Il grande calderone della Geoingegneria
Parlare di geoingegneria in termini generali non ha senso; le tecniche geoingegneristiche hanno potenzialità, rischi ed implicazioni completamente diverse. Facciamo un po’ di ordine.
di Valentina Gius
Avete mai sentito parlare delle strade di Los Angeles dipinte di bianco per contrastare l’effetto serra? O di gigantesche operazioni di fertilizzazione degli oceani nei pressi delle Galapagos? Queste tecniche appartengono alla grande famiglia della geoingegneria. Considerata da alcuni come la chiave di volta per la lotta al cambiamento climatico, criticata da altri per i rischi e le implicazioni, la geoingegneria è sempre più al centro di un acceso dibattito.
Di che cosa si tratta esattamente? La geoingegneria comprende tutti quegli interventi intenzionali, su larga scala, atti a modificare gli effetti del cambiamento climatico. In parole semplici, parliamo di tecniche e tecnologie sviluppate dall’uomo che alterano l’ambiente per limitare il surriscaldamento globale.
Ma per quale motivo se ne parla tanto? Lo stesso IPCC, il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici, la include tra le azioni indispensabili per la lotta al cambiamento climatico. Secondo alcune delle loro analisi, risulterebbe quasi impossibile limitare l’aumento di temperatura al di sotto di 1.5°C o 2°C senza “un contributo” della geoingegneria.
Oltre a essere parte integrante della soluzione climatica, molti suoi promotori la paragonano ad un “piano B”, un’assicurazione, nel caso non ci fosse più tempo per le classiche tecniche di mitigazione. Ai ricercatori delusi e disillusi dalle azioni politiche climatiche fino ad ora intraprese, che richiedono a gran voce di investire nella ricerca e sviluppo delle nuove tecniche geo-ingegneristiche, si contrappongono altri scienziati o ambientalisti che ne criticano l’etica, l’incertezza, i rischi e le implicazioni. Molti sono infatti preoccupati dei potenziali danni ambientali della geoingegneria, altri la vedono come una comoda scorciatoia per evitare di affrontare il problema alla radice.
Per comprendere al meglio la complessità di questo tema vale la pena ritornare alla definizione. La geoingegneria comprende due principali categorie: 1) le tecniche che gestiscono e contengono le radiazioni solari (Solar Radiation Management, SRM) e 2) le tecniche che rimuovono i gas serra dall’atmosfera (Carbon Dioxide Removal, CDR).
Geoingegneria solare
Iniziamo dalla prima. La geoingegneria solare, o SRM, si basa sulla schermatura di parte delle radiazioni solari. Il concetto è semplice: più le radiazioni solari vengono deviate verso lo spazio, meno raggi vengono assorbiti dalla superficie terrestre. Minore l’assorbimento, minore il riscaldamento del nostro pianeta. Ma come si fa a deviare i raggi?
L’iniezione di aerosol nella stratosfera: alcune piccole particelle, come l’anidride solforosa, sono in grado schermare le radiazioni solari presenti in atmosfera. Spruzzando grandi quantità di queste sostanze, si riuscirebbe a creare una sorta di enorme schermo riflettente, deviando i raggi solari e abbassando le temperature globali. I principali svantaggi? Le iniezioni di particelle potrebbero avere delle ripercussioni sulle precipitazioni, andando a modificare la variabilità e stagionalità del clima. Basti pensare che un arresto improvviso di iniezione provocherebbe un repentino aumento della temperatura, con disastrosi effetti sugli ecosistemi. Senza parlare di altri effetti indesiderati come l’impoverimento dell’ozono e potenziali danni alla salute.
L’incremento dell’albedo della superficie terrestre o marina: l’albedo terrestre, ossia la frazione di luce riflessa dalla Terra, influenza la temperatura globale. Più la Terra è in grado di riflettere, meno raggi verranno assorbiti, minore sarà la temperatura globale. Per incrementare l’albedo bisognerebbe aumentare le superfici riflettenti sulla terra o sul mare, ad esempio dipingendo con vernici bianche riflettenti le strade e i tetti delle case (ecco spiegate le strade imbiancate di Los Angeles!).
Alcuni ricercatori hanno addirittura pensato di “imbiancare” le nuvole, spruzzando delle gocce di acqua di mare nell’atmosfera. L’acqua, evaporando, lascerebbe il posto alle particelle di sale, le quali “sbiancherebbero” le nuvole, aumentandone la riflettività. Come l’iniezione di aerosol nella stratosfera, l’incremento dell’albedo delle nubi non risolve il grave problema dell’acidificazione degli oceani e interferisce potenzialmente sulle precipitazioni terrestri. Da menzionare anche i problemi di sicurezza e governance: un’azione unilaterale di uno stato potrebbe trasformare questa tecnica in “un’arma climatica”, rischiando di scatenare conflitti e provocare danni irreparabili a livello ambientale e umanitario.
