Ottenere carburanti dalla CO2: dall’industria alla foglia artificiale
Un viaggio nelle tecnologie che trasformano l’anidride carbonica da rifiuto dannoso a potenziale risorsa.
di Silvia Pugliese e Giulia Perotti
Nel 2019, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) ha pubblicato uno studio che individua le cinque tecnologie per l’utilizzo della CO2 più promettenti, sia in termini di costi che di quantità di anidride carbonica riciclabile. Abbiamo deciso di utilizzarlo come punto di partenza per scoprire pregi e difetti di queste tecnologie.
In questo articolo parliamo di come utilizzare l’anidride carbonica per ottenere carburanti. Sì, si può fare.
Green, ma a costi elevati
Il carbonio contenuto nella CO2 può essere utilizzato per produrre carburanti attualmente in uso, inclusi metano, metanolo, benzina e carburanti per aviazione. La maggior parte dei carburanti trova applicazione nel settore dei trasporti, mentre alcuni (ad esempio il metano) possono essere utilizzati anche nell’industria, nel riscaldamento e nella produzione di energia.
A differenza dei composti chimici che compongono i combustibili fossili, la CO2 è una molecola molto stabile, il che significa che è necessario fornire grandi quantità di energia per convertirla in un combustibile. Come si arriva a ottenere carburanti dalla CO2?
Ad oggi, i percorsi di conversione più avanzati a livello industriale sono due:
- il primo, chiamato idrogenazione, è un processo che prevede l’uso della CO2 in combinazione con l’idrogeno, per ottenere metanolo e altri combustibili che sono più facili da maneggiare e utilizzare rispetto all’idrogeno puro (Figura 1).
- Il secondo riguarda la conversione di CO2 in monossido di carbonio (CO) e la sua miscelazione con l’idrogeno. A quel punto, la miscela dei due gas, che si chiama syngas, viene utilizzata per produrre metanolo, oppure, attraverso un processo chimico industriale noto come Fischer-Tropsch, viene convertita in combustibili sintetici o olio sintetico (Figura 1).
Figura 1: Schema dei processi di conversione della CO2 in combustibili. Fonte: https://www.iea.org/reports/putting-co2-to-use
La conversione della CO2 attraverso questi processi chimici richiede grandi quantità di energia, temperature elevate (generalmente fra 200 °C e 300 °C), e pressioni di diverse decine di bar. Inoltre sono spesso richieste altre sostanze chimiche chiamate catalizzatori, che facilitano la reazione e che talvolta sono molto costosi.
Per questo motivo, i costi di produzione stimati di metanolo e metano da CO2 nella maggior parte delle regioni del mondo sono attualmente da 2 a 7 volte superiori a quelli delle loro controparti fossili. Il principale fattore di costo è tipicamente l’elettricità, che rappresenta tra il 40 e il 70% dei costi di produzione, e quindi sono necessari prezzi medi molto bassi dell’elettricità affinché i carburanti derivati dalla CO2 siano competitivi. Un ottimo esempio è l’impianto di George Olah in Islanda, ad oggi il più grande impianto di combustibili a base di CO2 in funzione, che converte circa 5.500 tonnellate di CO2 all’anno in metanolo utilizzando l’idrogeno prodotto da elettricità rinnovabile.
È indubbio che i processi che oggi sono industrialmente rilevanti richiedono molta energia e condizioni limitanti (alte pressioni e temperature). Ci sono altre vie?
Riutilizzare la CO2 ispirandosi alla natura
Da diversi anni si studiano nuove vie di conversione della CO2 in carburanti: processi che cercano di essere più “soft”, senza condizioni estreme, oppure processi che si ispirano alla natura, come i processi biologici (che fanno uso di organismi viventi ed enzimi) e quelli fotochimici (che fanno uso della luce solare).
Degna di nota in questo contesto è la corsa alla cosiddetta foglia artificiale. Nel 2012 il professore americano Daniel Nocera ha introdotto l’idea di un dispositivo in grado di ottenere carburanti a partire dalla luce del sole e dall’acqua, proprio come fanno le piante attraverso il processo chiamato fotosintesi. Poco tempo dopo, si è pensato di riutilizzare allo stesso modo anche la CO2. Replicare un processo che la natura ha messo a punto nel corso di milioni di anni per poter riciclare la CO2 non è affatto un gioco da ragazzi, tuttavia appare come una delle soluzioni più interessanti. È per questo che la ricerca in questo ambito è animatissima, e la foglia artificiale è vista come una sorta di “sacro Graal” che molti gruppi di ricerca cercano di conquistare.
Negli ultimi anni sono stati concepiti e sviluppati diversi tipi di foglia artificiale. Tutte utilizzano il sole come fonte di energia, ma alcune convertono solamente l’acqua e l’ossigeno in carburanti, mentre altre più recenti convertono anche la CO2. L’idea classica è quella di creare un unico dispositivo “a strati”, ciascuno dei quali avrà una ben determinata funzione. Ad esempio, recentemente il gruppo del professor Reisner a Cambridge ha creato una foglia artificiale che sfrutta, in un primo strato, un materiale che assorbe la luce solare, la quale viene poi trasferita sotto forma di energia agli strati successivi, dove la CO2 viene trasformata in CO e H2 (Figura 2a).
In alternativa, attraverso l’uso di una cella solare, l’energia viene utilizzata da un dispositivo separato che converte CO2 e H2O in carburanti ottenuti grazie all’energia solare. Quest’ultima tecnologia è al centro del progetto europeo eSCALED, che ha l’obiettivo di creare una foglia artificiale attraverso l’uso di materiali porosi, direttamente ispirati alla struttura delle foglie naturali (Figura 2b).
Ma le idee non si fermano qui. L’Unione Europea finanzia molti altri progetti di ricerca e diverse iniziative, tra le quali SUNERGY che ha lo scopo di rendere più sostenibile l’Europa di domani rimpiazzando una volta per tutte i combustibili fossili.
Per quanto l’idea di un dispositivo in grado di convertire la CO2 come farebbe un vero albero risulti molto interessante (e meglio di un grigio stabilimento che converte la CO2 ad alte temperature), ad oggi purtroppo le foglie artificiali sono ancora nelle prime fasi del loro sviluppo tecnologico.
I principali problemi da affrontare riguardano l’efficienza della conversione della CO2, nonché la stabilità dei materiali utilizzati. Le piante, inoltre, sono specializzate nell’utilizzo della CO2 a concentrazioni atmosferiche, cosa che le foglie artificiali non sono ancora in grado di eseguire. Non mancano però segnali incoraggianti: in alcuni casi la quantità di luce incidente che le foglie artificiali sono in grado di sfruttare risulta maggiore di quella delle foglie naturali. Il limite teorico dell’efficienza fotosintetica è 6% per alcune piante, ma può scendere anche al di sotto dell’1%. Al contrario, la più alta efficienza riportata per i prototipi di laboratorio di fotosintesi artificiale è del 22,4%.
La ricerca del sacro Graal dei carburanti solari continua. Nel frattempo, è bene ricordarsi di una cosa: il riutilizzo della CO2 non riduce necessariamente le emissioni, e la quantificazione dei suoi benefici climatici è molto complessa. Riciclare la CO2 non significa quindi avere l’autorizzazione a continuare a emetterne.
Add a Comment