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Il “discorso sul malessere”

Il “discorso sul malessere”: quando il Presidente Carter accusò lo stile di vita americano

Ovvero della volta in cui la società consumistica per eccellenza fu costretta a guardarsi allo specchio e scoprì che c’era qualcosa che non andava. 

di Matteo Isidori

 

C’è una crisi energetica in atto. Le imprese sono in difficoltà, molte sono fallite, migliaia di persone hanno perso il lavoro, i viaggi di lunga distanza sono stati annullati. Ci sono proteste nelle città e sfiducia ed incertezza nel futuro. Uno scenario che conosciamo bene da molti mesi. Non siamo nel 2021, ma nel 1979.

 

La crisi energetica degli anni ‘70

Più di 40 anni fa il mondo ha avuto un assaggio di come un sistema produttivo incentrato solo sul petrolio possa collassare a seconda di eventi, politiche e logiche di mercato. 

 

Durante il boom economico degli anni ‘50 e ‘60, i paesi dell’allora blocco occidentale vissero uno sviluppo industriale e tecnologico senza precedenti, che trasformò il mercato da semplice approvvigionamento di beni necessari a mercato di sostituzione: con prezzi più bassi e maggiore potere di acquisto, le persone potevano comprare automobili più performanti, televisori più grandi, elettrodomestici migliori. Ad alimentare questo sistema produttivo di massa vi era una fonte di energia venduta a bassissimo prezzo: il petrolio. Poi, d’improvviso, questo sistema fu sconvolto nei suoi fragili equilibri da dinamiche geopolitiche.

 

 

La crisi scaturì nell’ottobre del 1973 a seguito dell’attacco a sorpresa di Egitto e Siria ai danni dello Stato di Israele nel giorno della festività ebraica dello Yom Kippur. La guerra fu vinta rapidamente da Israele col supporto economico ed armamentario degli Stati Uniti. Un forte sentimento anti-occidentale si diffuse tra tutti i paesi arabi, che decisero di ridurre le esportazioni di petrolio e di aumentarne il prezzo al barile, che passò da 3 a 12 dollari. Questa decisione dei paesi dell’OPEC provocò un forte rincaro dei prezzi dei beni di consumo in Europa e negli Stati Uniti generando una vera e propria crisi economica.

 

Questa situazione di instabilità tra mondo arabo e occidentale si inasprì ancor di più nel 1979, quando la rivoluzione iraniana guidata dall’ayatollah Khomeini ebbe come una delle conseguenze, una importante riduzione della produzione di petrolio iraniano, provocando un ulteriore aumento del costo dell’energia e dei prezzi dei prodotti. 

 

 

Gli Stati Uniti furono tra i paesi maggiormente colpiti, dal momento che nel 1977 l’85% delle importazioni di petrolio greggio negli USA veniva da paesi esportatori dell’OPEC. In una nazione grande quanto un continente, dove le città distano anche centinaia di chilometri tra loro, il carburante è necessario quanto l’acqua per continuare a vivere normalmente, andare a lavorare e ricongiungersi con i propri cari. Diminuendo le scorte ed aumentando il prezzo del petrolio, negli USA si scatenò il panico: lunghissime file alle pompe di benzina, scioperi dei trasportatori e proteste in tutto il Paese.

 

Il 4 luglio 1979, il giorno in cui gli americani celebrano l’Indipendenza, tutti aspettavano il discorso del Presidente, fiduciosi di sentirsi dire che presto il Paese sarebbe tornato alla normalità ed avrebbe superato la crisi energetica. Quello che accadde, invece, fu l’opposto: l’allora presidente Jimmy Carter, l’uomo alla guida della potenza più grande del mondo, non si presentò davanti alle telecamere, e anzi si allontanò per dieci giorni dalla Casa Bianca, dando adito alle teorie più disparate sulla sua salute e a sue ipotetiche fughe. Carter, in realtà, si era ritirato a Camp David, la residenza invernale dei presidenti, ed in quei giorni incontrò i rappresentanti di tutti le parti sociali degli Stati Uniti: politici, sindacalisti, scienziati, imprenditori, religiosi, studiosi, lavoratori ed anche normali cittadini. Il tutto per sentire l’umore del Paese e trovare le idee necessarie per risolvere la crisi più grande che gli americani avevano conosciuto dalla Grande Depressione. 

