TAP

Il Gasdotto Trans-Adriatico

Il Gasdotto Trans-Adriatico (TAP): storia di come gli investimenti in energie fossili sono ancora protetti e sostenuti

TAP è un gasdotto che trasporta gas naturale prodotto nel Mar Caspio per più di 800 km, attraverso Albania e Grecia e arrivando nella costa della Puglia

di Sara Chinaglia

 

In tempi non sospetti, la costruzione di un gasdotto sarebbe passata perlopiù inosservata, probabilmente accolta come un’opportunità di crescita economica locale e di possibilità lavorative. Questa narrativa, secondo cui la costruzione di imponenti opere destinate all’estrazione e trasporto di fonti fossili sia un’opportunità da accogliere senza battere ciglio, ha cominciato a vacillare quando altri dibattiti hanno fatto emergere nuove domande ed elementi di riflessione. Come possono coesistere investimenti per l’approvvigionamento di fonti fossili e lotta al cambiamento climatico? Questi progetti fanno davvero bene al pianeta? C’è qualcuno che controlla l’operato delle imprese petrolifere? Le comunità locali che vengono fisicamente impattate da queste opere sono mai state ascoltate?

 

Considerare tematiche più ampie, oltre che unicamente l’ormai obsoleto ritorno economico di un investimento, ci permette di riflettere in modo più profondo e completo sulle dinamiche che entrano in azione quando si parla di fonti energetiche.

 

Tendenzialmente si parla di gas e petrolio di fronte a disastri ambientali,  eclatanti casi di corruzione internazionale, o quando i prezzi all’improvviso esplodono. Il caso di TAP non rientra in nessuna di queste casistiche. Allora perché è importante?

 

TAP, acronimo di Trans Adriatic Pipeline (Gasdotto Trans-Adriatico) è un ottimo caso studio perché ci permette di riflettere sulle complesse dinamiche che riguardano la costruzione di queste infrastrutture, siano esse politiche, economiche o sociali; su come queste si intreccino sino a diventare talmente complesse e apparentemente invalicabili, da generare un profondo senso di impotenza. È un caso che parla di attivismo locale, di incoerenza tra lotta al cambiamento climatico ed effettiva azione politica, e ci mostra fino a che punto le imprese petrolifere si possano spingere pur di realizzare opere dichiaratamente non volute dalle popolazioni dei territori coinvolti. Getta anche luce su quanto la società occidentale di cui facciamo parte sia disposta a fingere di non vedere pur di garantire una fornitura di risorse da cui siamo, oramai, patologicamente dipendenti.

 

Ma facciamo un passo indietro: cos’è TAP?

Il Gasdotto Trans-Adriatico è un gasdotto che parte dalla frontiera greco turca e arriva in Italia. Per una lunghezza totale di oltre 800 km, il gasdotto attraversa la Grecia (per più di 500km), l’Albania (per più di 200 km) e il Mare Adriatico (per circa 100 km) per arrivare in Italia, più precisamente nei pressi della spiaggia di San Foca, a Lecce. Il gasdotto servirà a far affluire in Europa gas naturale proveniente dall’Azerbaijan e più precisamente da uno dei giacimenti più importanti del mondo, il Shah Deniz, nel Mar Caspio. Lo sviluppo di questo giacimento è nelle mani di un consorzio di proprietà di British Petroleum (Regno Unito), SOCAR (Azerbaijan), Turkish Petroleum Corporation (Turchia), LUKoil (Russia) e Nafriran Intertrade Company (filiale svizzera dell’Iraniana National Iranian Oil Company). 

 

Il progetto nasce nel 2003, quando la società energetica svizzera Axpo inizia uno studio di fattibilità, conclusosi nel 2006 con opinione positiva, circa la fattibilità economica, tecnica e ambientale del gasdotto. Nel 2008 viene creata la joint venture che si occuperà della gestione, della costruzione e dello sviluppo del progetto. L’idea è così fortemente sostenuta dai governi italiano, albanese e greco, che nel 2013 venne  firmato a New York un memorandum d’intesa. Nello stesso anno, il consorzio Shah Deniz sceglie TAP come progetto vincente per il trasporto del gas dal Mar Caspio all’Europa. La joint venture, (di proprietà di BP, SOCAR, Snam S.p.A., Fluxys, Enagás, e Axpo) inizia il processo di project financing che termina nel 2019, raccogliendo 3,9 miliardi di euro da 17 banche commerciali, in addizione a BEI (Banca Europea per gli Investimenti) e BERS (Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo).

