Cosa è stato deciso alla COP26?
Il “patto di Glasgow” è stato accolto positivamente da molti: ecco il nostro punto di vista.
le foto nell’articolo sono di Viola Madau
Venerdì 12 Novembre si è conclusa la COP 26, ovvero la ventiseiesima conferenza internazionale sul clima. Come scopo principale di questo importante incontro, la presidenza britannica si era posta l’ambizioso compito di “mantenere in vita l’obiettivo 1,5°C”, riferendosi all’obiettivo dell’Accordo di Parigi di mantenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto del grado e mezzo centigrado entro la fine del secolo.
Che ci siano riusciti o meno è oggetto di dibattito, tuttavia il “patto di Glasgow” emerso dal vertice è stato accolto positivamente da molti, soprattutto per il suo impegno a raddoppiare i finanziamenti per l’adattamento e per l’aver chiesto ai paesi di presentare impegni climatici più ambiziosi il prossimo anno.
Diversi climatologi, attivisti e negoziatori sono tuttavia rimasti delusi dal fatto che questa COP ancora una volta non sia riuscita a fornire alle nazioni vulnerabili una quantità adeguata di finanziamenti per rispondere agli inevitabili impatti del cambiamento climatico.
In questo breve articolo, ripercorreremo insieme i punti più salienti della conferenza.
Il patto di Glasgow
La COP26 si è conclusa con l’adozione del patto di Glasgow, una decisione politica di ampio respiro verso una risposta climatica più ambiziosa a livello mondiale. Sono almeno tre i punti che rendono l’esito di questo patto favorevole:
Il patto riafferma l’impegno dei Paesi di mantenere l’aumento della temperatura media globale a 1,5°C, anziché 2°C. Già nel 2018, il report speciale dell’IPCC aveva sottolineato la fondamentale necessità di fare il più possibile per raggiungere l’obiettivo di 1,5°C. Il mezzo grado centigrado che separa i due obiettivi sarebbe infatti sufficiente per arrecare danni significativamente maggiori al nostro pianeta e agli ecosistemi. Nell’ultimo anno soprattutto, la comunità internazionale ha finalmente colto con più serietà le raccomandazioni dell’IPCC. Il patto di Glasgow ne è un’importante dimostrazione.
Il patto chiede ai Paesi di rivisitare e rafforzare i rispettivi NDC (contributi determinati a livello nazionale) entro la fine del 2022. Secondo gli ultimi dati dell’UNFCCC, gli obiettivi dichiarati dai Paesi sono gravemente insufficienti per mantenere l’innalzamento della temperatura entro il 1,5°C. Gli obiettivi comunicati finora porterebbero infatti ad un aumento delle emissioni di gas serra del 13,6% entro il 2030.
Tuttavia, per riuscire a raggiungere l’obiettivo di 1,5°C, bisognerebbe arrivare ad una diminuzione del 45% delle emissioni entro il 2030. Il divario è impressionante. Questo punto del patto di Glasgow è molto rilevante perché, secondo l’accordo di Parigi, i Paesi sono chiamati a rivisitare i propri NDC ogni cinque anni; con il prossimo ciclo di NDC previsto per il 2025. Vista l’urgente necessità di aumentare l’ambizione internazionale, il patto di Glasgow anticipa questa scadenza di tre anni.
Infine, il patto chiede ai Paesi di accelerare gli sforzi per limitare l’uso del carbone e per eliminare i sussidi ai combustibili fossili. I combustibili fossili ed il carbone in particolare sono i principali responsabili delle emissioni di CO2 a livello globale. Eppure, ancora oggi, il carbone contribuisce ad oltre un terzo della produzione mondiale di elettricità. Ridurne l’uso e passare a fonti energetiche più pulite come le energie rinnovabili è assolutamente necessario per riuscire a mitigare efficacemente il cambiamento climatico.
Sembrerà incredibile, ma con il patto di Glasgow è la prima volta che una decisione COP fa un riferimento diretto nel testo alla necessità di limitare l’uso dei combustibili fossili. In questo senso, questo testo rappresenta un grande passo politico e, ci si augura, spianerà la strada a un linguaggio più deciso e ambizioso in futuro.
Il regolamento dell’Accordo di Parigi, o Paris Rulebook
Uno degli esiti più attesi della COP26 era la finalizzazione del “regolamento” dell’accordo di Parigi, o Paris “Rulebook”: una serie di testi tecnici contenenti le regole e linee guida alla messa in pratica dell’accordo di Parigi. Tra queste, ad esempio, le regole e le tabelle per la rendicontazione degli inventari nazionali di gas serra, o le tabelle per la rendicontazione del progresso verso il raggiungimento degli obiettivi espressi negli NDC.