 

Il “discorso sul malessere”

Il 15 luglio, tornando a parlare alla nazione, il discorso di Carter non fu né ottimista né rassicurante. “Dopo aver ascoltato gli americani” disse il presidente davanti a 70 milioni di persone, “ho realizzato che tutte le leggi del mondo non possono aggiustare quel che c’è di sbagliato in America. Stasera voglio parlarvi di qualcosa più grande del nostro problema energetico o dell’inflazione”, annunciò Carter. 

 

 

La minaccia è quasi invisibile. È una crisi di fiducia. Troppi di noi ora tendono ad adorare il consumismo e non si preoccupano delle conseguenze delle loro azioni. L’identità umana non è più definita da ciò che si fa, ma da ciò che si possiede. Ma abbiamo scoperto che possedere e consumare cose non soddisfa il nostro desiderio di significato. Per la prima volta nella storia del nostro paese, la maggioranza della gente crede che i prossimi 5 anni saranno peggiori degli ultimi 5 anni. Due terzi della gente non vota nemmeno. Come sapete, c’è una crescente mancanza di rispetto per il governo, le chiese e le scuole, i mezzi di informazione e altre istituzioni”.

 

Quella che Carter raccolse a Camp David fu l’immagine di un Paese moralmente allo sbando. Per la prima volta un Presidente disse qualcosa che può suonare come “il problema non è il petrolio, non è l’inflazione. Il problema siamo noi”. Carter comprese che la macchina sulla quale lui e i suoi concittadini sedevano andava ad una velocità troppo elevata. Nell’ottica del Presidente, la conseguenza di questo spasmodico consumismo poteva essere soltanto il fallimento della società

 

Un’impronta ecologica insostenibile

Nel 1979, i cittadini americani avevano l’impronta ecologica più alta del mondo. Più in generale,  a partire dagli anni ‘70, gli esseri umani come specie hanno cominciato a consumare più risorse di quelle che il pianeta Terra riesce a produrre in un anno, aumentando così il proprio deficit ecologico. Nel 2020 abbiamo consumato le risorse di 1.6 pianeti Terra, contraendo un debito impagabile con le generazioni future. Questo utilizzo smodato di risorse è alla base dell’attuale crisi ecologica che stiamo attraversando, così come come dei cambiamenti climatici. E noi oggi possiamo affermare con certezza che questi fenomeno sono il prodotto degli atteggiamenti e delle politiche descritti da Carter oltre quarant’anni fa.

 

L’appello del Presidente

Come negli anni ‘70, ci troviamo di fronte a una crisi sistemica che minaccia il nostro modus vivendi e la cui soluzione potrebbe trovarsi tanto in cambiamenti economici quanto sociali

 

Durante tutti gli anni ‘70, la crescente domanda interna di energia degli USA aveva portato le importazioni dai paesi arabi a quintuplicarsi. Per difendersi dalla dipendenza estera, Carter propose di regolamentare le importazioni, di investire su altre fonti energetiche (rinnovabili e non), di rafforzare il trasporto pubblico e, non da ultimo, sollecitò agli americani a cambiare abitudini

 

 

Vi chiedo per il vostro bene e per la sicurezza della vostra nazione di non fare viaggi inutili, di usare i carpool (condividere i viaggi in auto, ndr) o i mezzi pubblici ogni volta che potete, di lasciare parcheggiata la vostra auto un giorno in più a settimana, di non alzare troppo i termostati per risparmiare energia. Ogni atto di conservazione dell’energia come questo è più del semplice buon senso: vi dico che è un atto di patriottismo. Quindi, la soluzione della nostra crisi energetica può anche aiutarci a vincere la crisi dello spirito nel nostro Paese; può riaccendere il nostro senso di unità”. 

 

Il discorso di Carter non fu un discorso ecologista, fu un discorso sullo spirito dell’uomo. Riequilibrato nei comportamenti e nei valori, capace di vivere in società, tornando a votare chi rappresentasse quegli stessi valori, anche questa volta l’umanità ce l’avrebbe fatta. 

 

Nei quarant’anni che sono seguiti abbiamo continuato a modellare il pianeta Terra a nostra immagine. I campanelli d’allarme suonano ininterrottamente da allora, ed ogni voce inascoltata non fa altro che aumentare il rammarico per quello che si sarebbe potuto fare e che non è stato fatto.

 

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