 

Si tratta della più grande operazione di questo genere per un progetto infrastrutturale in Europa nel 2018” (fonte: sito TAP). Il progetto si inserisce in una rete di gasdotti molto più ampia, denominata Corridoio Meridionale del Gas (South Gas Corridor, abbreviato SGC).

 

TANAP, TCGP, Nabucco West, IGB, BTE, TAP sono solo alcune delle molte sigle di gasdotti ideati, costruiti o in fase di costruzione che hanno un denominatore comune: collegare i ricchi giacimenti di gas naturale del Mar Caspio ai paesi energivori dell’Unione Europea, creando quello che viene definito Corridoio Meridionale del Gas. Questa “nuova” fonte di approvvigionamento del gas da parte dell’Europa, si fonda sulla necessità di ridurre la propria dipendenza dai sempre più politicamente instabili Nord Africa e Penisola Arabica, e dalla sempre più influente e politicamente “pericolosa” Russia, che con la sua Gazprom minaccia di insinuarsi nelle scelte politiche ed economiche europee. La ricerca di questa “terza via” ha dato vita ad una rete di gasdotti che ad oggi appare così:

 

Grafica: ISPI

 

Il reticolo di gasdotti è una cartina al tornasole di accordi internazionali, giochi di potere, scelte strategiche. Ci mostra una grande partita di Risiko dove anziché spostare carri armati di plastica, si disegnano tubi su carte geografiche, le cui traiettorie vanno a soddisfare interessi economici cercando di non inasprire delicati equilibri politici.

 

TAP fa parte di questa rete ed è il famigerato pezzo mancante che permetterebbe, finalmente, l’arrivo del tanto desiderato e diversificato gas naturale.

 

Quali criticità riguardano TAP?

TAP è un progetto di portata internazionale, che riguarda una delle materie prime (il gas) più controversa sia da un punto di vista politico che ambientale. Come è ormai noto, la lotta al cambiamento climatico richiede in primo luogo che il sistema produttivo si distacchi dalle fonti fossili (gas incluso) preferendo fonti rinnovabili. Ciononostante, i progetti esplorativi, nonché la costruzione di gasdotti e oleodotti, continuano imperterriti, dirottando grandi investimenti verso il supporto di fonti da cui dovremmo necessariamente e con una certa urgenza distaccarci. Le criticità di TAP, tuttavia, vanno oltre l’evidente incoerenza con obiettivi di sviluppo sostenibile.

 

La storia di TAP, infatti, si intreccia con contesti politici non propriamente democratici e trasparenti, poiché coinvolge paesi (come L’Azerbaijan, la Turchia e la Georgia) con sistemi politici che, sebbene non siano dichiaratamente regimi dittatoriali, hanno atteggiamenti repressivi nei confronti della popolazione e nei quali l’accesso alla libera informazione è ridotto.

 

All’aspetto socio politico si lega anche quello ambientale: la costruzione di queste opere richiede attività di scavo per la posa dei tubi che necessitano di una valutazione d’impatto ambientale, e che vanno a costituire un cambiamento nell’ecosistema in cui sono introdotte.

 

Secondo Elena Gerebizza, rappresentante dell’associazione Re:Common, nei paesi menzionati poc’anzi non vi è la possibilità di ottenere una valutazione ambientale come nel contesto europeo e, in ogni caso, secondo Gianluca Maggiore del comitato No TAP, nei paesi di competenza europea vi è il rischio che la normativa sia stata elusa. In Italia, i primi dubbi sulla bontà ambientale del progetto nascono nel 2011, quando la popolazione dei comuni salentini coinvolti dà vita alle prime manifestazioni contro il progetto TAP. Il clima di scontento cresce, la voce si espande, arriva ad associazioni di rilievo nazionale come Re:Common, e così prende vita anche il Comitato No TAP. 

 

La popolazione chiede a gran voce uno stop ai lavori:nessuno vuole un gasdotto che passi sotto casa, poi c’è preoccupazione per i raccolti, per la sorte degli ulivi espiantati per effettuare gli scavi, per gli impatti al fondale marino, per la paura di incidenti, e in generale ci sono dubbi sull’effettiva utilità dell’opera. 

 

Le preoccupazioni, però, non si limitano solo all’impatto ambientale: la LILT (Lega Italiana per La Lotta Contro i Tumori) in un documento del 2016, ribadisce il potenziale impatto negativo dell’impianto sulla salute delle popolazioni delle zone coinvolte con un aumento dell’incidenza di malattie tumorali qualora il progetto venisse realizzato. 

 

Ma non è solo il Comitato No TAP a non desiderare questo progetto.
Anche la politica italiana era divisa. Nel 2013 il Senato approva il progetto TAP, con i voti contrari di Sinistra Ecologia e Libertà e Movimento 5 Stelle. Sarà proprio quest’ultimo, poi, ad ottenere la maggioranza in Puglia alle elezioni nazionali del 2018 dopo una campagna elettorale basata sulla promessa di interrompere i lavori. Lo stop ai lavori, tuttavia, non è mai arrivato.

 

Ciò che è arrivato, invece, è un processo che vede coinvolti 19 indagati, tra cui la stessa società TAP, per reati ambientali commessi tra il 2016 e il 2019, che spaziano da irregolarità emerse nelle valutazioni ambientali effettuate, all’inquinamento della falda acquifera, passando da una serie di abusi edilizi. Il processo è ancora in corso e procede a rilento, tra diverse ricollocazioni dei giudici e con la revoca dell’autorizzazione di poter seguire il processo in streaming.

 

Cosa ci insegna tutto questo?

TAP è un progetto che connette diverse tematiche. Tracciare brevemente la storia di questo gasdotto che si è evoluto ed è diventato operativo relativamente lontano dai riflettori, nonostante le forti rimostranze delle popolazioni coinvolte per la sua costruzione, fornisce elementi di riflessione importanti per comprendere queste dinamiche. 

 

Finora le forze politiche ed economiche che gestiscono la realizzazione di queste opere hanno sempre scelto di sacrificare territori fragili e vulnerabili dal punto di vista sociale e lavorativo, facendo leva sulla creazione di posti di lavoro, che si ritiene sufficiente  per accontentare (e silenziare)  la popolazione locale. Secondo TAP, il progetto genererebbe un impatto occupazionale di 220 posti di lavoro annui ed un impatto sul PIL di 8 milioni di euro l’anno, per un totale di 380 milioni di euro per i 50 anni di operatività del progetto. Un impatto piuttosto limitato considerando che la ricchezza creata non sarà destinata allo Stato italiano, ma verrà spartita tra le imprese private facenti parte della  joint venture (con sede in Svizzera) menzionata precedentemente.

 

Tutto ciò accade in un contesto in cui la domanda del gas costantemente è in diminuzione: secondo i dati Eurostat, la domanda di gas in Europa è diminuita del 20% tra agosto 2022 e gennaio 2023, comparato al periodo 2017-2022. E non è finita qui: la domanda di gas in Europa è destinata a diminuire ancora.

 

Questa vicenda mette in luce un gomitolo di interessi economici e politici di enorme portata, che hanno radici in dinamiche antiche e che rendono ancora più difficile pensare di poterle cambiare. Tuttavia, questa storia ci insegna anche che sebbene il progetto sia di fatto operativo dal 2020, la popolazione locale ha contribuito a creare un dibattito sulla democraticità di tali  progetti e ha permesso di fare luce su questioni opache, raccogliendo evidenze utili per processi ancora in corso. In un momento storico in cui le forze politiche cercano di mettere a tacere voci e gesti scomodi, è importante ricordare che c’è chi, davanti ad un potere apparentemente inscalfibile, continua ad abbattere muri alzando la voce.

 

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