La potenza di Poseidone: l’energia marina
Nel terzo episodio della serie Energie, affrontiamo la tematica dell’energia di mari e oceani.
di Diego Michielin
L’energia marina per la produzione di energia elettrica è allo stesso tempo la più giovane e la meno sviluppata delle varie fonti rinnovabili. Le sue potenzialità sono molto ampie considerando che il 70% della superficie del nostro globo è coperto dall’acqua di oceani e mari. La teoria si scontra però con gli attuali limiti tecnologici ai fini di una generazione elettrica efficiente ed economica. In questo capitolo della serie “Energie” scopriamo quindi lo stato dell’arte e le tante tecnologie tramite le quali è possibile sfruttare la sommessa potenza degli oceani.
Le maree
L’energia dai flussi di marea è, assieme al moto ondoso, la tecnologia più promettente e diffusa ad oggi quando si parla di energia marina. Il regolare moto di abbassamento e innalzamento tipico delle maree, costruendo apposite opere idrauliche, può infatti venire sfruttato convogliando l’acqua – tramite condotte forzate – in appositi generatori rotanti che producono elettricità. La prima centrale mareomotrice del mondo (1966) è stata la Rance Tidal Power Station (Bretagna, Francia): una diga lunga 750 metri sbarra l’estuario del fiume Rance, le cui acque defluiscono nell’oceano attraverso 24 collettori dove alloggiano altrettante turbine che generano energia elettrica per una capacità installata di 240 MW.
L’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA, dall’inglese International Energy Agency) in un rapporto del 2007 stimava che l’energia annua ricavabile dalle maree si attesti sui 300 TWh: per rendere più comprensibile tale cifra, in Italia i consumi totali elettrici in un anno si attestano attorno ai 320 TWh.
Le onde
Le onde sono per antonomasia l’emblema della forza del mare: la possibilità di imbrigliare tale potenza per sfruttarla a scopi energetici deve avere affascinato e colpito Yoshio Masuda. Comandante giapponese vissuto nel secolo scorso, Yoshio viene considerato infatti uno dei padri dell’energia dal moto ondoso.
Nel 1940 sviluppò una boa di segnalazione alimentata da una turbina posizionata in un condotto dove l’aria è aspirata e compressa dalle oscillazioni del mare. Questo movimento ciclico generato dalle onde incanalate in apposite strutture, provoca la rotazione della turbina che a sua volta fornisce potenza a un generatore elettrico: tale prototipo è l’archetipo delle moderne colonne d’acqua oscillanti (Oscillating Wave Columns, in inglese).
Le onde possono venire sfruttate anche tramite altri principi. Guardando ai progetti italiani, a 800 metri dalla costa di Pantelleria ENI e il Politecnico di Torino hanno sviluppato l’impianto ISWEC, con una capacità a pieno regime (picco di produzione) di 260 kW. Il sistema si compone di uno scafo galleggiante all’interno del quale sono alloggiati dei grandi volani, anche detti sistemi giroscopici. Questi sistemi vengono messi in rotazione dal moto irregolare indotto dalle onde, che viene poi convertito in energia elettrica tramite l’utilizzo di generatori direttamente collegati ai volani stessi.
Anche ENEA, sempre in collaborazione con il Politecnico di Torino, ha sviluppato un impianto pilota denominato PEWEC analogamente composto da uno scafo in grado di produrre energia elettrica sfruttando l’oscillazione indotta dalle onde. Esistono poi ulteriori tecnologie che prevedono l’utilizzo di cilindri sommersi ancorati sui fondali marini, in grado di convertire la variazione di pressione causata dalle onde in energia elettrica (progetto Archimedes Waveswing, letteralmente “l’altalena di Archimede”); oppure ancora serpenti meccanici costituiti da pistoni idraulici che, azionati dalle onde, sono collegati a dei generatori elettrici (progetto Pelamis). L’IEA stima che l’energia annua ricavabile dal moto ondoso si attesti su un minimo di 8000 TWh.
