Economia circolare

Economia circolare: come funziona e perché è meglio di quella lineare

Economia circolare: come funziona e perché è meglio di quella lineare

L’economia circolare prende a modello l’ecosistema terrestre e la sua capacità di rinnovarsi attraverso infiniti cicli naturali

 

Colpendo il problema dalle fondamenta

In questa serie di articoli “economichevoli”, un po’ economici, un po’ amichevoli (siamo sopravvissuti ormai a tre pezzi!), il ragionamento che si vuole seguire è alquanto induttivo (i.e. dal particolare al generale): teorie economiche esistenti e portanti vengono messe in discussione tramite evidenze empiriche, mantenendo un registro costruttivo. Le critiche distruttive sono infatti sterili e spesso conducono ad una comprensione limitata e parziale di temi complessi. Per questo, all’atteggiamento critico dovrebbe seguire propositività, quantomeno per offrire un barlume di speranza in un mondo in cui nemmeno Microsoft Word riconosce propositività come sostantivo esistente, sottolineandolo con fastidiosi merletti rossi.

 

È arrivato dunque il momento di smettere di credere che le leggi economiche eventualmente dimostreranno che la crescita di un Paese porterà ad un miglioramento ambientale. Talvolta ad essere fallace è l’idea che creare nuove leggi possa risolvere un difetto progettuale e concettuale di un modello economico: è da più di duecento anni, infatti, che l’attività produttiva dei Paesi industrializzati si basa su un sistema industriale lineare, il cui flusso è essenzialmente degenerativo.

 

Dalla rivoluzione industriale in poi, infatti, si è prodotto alla volta dell’idea di estrarre, creare, utilizzare, buttare via, creare di nuovo, vendere, utilizzare, gettare. E così, strettamente a pari passo, l’estrazione, l’utilizzo e la perdita di risorse naturali finite si sono perpetrate per decenni. Abbiamo creato un flusso di risorse a direzione univoca in cui tutto si distrugge e nulla ritorna.

Economia lineare
Il diagramma del sistema economico lineare // Fonte: Doughnut Economics di Kate Raworth (di Viola Madau)

 

 

L’ironia della sorte è che abbiamo creato un sistema degenerativo, in procinto di collassare su se stesso, all’interno di un mondo ciclico in cui “nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, come intuiva il buon vecchio Lavoisier già nel XVIII secolo. Se questo modello industriale ha permesso a molte attività di arricchirsi e ad interi paesi di svilupparsi finanziariamente, è anche vero che ha remato contro le logiche del mondo vivente, il quale si rigenera attraverso un continuo riciclo delle sue stessa fondamenta, come le riserve di carbonio, nitrogeno, ossigeno, acqua.

 

Certo, la teoria economica riconosce gli effetti dannosi dei prodotti di scarto del sistema industriale, ma ne tiene conto come esternalità negative, ne avevamo parlato in precedenza, e cerca di limitarle a livello aggregato attraverso gli strumenti economico-ambientali per eccellenza: quote e tasse.

 

Cos’è e come funziona l’economia circolare

Ad opporsi a questa tendenza più che centenaria, nuovi modelli prendono piede dagli inizi del nuovo millennio, tra questi l’idea di un nuovo sistema economico di natura rigenerativa, che prende il nome di economia circolare.

 

L’economia circolare è un sistema rigenerativo in cui le attività economiche crescono e si rinnovano per creare benefici alle attività commerciali, alla società e all’ambiente. L’obiettivo è quello di separare la crescita del benessere sociale dal consumo di risorse finite: avevamo appunto parlato di decoupling nell’articolo precedente. L’economia circolare prende a modello l’ecosistema terrestre e la sua capacità di rinnovarsi attraverso infiniti cicli naturali, e si basa su tre principi fondamentali.

Un nuovo modo di utilizzare i rifiuti e l’inquinamento per creare capitale.

O, semplicemente, delle soluzioni innovative per evitare di creare o produrre gas ad effetto serra, sostanze nocive, inquinamento dell’aria, terrestre e delle acque, danneggiamento del livello di biodiversità, rifiuti strutturali (come, ad esempio, il traffico nelle città). Ma anche un’applicazione estensiva di materiali biodegradabili, in modo che si realizzi un ciclo nietzschiano  dell’“eterno ritorno” dei materiali. A tal proposito, è necessario distinguere i materiali biologici che possono ritornare al mondo naturale senza troppo sforzo, e quelli tecnici che, più che rientrare nel ciclo naturale, vanno valorizzati riutilizzandoli.

