Screenshot 2023-05-09 alle 18.07.14

Giornalismo e cambiamento climatico: appunti per una convivenza felice

Giornalismo e cambiamento climatico: appunti per una convivenza felice

Cosa è legittimo attendersi dal giornalismo nel contrasto all’emergenza climatica? Quali carte possono giocarsi i mezzi di informazione per rilanciare un tema complesso e ritenuto poco appassionante dal grande pubblico? Cosa possiamo fare noi, lettori, telespettatori, ascoltatori?

di Giordano Zambelli

 

Nell’ottobre del 2022 sulla versione online del quotidiano britannico The Guardian apparve un articolo con la foto di un uomo, presumibilmente un vigile del fuoco, che si allontanava lentamente da un vasto incendio boschivo alle sue spalle. Il titolo, qui liberamente tradotto, recitava: “Crisi climatica: le Nazioni Unite non riscontrano percorsi credibili per limitare l’aumento della temperatura globale a 1.5°”.

 

L’articolo non conteneva nulla di formalmente scorretto. Il titolo e il contenuto riflettevano le conclusioni di un report del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, redatto da decine di autorevoli scienziati. Anche la scelta dell’immagine era perfettamente giustificabile alla luce dell’ormai acclarata correlazione tra il cambiamento climatico e l’aumento degli incendi boschivi. Si trattava di un pezzo di un quotidiano che, su temi climatici, ha una strategia editoriale virtuosa riconosciuta a livello globale. Eppure, mettendosi nelle scarpe di ipotetici lettori ‘non addetti ai lavori’, è inevitabile immaginare che l’articolo possa aver suscitato una serie di punti di domanda piuttosto ingombranti. Se non ci sono percorsi credibili, allora tanto vale abbandonare ogni proposito di mitigazione dei rischi del cambiamento climatico? Cosa succede una volta oltrepassata la soglia degli 1.5°? Un enorme incendio? E quindi, cosa possiamo fare noi, in questo spaventoso disastro?

 

Le sfide del raccontare il cambiamento climatico

Nessuno pensa che sia semplice comunicare il cambiamento climatico. Una serie di studi scientifici, di recente discussi in un report pubblicato dall’Unione europea di Radiodiffusione (EBU), hanno evidenziato che per i mezzi d’informazione trattare questo tema presenta una serie di criticità.

 

Innanzitutto, l’ecosistema informativo attraversa una crisi finanziaria pluridecennale. Il racconto di un tema complesso come il cambiamento climatico richiede lo sviluppo di un team dedicato, da supportare con formazione ad hoc e risorse per la sperimentazione di formati, linguaggi e prodotti che possano funzionare. Se da un lato alcune testate hanno già fatto investimenti in questo senso, molte altre preferiscono temporeggiare di fronte a un tipo di innovazione editoriale che comporta un certo livello di rischio e incertezza. 

 

Inoltre, esiste un problema, parzialmente legato al primo, di scarso coinvolgimento dei lettori verso il tema del cambiamento climatico. Si tratta infatti di comprendere un processo molto complesso, i cui eventuali effetti peggiori sono collocati in un futuro ipotetico e con entità variabile a seconda dei diversi percorsi di mitigazione e transizione energetica che l’umanità deciderà di percorrere. È richiesto uno sforzo di immaginazione e soprattutto di fiducia verso chi ‘costruisce’, come avrebbe detto il filosofo Bruno Latour, determinate informazioni e verso chi le comunica. Quindi, l’intento comunicativo di una testata, pur benintenzionato, si può facilmente attorcigliare tra le pieghe della psicologia umana. L’obiettivo di portare l’attenzione su amari scenari presenti e futuri si scontra con la nuda realtà delle nostre disposizioni cognitive: non siamo ‘progettati’ per agire sulla base di ipotetiche minacce future e siamo tendenzialmente mal equipaggiati a valutare il peso effettivo dei diversi fattori di rischio che minacciano la nostra esistenza.

 

Per colmare questa carenza di coinvolgimento molte testate orientano la propria comunicazione su messaggi allarmistici. Eppure, come molti studi hanno dimostrato, questo schema tende a suscitare reazioni di confusione e paralisi, che a loro volta si traducono nell’evitare questo genere di notizie. Un cane che si morde la coda: l’apparente notiziabilità di una crisi cosí notevole finisce per allontanare il pubblico, facendo sì che il tema finisca in fondo ai palinsesti. Come ben suggerisce l’esempio del climatologo Michael Mann nel suo recente libro La nuova guerra del clima, nonostante le buone intenzioni, l’insistenza mediatica sull’obiettivo dei 1.5° spesso genera una fuorviante analogia con una scogliera oltre la quale l’umanità precipiterà, il che rischia di annullare il nostro coinvolgimento e la nostra volontà di intervento.