Un importante tassello mancante del Rulebook erano le regole per l’attuazione dell’articolo 6, il quale definisce i mercati internazionali di carbonio. Le regole per l’articolo 6 sarebbero dovute essere state finalizzate nel 2018, ma a causa della natura molto politica dell’argomento, i Paesi non sono mai riusciti a trovare un accordo.
Alla fine, i Paesi sono stati costretti a scendere a compromessi significativi sulle loro posizioni di partenza, con molteplici alleanze negoziali che hanno dovuto violare le loro “linee rosse”, cioè quelle posizioni iniziali a cui solitamente non si rinuncia. Ma l’accordo raggiunto alla fine è sufficientemente ambizioso per permettere delle buone regole che governino i mercati internazionali di carbonio.
Finanza climatica e adattamento
Nel 2009, i paesi ricchi hanno concordato che i paesi poveri avrebbero ricevuto almeno 100 miliardi di dollari all’anno entro il 2020, da fonti pubbliche e private. Cioè è stato deciso per supportarli a ridurre le emissioni e far fronte agli impatti della crisi climatica. Ma nel 2019, l’ultimo anno per il quale sono disponibili i dati, sono fluiti solo 80 miliardi di dollari.
I paesi in via di sviluppo sono quindi rimasti delusi dal mancato raggiungimento dell’obiettivo. Durante la COP26, è stato dunque promesso che nei prossimi cinque anni i paesi sviluppati avrebbero intensificato gli sforzi a questo proposito, per riuscire a raggiungere l’obiettivo di 100 miliardi entro il 2023.
Un importante passo in avanti è stata anche la promessa che più fondi sarebbero stati destinati ad attività di adattamento al cambiamento climatico. Questo è importante perché la maggior parte dei finanziamenti per il clima attualmente disponibili va a finanziare progetti di riduzione delle emissioni (mitigazione), come i programmi di energia rinnovabile. Oltretutto, questo accade soprattutto nei paesi a reddito medio, dove questo tipo di progetti potrebbero essere finanziati facilmente senza ulteriori aiuti economici, perché realizzano un profitto e dunque attirano investitori. Ma i paesi più poveri che hanno bisogno di soldi per adattarsi all’impatto del clima estremo lottano per ottenere qualsiasi finanziamento.
Conclusione
Riuscire a dare un giudizio definitivo sull’esito di questa COP26 è molto difficile.
Se immaginassimo di vivere in un mondo ideale, in cui ideali di cooperazione e senso del bene comune prevalgono su qualsiasi interesse nazionale ai tavoli dei negoziati, la COP26 dovrebbe esser definita, senza alcun dubbio, come una delusione. Gli impegni presi dai Paesi non sono sufficienti per raggiungere nessuno degli obiettivi dell’accordo di Parigi, e i paesi in via di sviluppo rimangono ancora severamente a corto di finanziamenti per far fronte agli impatti del cambiamento climatico.
È tuttavia impossibile dare un giudizio così marcatamente definitivo senza tenere conto della realtà dei fatti e del contesto geopolitico in cui si svolgono queste conferenze. Il fatto che la COP26 sia stata in grado, ancora una volta, di raccogliere quasi 200 paesi per discutere e cercare di trovare una soluzione ad un problema globale come il cambiamento climatico, è un successo.
Ogni decisione della COP viene raggiunta solo con il consenso unanime di tutti i paesi presenti. A negoziare il patto di Glasgow, non ci sono stati solo paesi progressisti ed all’avanguardia come la Svezia e la Norvegia, ma anche Paesi il cui sistema economico dipende fondamentalmente dall’estrazione ed uso di combustibili fossili, come Arabia Saudita, Qatar. In questo contesto il fatto che, nonostante queste profonde differenze che dividono i Paesi si sia comunque riusciti a raggiungere un accordo che riconosce la necessità di mettere fine all’uso dei combustibili fossili e di aumentare il supporto per i Paesi in via di sviluppo, è un successo. Non ci sono tanti altri problemi di scala globale che oggi godono della stessa attenzione che viene riservata al cambiamento climatico.
Chiaramente ciò non vuol dire che gli sforzi attuali o misure attuali siano sufficienti per affrontare in modo adatto la crisi climatica. Dobbiamo assolutamente aumentare il nostro livello di ambizione per riuscire ad evitare il peggio. Ma ci stiamo muovendo nella direzione giusta.
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