covid e clima

Cosa ci insegna la pandemia sulle crisi

Cosa ci insegna la pandemia sulle crisi

La sfida che ci troviamo a dover affrontare non sarà solamente una questione economica, ma sociale ed ambientale.  

disegno di Daniela Goffredo

La crisi climatica risuona ancora in alcune dichiarazioni e considerazioni istituzionali, ma non è più in cima alle agende politiche europee e mondiali. Oggi c’è un’altra crisi da risolvere. Una crisi senza precedenti per impatto sociale ed economico. Una crisi differente dai grandi crolli finanziari passati: gran parte delle attività economiche si è fermata in maniera quasi simultanea all’arrivo del virus, e non attraverso una catena di eventi che ha generato un effetto a cascata incontrollato (ad esempio la bolla speculativa immobiliare del 2008). Data, quindi, l’eccezionalità della situazione, l’implementazione delle politiche ambientali e climatiche globali procede a rilento (la pubblicazione della Strategia Europea sulla Biodiversità è stata rimandata) o viene ignorata dai media (il Piano di Azione sull’Economia Circolare è passato in secondo piano).

 

Anche le negoziazioni internazionali su biodiversità e clima, previste per ottobre e novembre 2020, verranno posticipate. Probabilmente non perché non sarà possibile riunirsi in quei mesi, quanto per il fatto che non verrà allocato il tempo necessario per prepararle al meglio. Di fronte a forti perturbazioni, le risposte di sistemi complessi come la nostra società sono difficili da comprendere e soprattutto gestire. Viene da sé che gli sforzi legati al contrasto alla pandemia hanno occupato con prepotenza le agende dei decisori politici. 

 

Come si parla meno di crisi climatica a livello istituzionale e ai telegiornali, così anche tra la popolazione e le aziende c’è ora una ben più grande preoccupazione rispetto al ridurre i consumi o rendere più verde la produzione industriale: l’assenza di liquidità. Ovvero, non circolano più soldi. In termini generali la crisi climatica è diventata secondaria, e la percezione dei rischi ad essa collegati si è abbassata in modo pericoloso.

 

Una questione di resilienza

La stabilità nelle linee politiche, la forza e la resilienza della società occidentale venivano date per scontate in modo superficiale ed errato. Soprattutto la nostra resilienza, intesa come la capacità di far fronte in maniera positiva e proattiva ad eventi traumatici esterni, è stata messa in discussione. Non siamo riusciti ad affrontare il Covid-19 come avremmo dovuto. La nostra incapacità di prevedere choc esterni – unita ad una obiettiva complessità del nostro sistema e ad un’intricata dimensione internazionale – può far sì che un virus porti quasi al collasso i nostri sistemi sanitari, ma anche quelli sociali ed economici, persino intaccando la credibilità di alcune istituzioni internazionali (ad esempio la Banca Centrale Europea, che ha rilasciato opinioni contrastanti durante i primi giorni di crisi pandemica).

 

È bene riflettere su questa fragilità, per essere più pronti alle prossime crisi – ambientali, sanitarie o pandemiche che siano. Il punto, oggi, è capire come. 

 

C’è un concetto dal quale ripartire. Nella pianificazione di un sistema più resiliente non potremo più inseguire ragionamenti prettamente economici: ci sono da considerare anche aspetti ambientali, sociali e climatici. Lo afferma anche il Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) Enrico Giovannini, proponendo al governo italiano un team di esperti di varie discipline che affianchi quello che si occuperà della crisi in corso. La ripartenza delle nostre economie dipenderà dalla natura del prossimo stimolo economico e dei prossimi provvedimenti normativi: per creare un sistema più resiliente, essi dovranno essere più che mai trasformativi. 

 

Due proposte

La sfida che ci troviamo a dover affrontare non sarà infatti solamente una questione economica, ma sociale ed ambientale. Come integrare queste variabili al nostro sistema, per renderlo più resiliente? Ecco due spunti. Uno per l’oggi, l’altro per il domani. 

 

A breve termine, vanno visti tutti i pacchetti per la ripartenza. Il punto non è ritardare i supporti governativi, ma di strutturarli in modo inclusivo e sostenibile. Se lo stimolo non sarà in grado di inserire delle clausole ambientali e sociali connessi alla pioggia di liquidità in arrivo, rimarremo in una società dove circa 75.000 italiani muoiono prematuramente ogni anno per problemi respiratori legati all’inquinamento dell’aria (uno dei danni collaterali più conosciuti e comuni dei combustibili fossili). La Banca Centrale Europea ha appena lanciato un programma di compravendita di obbligazioni statali e private per 750 miliardi di euro. Vanno assolutamente inserite delle clausole ambientali; qui, come nel resto dei programmi di rilancio europei e nazionali. Anche per non tradire lo spirito del Green Deal Europeo approvato lo scorso dicembre.