 

Imparare dagli errori

Alla luce della complessità di queste sfide, è legittimo aspettarsi che il giornalismo possa contribuire alla soluzione di questa sfida tramite una comunicazione efficace e coinvolgente? Come spesso accade, la risposta è: dipende. Esistono attori giornalistici molto eterogenei, ciascuno guidato da differenti interessi, modelli di business, gradi di affiliazione a un certo partito o gruppo di interesse e ciascuno specializzato nell’utilizzo di formati diversi, fatto non secondario se accettiamo il famoso aforisma di McLuhan secondo cui il medium è il messaggio. Attendersi lo stesso genere di strategia comunicativa da attori così diversi sarebbe un passo falso.

 

Eppure, ci si può concentrare sugli attori del settore giornalistico che hanno un interesse a offrire contenuti relativi al cambiamento climatico e di farlo sulla base di quanto la comunità scientifica discute e offre. Il servizio pubblico rientra sicuramente in questa categoria, ma anche mezzi d’informazione privati che desiderino aumentare il coinvolgimento di lettori/telespettatori/ascoltatori, soprattutto i più giovani, su un tema che è inevitabilmente cresciuto nel dibattito pubblico.

 

Ciò che non funziona nella comunicazione del cambiamento climatico può offrire degli spunti per elaborare delle strategie vincenti. Come visto, la narrazione catastrofista e allarmista, al netto dell’indiscutibile urgenza di risposte rapide e sostanziali, sembra non funzionare. Al contrario, una comunicazione che si concentri sulle soluzioni, sia a livello di sforzi globali, sia a livello di azione locale, individuale o collettiva, può generare maggior coinvolgimento. Inoltre, se la storia della letteratura ci ha insegnato qualcosa, è che gli esseri umani si nutrono di storie per interpretare e forgiare le proprie azioni.

 

Offrire narrazioni che siano in linea con l’esperienza delle persone può contribuire a supportare il processo di immedesimazione in uno scenario di cambiamento. Infine, non esiste un ipotetico pubblico omogeneo a cui i mezzi di informazione possano pensare di rivolgersi. Conoscere e studiare i propri interlocutori dovrebbe diventare una linea guida delle redazioni che vogliano mettere questo tema al centro della propria offerta editoriale.

 

Economia e pratica della relazione

Questi appunti solo apparentemente riguardano in maniera esclusiva le redazioni. Il giornalismo vive una fase storica in cui è chiamato a trasformarsi sempre più in una pratica relazionale basata su un rapporto di fiducia tra chi crea le notizie e chi le consuma. La disintermediazione dell’informazione innescata da internet e il crescente peso che gli abbonamenti digitali rappresentano per i bilanci dei giornali mettono al centro la questione della relazione tra mezzi di informazione e pubblico. I mezzi d’informazione possono valutare o meno una strategia sulla comunicazione del cambiamento climatico e i lettori, che idealmente fanno parte di un contratto di fiducia, possono incoraggiare, suggerire, premiare alcune pratiche rispetto ad altre

 

Così come un ecosistema naturale richiede la cura da parte di tutti coloro che ne beneficiano, allo stesso modo un ecosistema informativo richiede il contributo di ogni attore che lo abita. I lettori possono valutare se supportare una certa narrazione rispetto a un’altra chiedendosi se essa si limiti a informarli su ciò che accade, o se li stimoli anche ad agire, a trovare risposte e a partecipare alla soluzione.

 

Duegradi vive anche grazie al contributo di sostenitori e sostenitrici. Sostieni anche tu l’informazione indipendente e di qualità sulla crisi climatica, resa in un linguaggio accessibile. Avrai contenuti extra ed entrerai in una community che parteciperà alla stesura del piano editoriale.

  • Giordano Zambelli

    Giordano è un ricercatore presso l'università fiamminga di Bruxelles (VUB), dove si occupa di innovazione nel giornalismo, sia dal punto di vista delle sfide tecnologiche che dei modelli editoriali.

Add a Comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *