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Ecocidio: l’ultima moda burocratica o la salvezza ambientale?

Ecocidio: l’ultima moda burocratica o la salvezza ambientale?

Un atto recente del Parlamento europeo apre alla possibilità d’introduzione del reato di ecocidio nell’ordinamento giuridico europeo. Ma se prima non si affrontano le questioni politiche che ci sono dietro la sua definizione, questa iniziativa potrebbe essere solo un enorme buco nell’acqua.

Illuatrazione Beatrice Maffei

di Stefano Cisternino

Il Parlamento europeo ha recentemente adottato una posizione che include una definizione di ecocidio. La nuova definizione considera l’ecocidio un reato punibile, con sanzioni che vanno da multe a pene detentive per aziende e individui colpevoli di crimini ambientali. Questa mossa è stata guidata dalla deputata francese Marie Toussaint, che ha sottolineato come l’attenzione sull’ecocidio sia cresciuta negli ultimi anni, in particolare a seguito del disastro dell’Erika, un petroliere affondato al largo delle coste della Bretagna nel 1999.

 

In un momento storico in cui l’Europa sta affrontando sfide ambientali senza precedenti, l’aggiunta dell’ecocidio all’elenco delle offese punibili dall’UE rappresenta un passo significativo verso una giustizia ambientale più efficace. Tuttavia è fondamentale notare che la proposta originale della Commissione europea è stata criticata per aver “pagato solo un servizio labiale al ecocidio”, secondo Frederik Hafen dell’European Environmental Bureau; in altre parole il solito “bla bla bla” che non è seguito da azioni concrete. 

 

L’adozione finale della direttiva dovrebbe avvenire nei prossimi mesi, durante i cosiddetti colloqui di trialogo tra il Parlamento europeo, la Commissione e i 27 stati membri dell’UE nel Consiglio dell’UE. Se questa definizione sarà mantenuta, tutti gli stati membri, inclusa l’Italia, dovranno riconoscere l’ecocidio nel loro diritto nazionale, un passo che potrebbe avere implicazioni profonde per la giustizia ambientale, sociale ed economica in Italia e in tutta Europa.

 

Gli strascichi dell’invasione dell’Ucraina

In questo contesto, la guerra in Ucraina ha portato una nuova urgenza alla questione dell’ecocidio. L’attacco russo alla diga di Kakhovka in Ucraina è stato descritto dal Presidente Volodymyr Zelensky come un “ecocidio”, sottolineando l’importanza di criminalizzare tali atti a livello internazionale. La distruzione ambientale causata dalla guerra, che include danni per 53 miliardi di dollari a terra, acqua e aria, ha rafforzato l’argomento per l’inclusione dell’ecocidio come reato nel diritto internazionale.

Danni ambientali causati dalla guerra in Ucraina

La Corte Penale Internazionale (ICC) potrebbe svolgere un ruolo chiave in questo contesto. Attualmente, la giurisdizione dell’ICC è limitata a quattro “crimini più gravi di interesse per la comunità internazionale nel suo insieme”: genocidio, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e crimine di aggressione. L’ecocidio potrebbe diventare il quinto crimine grave, soprattutto alla luce delle azioni della Russia in Ucraina, che hanno catalizzato il dibattito sull’ecocidio a livello dell’UE e delle Nazioni Unite.

 

Qual è la situazione in Italia

L’Italia, con la sua bellezza naturale e la sua storia ricca, è stato colpita da una serie di problemi ambientali, dall’inquinamento del suolo e dell’acqua nella Terra dei Fuochi agli eventi climatici estremi sempre più frequenti. Gli agricoltori italiani hanno subito il colpo più duro, con rese agricole ridotte fino al 45% a causa della siccità dello scorso anno. Una legge sull’ecocidio non è solo necessaria ma quasi fondamentale.

 

 

Nonostante l’urgenza crescente, le politiche italiane in materia di clima sono ancora in fase embrionale. Il Ministero dell’Ambiente ha pubblicato il primo Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici solo nel dicembre 2022, dopo quasi quattro anni di ritardo. Inoltre bisogna evidenziare ulteriormente che il piano è ancora in fase di Valutazione Ambientale Strategica, quindi formalmente non è stato ancora adottato. Questo ritardo nell’azione politica rende ancora più cruciale l’adozione di leggi ambientali rigorose, compresa la legislazione sull’ecocidio, per far fronte ai crescenti rischi e vulnerabilità.

