerare l’uomo come responsabile del cambiamento climatico lascia uno spazio, seppur minimo, per aprire una discussione sul rimanente 3%. Dire però che il numero di scienziati sicuri delle cause del cambiamento climatico è uguale a quello degli scienziati certi del rapporto tra fumo e tumore può contribuire a dare un quadro altrettanto veritiero ma forse più convincente del precedente.
Altro elemento fondamentale è mantenere la conversazione su toni costruttivi: uno degli atteggiamenti più comuni a chi parla di cambiamento climatico, sia che voglia combatterlo sia che non vi creda davvero, è quello di voler difendere le proprie opinioni ad ogni costo. Chi è interessato alla questione tende allora ad informarsi secondo fonti che confermano le proprie credenze, e a refutare quello che sostiene la parte avversa; questo, tuttavia, non fa che polarizzare la situazione ostacolando un dialogo aperto. Il problema è di tutti, perché se Trump sostiene che il riscaldamento globale non esiste perché non ci sono mai state temperature così basse negli Stati Uniti, bisogna badare, dopo averlo corretto, a non commettere lo stesso errore dalla parte opposta, prendendo ogni avvenimento meteorologico come la conferma irrefutabile del cambiamento climatico in atto.
La paura non funziona
Gran parte della comunicazione ambientale si concentra sul suscitare le emozioni dei lettori: gli articoli di giornale, parlando di clima, titolano “ultima chiamata”, “il tempo è quasi scaduto”, “il collasso ambientale è vicino”, cercando di comunicare insomma un’impressione di urgenza, pericolo, paura e colpa. Certo, di sicuro incipit del genere attirano click e attenzione sul contenuto dell’articolo; ma le emozioni, se non gestite adeguatamente, rischiano di ritorcersi contro chi le usa.
Prendiamo la colpevolizzazione dei comportamenti poco sostenibili: prendere la bicicletta è una possibilità che può avere chi abita vicino al posto di lavoro, non certo i pendolari; rinunciare alla plastica non è semplice se si ha poco tempo o non si ha modo di trovare delle alternative. Nella comunicazione ambientale, dunque, è essenziale non mettere alla berlina i comportamenti sbagliati, tanto quanto ispirare quelli corretti, perché questo evita la creazione di ritrosie che si legano al vissuto personale e alle possibilità economico-sociali individuali.
Ancora più importante da accettare è che, parlando di cambiamento climatico, la paura non funziona. Spesso si tende a raccontare il cambiamento climatico volendo incutere timore: “se non si è fatto nulla finora, è possibile che la paura possa farci cambiare idea” pensa qualcuno. In effetti la paura aiuta a porre l’accento sulla questione; tuttavia, ci rende anche immobili, perché convinti di non poter fare la differenza contro qualcosa di tanto spaventoso. Per questo, le emozioni devono essere gestite con grande consapevolezza, quando si parla di cambiamento climatico:
- si deve scegliere su quali elementi concentrare la comunicazione che esiste un rischio;
- bilanciare emozioni come la preoccupazione con informazioni e i dati, in modo che questi possano rimanere impressi nella mente quando la prima svanisce;
- riconoscere che il rischio ambientale si cumula ad altri (individuali e non), e non porlo quindi come unico argomento che valga la pena affrontare;
- comprendere la necessità di aggiornamento della comunicazione ambientale quando le immagini più conosciute non suscitano più le giuste reazioni.
Invertire la tendenza
Il mondo si prepara alla prima settimana di sciopero climatico della storia. L’Italia ospiterà la prossima COP per i giovani e le conferenze tecniche sul clima. In un quadro del genere, discutere di clima è ormai una necessità. Eppure, nel nostro Paese non si parla molto spesso di clima. Sapere come farlo, allora, diventa importante non solo per creare nuovi canali di comunicazione con chi non sa (o preferisce non sapere), ma soprattutto per mantenere aperto un dibattito proficuo per tutti. Il mondo scientifico che indica da anni la strada da percorrere, la politica è refrattaria al cambiamento, e la situazione climatica peggiora velocemente; per tutte queste ragioni, rendere il cambiamento climatico un argomento comune, quotidiano (e, perché no, anche da bar) può contribuire a spostare l’attenzione sulla necessità di agire, di farlo in fretta e, soprattutto, senza lasciare nessuno indietro.
**Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di altre organizzazioni ad essa collegate**
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