Il mantenimento di prodotti e di materiali usati attivi e in vita.

Ciò significa, da un lato, progettare e produrre materiali che durino, che sia possibile riutilizzare o riciclare, che non seguano la dura legge dell’obsolescenza; dall’altro lato, creare un sistema in cui i prodotti, i materiali e le componenti continuino a circolare all’interno dell’economia dopo che la loro “prima vita” (o, meglio, il fine primo per cui erano stati creati) giunge al termine. Questa tendenza comporta una rivoluzione del modo in cui concepiamo la proprietà degli oggetti: si pensi, ad esempio, se fosse possibile non possedere una lavatrice ma averne accesso o averla in affitto da parte del produttore per garantire poi, a fine vita, che lo stesso la ritirasse e ne utilizzasse le componenti per produrne una nuova.

Evitare di utilizzare risorse non rinnovabili quando si può migliorare lo sfruttamento di quelle rinnovabili.

Ci sono Paesi nel mondo, come Islanda, Paraguay, Norvegia e Costarica, che presto garantiranno, o già ad oggi hanno dimostrato, la loro indipendenza da risorse finite per produrre energia: producono infatti il 100% della loro energia tramite lo sfruttamento di risorse rinnovabili, quali luce solare, vento, maree, calore geotermico. 

 

Economia circolare
Il diagramma a farfalla dell’economia circolare, che cattura i flussi di materiali, nutrienti, componenti e prodotti // Fonte: Ellen MacArthur Foundation (di Viola Madau)

 

Non è tutto oro quel che luccica

Mentre non mancano iniziative private e commerciali per applicare l’economia circolare, un apporto necessario deve giungere dall’apparato statale e dalla regolamentazione internazionale. Non è possibile vivere nell’illusione che sia il settore privato a ristrutturare radicalmente l’economia. In primis, la motivazione sta nella potenzialità degli Stati nel far muovere il capitale finanziario in modo “sostenibile” attraverso l’imposizione e l’implementazione di nuove direttive e regole, anche a livello internazionale. Laddove un’impresa privata può fungere da esempio a cui ambire per le altre, essa stessa non ha la legittimità di bandire, per esempio, le sostanze chimiche e inquinanti risultato di processi produttivi in larga scala e presenti lungo la catena di fornitura dei vari settori.

 

È proprio questa lacuna d’implementazione di linee guida standard a rappresentare una delle maggiori critiche del modello dell’economia circolare dal suo sviluppo fino agli ultimi anni. Da un lato, questa mancanza di regolamentazione è connessa a falsi miti e ad ignoranza intorno a concetti quali riutilizzo, riuso, riciclo, etc. Tra due barrette energetiche allo stesso prezzo, comprereste quella prodotta da materiali di scarto provenienti dagli stessi cereali? Sareste disposti a pagare non per possedere i vostri elettrodomestici ma per averne accesso temporaneo in casa vostra?

 

D’altro canto, poi, la mancata standardizzazione del nuovo modello ha dato spazio ad opportunità di sfruttare l’idea come mera operazione di marketing. Si pensi, ad esempio, alle attività commerciali (come, ad esempio, giovani aziende che nascono sotto la bandiera della sostenibilità e ne fanno il loro slogan principale) che strumentalizzano il fatto che l’economia circolare sia evocativa, ma ancora troppo vaga per creare politiche concrete, per millantare sostenibilità e processi produttivi circolari con il solo obiettivo di differenziarsi e incrementare le vendite.

 

In tanti, e da tempo, cavalcano l’onda della sostenibilità. È arrivato il momento di immergersi in un serio piano d’attuazione e messa in pratica dei principi dell’economia circolare, seguendo in primis il piano d’azione dell’Unione Europea. Le ambiziose linee guida promettono di esortare all’adozione di azioni “circolari” e al contempo stimolare competitività, nuovi posti di lavorare e una crescita economica sostenibile. Alcuni elementi chiave includono: riciclare il 65% dei rifiuti municipali entro il 2035, ridurre i rifiuti che finiscono in discarica al 10% dei rifiuti totali a livello municipale entro il 2035, riciclare in percentuali specifiche per ogni materiale utilizzato nel confezionamento dei prodotti (fino all’85% per carta e cartone, l’80% per i metalli ferrosi), rendere più ligia la suddivisione dei rifiuti nella raccolta differenziata dei cittadini. 

 

È fondamentale non dimenticare che l’economia circolare rappresenta un mezzo per ristrutturare l’economia reale, non un fine. Meno parole evocative e sognanti, più regole di condotta.

 

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