 

A lungo termine, come proposto ancora da Giovannini, sarà importante istituire degli Istituti pubblici sul futuro, che preparino i paesi ad affrontare choc sistemici di varia natura, e composti da esperti provenienti da diversi settori. Questi istituti sarebbero in grado di offrire ai leader politici nuove opportunità di orientare la ripresa del sistema, attraverso un processo più che mai olistico e di sintesi di varie discipline, in grado di considerare i vari livelli di complessità e interconnessione della società odierna. Come suggerito dal Portavoce di ASviS, si dovrebbe discutere su come bilanciare le necessità di protezione (cassa integrazione, trasferimenti di liquidità, etc.) con quelle di prevenzione (ricerca scientifica sulle interconnessioni di varie discipline) e preparazione (investimenti strategici su sistemi sanitari, transizione energetica, etc.). In questo modo si potrà avviare un ciclo di sviluppo che sia davvero sostenibile e facilitare un reale cambio di paradigma.  

 

Una considerazione sul settore energetico

All’apparenza, il virus può sembrare un toccasana per le nostre emissioni di gas serra. Tuttavia, il fatto che oggi le emissioni siano diminuite non è così importante in un’ottica di medio e lungo periodo. Secondo un documento prodotto da ASviS, la pandemia non sta impattando in modo positivo sugli indicatori di sviluppo sostenibile. Perché, in fondo, la nostra società (il sistema a cui facciamo riferimento) dipende ancora cronicamente dai combustibili fossili, ed in particolare dal petrolio. 

 

Cambiare paradigma significa anche avviare la transizione verso una società non più dipendente dall’oro nero. Ma la transizione energetica non è un’impresa facile. Innanzitutto per motivi strutturali: nonostante i costi di installazione delle rinnovabili siano crollati negli ultimi anni, riuscire ad immagazzinarne l’energia (prodotta in maniera intermittente), rimane una sfida costosa e complessa, anche se conveniente a lungo termine. Una sfida che il nostro presente ha reso ancora più difficile: per una serie di questioni geopolitiche, ma anche a causa della pandemia che ne ha fatto crollare la domanda, oggi il prezzo del petrolio è ai minimi storici. Un’occasione davvero comoda per rilanciare la nostra economia e le nostre società nel breve termine. Molti politici, analisti e gruppi di interesse vorranno ripartire proprio dal petrolio, invece che dalle rinnovabili. 

 

È tuttavia un errore che non possiamo commettere. Non possono più bastare le considerazioni economiche, serve esaminare le dinamiche energetiche attraverso una prospettiva più ampia, di lungo termine. Nonostante la transizione energetica necessiti di ingenti risorse, non facili da trovare in un momento delicato come questo, le istituzioni governative devono rispondere repentinamente. Va evitato il possibile stop di produzione degli impianti rinnovabili e la conseguente perdita della loro economicità, e se necessario andranno prorogati gli incentivi per le rinnovabili. La liquidità dovrebbe essere immessa nel sistema solo in cambio di promesse di transizione energetica, altrimenti nisba

 

Sarebbe semplicemente incoerente, infatti, ripartire dall’espansione del settore petrolifero davanti all’opportunità che si sta verificando. Secondo il capo della Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), il Covid-19 rappresenta una storica opportunità per progettare un futuro sostenibile e stimolare l’economia, riducendo allo stesso tempo investimenti definiti dallo stesso CEO sporchi. Guardiamo oltre il breve termine, perché dopo la pandemia ci sarà da affrontare la crisi climatica. 

 

La crisi nella crisi

Come già affermato più volte su Duegradi, siamo nel bel mezzo di una crisi climatica globale, senza rendercene del tutto conto. A differenza del Covid-19, drammaticamente repentino, tale crisi (purtroppo, per gli amanti delle trame apocalittiche) ha una natura lenta; interviene in modo indolente ma inesorabile sulle nostre dinamiche sociali, geopolitiche, migratorie. Esattamente come nel caso Covid-19, però, è strettamente interconnessa con varie componenti della nostra società, e riduce quella resilienza di cui i nostri sistemi hanno assoluto bisogno.

 

Anche se pandemia e crisi climatica si comportano in modi diversi, quindi, entrambe richiedono uno sforzo di cambiamento paradigmatico nelle nostre scelte pubbliche e private. Scelte che in questi giorni stiamo prendendo, per via della pandemia, in modo molto veloce, e possibilmente comparabili ad un time lapse climatico. Poco ascolto alle grida degli esperti nei primi giorni, disordini sociali poi, e ragionevolezza nella risposta raggiungibile solamente attraverso l’ascolto della comunità scientifica (ed i suoi modelli di previsione). 

 

Con due crisi in corso dalla natura e velocità differenti, è necessario rivedere l’accezione originaria del termine. In greco antico crisi (κρίσις) significa scelta. Fondendo la sapienza greca a quella cinese, ricordiamo come l’ideogramma cinese che significa crisi è composto da due caratteri, uno dei quali esprime il concetto di momento cruciale. Essere in crisi vuol dire dunque essere nella condizione di dover fare una scelta di fronte ad uno spartiacque. È tempo di riconoscere la crucialità del momento e cominciare a costruire una società più resiliente e più pronta alle sfide future.

 

Segui Duegradi su InstagramFacebook TelegramLinkedin e Twitter

**Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di altre organizzazioni ad esso collegate**

Add a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *