Copertina 226. Cultura - Cattini - Ecologia profonda

Ecologia profonda: etica per un pianeta vivente

Ecologia profonda: etica per un pianeta vivente

Una visione olistica degli ecosistemi e del loro valore intrinseco come sprone all’azione per il clima

di Alessandro Cattini

Grafiche di Cecilia Brugnoli
Illustrazione in copertina di Beatrice Maffei

 

Dall’antropocentrismo a un’etica per il pianeta

L’estrazione, la distribuzione, la gestione e l’utilizzo delle risorse del pianeta hanno sempre avuto implicazioni etiche, connesse al potere di recare benessere o sofferenza ad altri esseri umani, di generare violenza o costruire la pace, di creare opportunità o disuguaglianze. Il trattamento riservato alla natura, quindi, anche da un punto di vista esclusivamente antropocentrico, è sempre stato legato a doppio filo con la possibilità di scegliere tra il bene e il male.

 

Con l’avvento dell’industrializzazione, e del conseguente sfruttamento delle risorse su larga scala che ha causato la distruzione di interi ecosistemi, la riflessione etica è andata oltre l’antropocentrismo, iniziando a elaborare ipotesi anche riguardo al valore intrinseco degli esseri viventi non umani. Per esempio, si è cominciato a pensare questi ultimi non solo come mezzi, ma anche come “fini in sé stessi”, da rispettare e proteggere indipendentemente da quanto ciò possa essere vantaggioso per gli esseri umani.

 

La comparsa del cambiamento climatico globale, infine, ha aggiunto a questo quadro strati di ulteriore complessità, mostrando che il nostro modo di gestire le risorse della Terra ha effetti diretti non solo sugli altri esseri umani e sulle specie viventi, ma anche sull’intero pianeta e sui suoi equilibri generali. Anche quest’ultimo aspetto è divenuto, così, oggetto dell’attenzione della filosofia morale.

 

A fianco delle argomentazioni etiche fondate su principi di giustizia internazionale e intergenerazionale, è emerso quindi un terzo ordine di motivazioni a sostegno di un’immediata e coraggiosa azione collettiva per il clima: quello fondato sulla relazione diretta tra l’umanità, le altre specie viventi e l’intero sistema della vita sulla Terra.

 

Sistemi viventi e gerarchie di valori

Se consideriamo anzitutto il rapporto tra gli esseri umani e le altre specie viventi, è evidente, da un lato, come spiega il filosofo Byron Williston nel suo “The Ethics of Climate Change: An Introduction”, che il valore di ogni essere vivente non è riducibile all’utilità che esso ha per gli esseri umani. Indipendentemente dall’uso strumentale che ne facciamo noi, sono infatti innumerevoli le funzioni che le diverse specie svolgono a beneficio degli ecosistemi.

 

D’altro canto, sostiene sempre Williston riprendendo un’argomentazione di Dale Jamieson (“Ethics and the Environment”), è difficile dedurre da ciò che il valore intrinseco di tutte le specie non umane sia completamente indipendente dalla comprensione che noi, in quanto esseri dotati di razionalità, abbiamo del mondo. Per quanto ne sappiamo, infatti, gli umani sono gli unici a possedere un codice morale, ovvero gli unici in grado di stabilire gerarchie di valori sulla base delle quali decidere come, quando e perché ogni altra specie vada tutelata.

 

Per quanto alcuni filosofi siano contrari all’utilizzo del concetto di “gerarchia” in relazione alla moltitudine degli esseri viventi, bisogna riconoscere che se attribuissimo acriticamente, in ogni momento, a tutto ciò che vive il medesimo valore non saremmo più in grado di spiegare il funzionamento degli ecosistemi, né di capire come agire per proteggerli. Come spiega la scienziata Donella Meadows nel suo “Pensare per Sistemi”, infatti, la creazione di strutture gerarchiche relazionali e interdipendenti è una proprietà naturale dei sistemi complessi (anche di quelli viventi) che permette loro e ai relativi sottosistemi di “fare meglio il proprio lavoro”.

 

Il fatto che gli esseri umani siano gli unici capaci di una comprensione razionale di queste relazioni di interdipendenza, oltre che di attribuire loro un certo valore all’interno della complessa trama della realtà, è per alcuni il segno della superiorità dell’umanità su tutte le altre specie. Altri, invece, ne danno un’interpretazione diversa.

 

L’ecologia profonda e il grande Sé ecologico

Secondo il paradigma filosofico dell’ “ecologia profonda” – radicalmente opposto a quello dell’ “ecologia superficiale”, per il quale le specie viventi hanno un valore esclusivamente in rapporto all’utilizzo che possono farne gli esseri umani – la manifestazione della coscienza, dell’etica e della razionalità umane è indice della presenza di una più estesa coscienza di sé che interessa l’intero cosmo.

 

Questa idea di un “Sé ecologico più grande”, in cui ciascun individuo è chiamato a identificarsi attraverso il proprio percorso di maturazione di una sempre maggiore consapevolezza ecologica, è stata sviluppata, fra gli altri, dal filosofo Arne Naess (“Ecology, Community and Lifestyle: Outline of an Ecosophy”). Con il progredire della comprensione delle relazioni complesse su cui si basa la vita sul pianeta, infatti, secondo Naess si perfeziona l’auto-realizzazione dell’intero cosmo e l’identificazione reciproca tra umanità e natura.

 

L’ecologia profonda, scrive anche il fisico e filosofo Fritjof Capra ne “La Rete della Vita”, “riconosce il valore intrinseco di tutti gli esseri viventi e considera gli esseri umani semplicemente come un filo particolare nella trama della vita”. Essa non li separa dunque dalla natura in virtù della loro razionalità, ma integra la coscienza e la consapevolezza umane all’interno del complesso sistema delle relazioni biologiche planetarie. In questo scenario, pertanto, prosegue Capra, “il rapporto fra una percezione ecologica del mondo e un comportamento corrispondente non è un rapporto logico ma psicologico. […] Se abbiamo la consapevolezza ecologica profonda, o l’esperienza, di far parte della trama della vita, allora vorremmo (e non dovremmo) essere inclini ad aver rispetto per tutto ciò che è parte vivente della Natura”.

 

Sostenibilità e senso del sacro

Dal punto di vista dell’ecologia profonda, l’efficacia del richiamo dell’etica all’azione per il clima e alla tutela della biodiversità pare quindi strettamente dipendente dalla maturazione di uno sguardo ampio e di una comprensione integrale delle molteplici interazioni che regolano gli equilibri planetari. La protezione delle singole specie viventi, inoltre, sembra non poter prescindere dalla considerazione delle loro relazioni di interdipendenza, così come la comprensione del loro ruolo negli ecosistemi è determinante per valutare come prendersi cura di questi ultimi.

 

Nella cornice di questa interpretazione olistica della realtà, anche le visioni spirituali del rapporto umanità-natura assumono un ruolo fondamentale a sostegno dell’etica del cambiamento climatico. Da queste ultime scaturisce, infatti, una lettura differente di quei sacrifici necessari a garantire alle popolazioni più povere e alle giovani generazioni un pianeta sicuro dove vivere e un futuro all’altezza della dignità umana.

 

Laddove ci identifichiamo come parte della natura stessa e scopriamo di poter provare empatia nei confronti di tutti gli altri esseri viventi, la sostenibilità diventa un bisogno profondo che ci spinge al “sacrificio” nel senso etimologico del termine. Il pianeta assume così i contorni di qualcosa “da rendere sacro”, ovvero “separato” dalla nostra volontà di disporre di tutto a nostro piacimento, “da mettere da parte” per coloro che verranno, e da custodire come la cosa più preziosa.

 

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