 

Questioni ancora aperte

Mentre l’Unione Europea si autocelebra per aver introdotto il concetto di ecocidio nel suo corpus legislativo, è il momento di fare una pausa e riflettere. Chi decide realmente cosa sia un ecocidio? E chi ha il potere di applicare questa etichetta? In un mondo in cui il greenwashing è diventato un’arte sofisticata, c’è il rischio che l’ecocidio diventi poco più che un hashtag alla moda, un grimaldello politico piuttosto che uno scudo per il pianeta.

 

Pensiamo alla selettività nell’applicazione della legge. Prendiamo, ad esempio, il caso di un paese che sceglie di non etichettare come ecocidio le azioni di un alleato economico, pur essendo palesemente dannose per l’ambiente. Questo è un classico esempio di come la politica possa intromettersi in questioni che dovrebbero essere puramente ecologiche. Non è un segreto che la legge possa essere piegata e interpretata in modi che servono gli interessi di pochi a scapito di molti.

 

E poi c’è il greenwashing, l’arte di far sembrare le proprie attività più verdi di quanto lo siano realmente. Immaginate un’azienda che ha ricevuto l’etichetta di ecocidio e decide di lanciare una campagna di pubbliche relazioni per mostrare quanto sia “verde”, senza apportare cambiamenti significativi nelle sue pratiche.

 

Non dimentichiamo poi gli interessi economici. Un paese potrebbe utilizzare l’etichetta di ecocidio come un’arma economica, limitando le attività di concorrenti sotto il pretesto di proteggere l’ambiente. Allo stesso tempo, le aziende potrebbero affrontare costi proibitivi per conformarsi alle nuove leggi, senza che ciò si traduca in un reale beneficio per l’ambiente.

 

Queste questioni rimangono aperte, ma sta di fatto che il movimento per criminalizzare l’ecocidio sta prendendo piede a una velocità vertiginosa, con leggi già in vigore in paesi come Ucraina, Vietnam, Ecuador e Francia. Non solo: anche Brasile e Belgio stanno avanzando nella legislazione, mentre Scozia, Spagna e Paesi Bassi hanno recentemente proposto di rendere l’ecocidio un reato. 

 

Pesi che criminalizzano l'ecocidio

 

Il cambiamento è evidente: con questo strumento legislativo decisioni come quella del Primo Ministro britannico Rishi Sunak potrebbero essere ostacolate dalla minaccia di azioni legali, indirizzando così le politiche verso una direzione più sostenibile. E non si tratta solo di politica: anche i dirigenti delle aziende private sarebbero tenuti a un nuovo livello di responsabilità. Ma la vera rivoluzione sta nel fatto che, col tempo, l’ecocidio potrebbe diventare una sorta di “vincolo naturale” che i governi non potranno ignorare. Quindi, non stiamo parlando solo di una nuova legge, ma di un cambio di paradigma che potrebbe ridefinire il nostro rapporto con l’ambiente.

 

L’inclusione dell’ecocidio nella legislazione è chiaramente un passo avanti. Ma se non affrontiamo le questioni di potere e sovranità che circondano questo termine, rischiamo di creare una legge che è tanto efficace quanto un cerotto su una frattura ossea. È il momento di chiedersi se la definizione e l’applicazione dell’ecocidio dovrebbero essere lasciate nelle mani di pochi burocrati a Bruxelles o se, invece, dovrebbero essere le comunità locali e indigene — quelle che vivono e respirano l’ambiente che viene distrutto — ad avere un posto al tavolo delle decisioni.

 

Immaginate un mondo in cui la “sovranità ambientale” non è solo un concetto accademico, ma una realtà vissuta. Un mondo in cui le comunità locali hanno il potere non solo di definire cosa costituisce un ecocidio, ma anche di perseguirlo. Questo potrebbe essere il momento per decentralizzare il potere e dare voce a chi è più direttamente colpito. Dopo tutto, se l’ecocidio diventa un altro termine alla moda nel glossario dell’ambientalismo burocratico, avremo fallito non solo come custodi del pianeta, ma anche come società democratica.

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