Le correnti
Le correnti posseggono un’energia cinetica (vale a dire l’energia associata al moto di un corpo), che può essere sfruttata come in una turbina eolica impiegando però delle pale sommerse sott’acqua. Nel 2004, a 100 metri dalla costa nello Stretto di Messina, viene messo in servizio l’impianto pilota Kobold realizzato dalla società italiana Ponte di Archimede.
La turbina in questione è in grado di convertire l’energia prodotta dal moto delle correnti marine in energia rotativa per una potenza di circa 40 kW. Nel mondo sono stati sviluppati analoghi prototipi di piccola taglia ma allo stato attuale le potenzialità di questa tecnologia sembrano limitate rispetto alle “sorelle” basate su maree e onde. L’IEA stima comunque che l’energia annua ricavabile dalle correnti marine si attesti sugli 800 TWh.
Il sale
Anche la chimica può venirci in aiuto grazie al gradiente salino. Nel 2009 la società norvegese Statkraft ha inaugurato un progetto pilota a Haurum per sfruttare la differenza di salinità tra l’acqua marina e l’acqua corrente dolce. I due fluidi sono compartimentati in appositi spazi, divisi da membrane semipermeabili.
Nei pressi delle stesse si sviluppa un’energia osmotica, generata dal passaggio di particelle fra due soluzioni con diverse composizioni, che si traduce in una pressione utilizzabile per la generazione di energia elettrica. L’impianto produceva però potenze molto basse (dell’ordine di 2-4 kW), tali che la stessa Statkraft ha deciso di accantonare il progetto in attesa di sviluppi tecnologici soprattutto per quanto riguarda l’economicità e le prestazioni delle membrane. Al momento non esistono altri impianti rilevanti che sfruttano l’energia osmotica seppur siano al vaglio dei ricercatori diverse tecnologie. L’IEA stima che l’energia annua ricavabile dal gradiente salino si attesti sui 2000 TWh.
La temperatura
La differenza di temperatura fra le acque di superficie (20°C) e le profondità oceaniche (20°C), detta energia talassotermica, può infine essere sfruttata in strutture concettualmente simili a delle centrali termoelettriche che sfruttano il potenziale termico di un fluido racchiuso in un ciclo (si veda ad esempio il funzionamento di una centrale geotermica o nucleare). Tale tecnologia viene denominata OTEC, Ocean Thermal Energy Conversion, in inglese. In una centrale di questo tipo un fluido idoneo (che possa evaporare a temperatura ambiente, come fluoruro e ammoniaca) circola in un ciclo chiuso dove prima viene riscaldato, evapora e infine fluisce in una turbina che è accoppiata a un generatore per la produzione di energia elettrica.
Nelle Hawaii, a Keahole, esiste una centrale di questa tipologia, così come nell’isola Nauru. Questa tecnologia è promettente in quei mari e oceani dove la temperatura delle acque superficiali è alta e le profondità oceaniche sono facilmente raggiungibili in distanze contenute; a tal scopo il mar Mediterraneo non è indicato come zona ottimale. La complessità della OTEC risiede nelle larghe condutture che devono pescare a profondità elevate (fino a 1000 metri): tale svantaggio non la rende una tecnologia matura per la commercializzazione su larga scala.
L’IEA stima che l’energia annua ricavabile dal gradiente termico degli oceani si attesti sui 10000 TWh. Rimanendo sui paragoni relativi ai consumi annui nazionali, tale ammontare risulterebbe più del doppio dei consumi elettrici statunitensi (4200 TWh).
Insomma, le potenzialità per estrarre energia pulita dal mare sembrano ampie, considerando la moltitudine di tecnologie utilizzabili e la disponibilità a ogni latitudine. Tale rosea prospettiva si scontra però con lo stato attuale della tecnica. La gran parte degli impianti sopra esposti sono infatti prototipi e progetti, sostenuti dalla ricerca e dallo sviluppo piuttosto che da una reale sostenibilità economica che renda l’energia marina adoperabile su larga scala. L’autostrada del mare, energeticamente parlando, è ancora tutta da percorrere.
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