Rimuovere i gas serra dall’atmosfera
Passiamo alla seconda categoria. Il metodo CDR si basa sull’estrazione diretta di anidride carbonica dall’atmosfera. In pratica si va a catturare e sequestrare la CO2, immagazzinandola nella roccia o negli oceani. Le principali tecniche di estrazione di anidride carbonica sono:
Riforestazione e afforestazione: gli alberi “catturano” CO2 tramite la fotosintesi clorofilliana. La realizzazione di nuove aree forestali su vasta scala permetterebbe quindi di “ripulire” l’aria. Uno dei principali ostacoli per una riforestazione su larga scala? Per assorbire sufficiente anidride carbonica, è necessaria una vastissima superficie terrestre. Il terreno potrebbe non essere sufficiente, data la crescente domanda di cibo (quindi di aree agricole) necessario per la popolazione globale.
Fertilizzazione degli oceani: si basa sullo spargimento di ferro, fosforo e composti azotati negli oceani. Ciò stimola la crescita di alghe e fitoplancton, i quali assorbono l’anidride carbonica tramite la fotosintesi. Ignote sono tuttavia le conseguenze sulla fauna e sull’ecosistema, come sulla stessa efficacia del processo, protagonista di numerose polemiche.
Bioenergia con cattura e stoccaggio del carbonio (BECCS): è un mix tra cattura e rimozione dell’anidride carbonica, e uso della biomassa (sostanze organiche destinate ai fini energetici, come il legno e gli scarti alimentari). Come funziona? In primis, vengono sfruttate le biomasse per produrre energia. In secondo luogo, alberi o impianti di cattura diretta dell’aria ne assorbono le emissioni di anidride carbonica. Come la riforestazione, i progetti di BECCS su larga scala necessitano di molto terreno, una risorsa tanto necessaria quanto limitata in un pianeta con domanda crescente di cibo.
Enhanced weathering: l’idea è di spargere sul suolo grandi quantità di un minerale (l’olivina, un silicato di ferro e magnesio) e di sfruttare la sua reazione chimica con l’anidride carbonica nell’atmosfera, per poi catturarla ed immagazzinarla nell’oceano o nel suolo. Oltre ad essere estremamente costosa, questa tecnica potrebbe avere degli effetti negativi sugli ecosistemi (ad esempio, modificando il pH del terreno).
Cattura diretta dell’aria (DAC): Paragonabile ad un “albero tecnologico”, la DAC cattura e sequestra la CO2 direttamente dalla atmosfera, sfruttando processi meccanico-chimici. Insomma, proprio come un gigantesco aspiratore. Al momento ci sono delle compagnie che tentano di commercializzare il progetto. I principali ostacoli? L’elevato costo e l’incertezza sulla scalabilità, ossia la velocità con cui questa tecnologia potrà essere utilizzata su larga scala. Per ora, infatti, la DAC è ancora in fase dimostrativa, e occorreranno investimenti, innovazione e tempo per arrivare ad un livello di sviluppo soddisfacente.
Una tecnologia variegata
Le tecniche che abbiamo visto fino ad ora hanno potenzialità, benefici, rischi e implicazioni completamente diverse.
La geoingegneria solare è considerata dalla maggioranza degli esperti come più controversa e rischiosa, ma anche la più economica e dagli effetti più rapidi. È considerabile alla stregua di una strategia di emergenza, dell’ultimo minuto. I rischi sostanziali, le difficoltà di governance, i problemi etici e le incertezze tecniche sono i principali motivi per cui queste tecniche non sono incluse nell’ultimo rapporto IPCC. Le tecniche CDR, che hanno invece rischi relativamente minori, rientrano nel portafoglio di azioni possibili e auspicabili contro il cambiamento climatico. Le perplessità sulle tecniche CDR sono legate al tempo (è necessario attendere molto prima di vederne gli effetti) e alle incertezze sui costi, sulla loro efficacia e sulla loro scalabilità.
Cosa possiamo concludere quindi da questa analisi? In primo luogo che, data l’enorme differenza tra le varie tecnologie, non ha molto senso parlare di geoingegneria in termini generali. Vale la pena trattare le tecniche separatamente, valutandone singolarmente i vantaggi e gli svantaggi. L’unico comun denominatore della geoingegneria sembra essere che molti aspetti concernenti rischi, costi, efficacia e impatti ambientali rimangono ignoti. Saranno quindi necessarie ulteriori verifiche sperimentali per meglio comprenderne i limiti e le potenzialità.
E alla domanda “la geoingegneria potrà mai salvare il pianeta?”, la maggior parte degli studi risponde uniformemente: la geoingegneria non può essere vista come la soluzione definitiva al problema del cambiamento climatico. Questa famiglia di tecniche può contribuire al raggiungimento degli obbiettivi dell’accordo di Parigi, ma solo se affiancata alla riduzione drastica delle emissioni di gas serra.
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