Greenwashing: una questione di tempo

Il greenwashing è (anche) una questione di tempo

Greenwashing: (anche) una questione di tempo

Il greenwashing non è solo marketing: quello più subdolo gioca con i tempi della transizione ecologica

disegno di Dada

 

Il greenwashing non si applica solamente alla comunicazione e al marketing. Esiste infatti un’altra pratica scorretta legata al mondo fossile, più subdola ma altrettanto deleteria per clima, ambiente e persone: è il tentativo, da parte delle grandi compagnie di estrazione e produzione, di indirizzare la transizione ecologica verso tempistiche che garantiscano il mantenimento della loro posizione di preminenza in ambito energetico

 

Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi

Potrebbe sembrare insensato che compagnie energetiche fossili come la Shell o la Exxon credano di poter diventare la guida verso un futuro a zero emissioni; del resto, tali compagnie sono ad oggi incompatibili con detto futuro, e di solito i loro sforzi appaiono tutti concentrati verso il mantenimento della sovranità energetica e politica dei combustibili fossili. La realtà, però, è un po’ più complessa.

 

Un futuro guidato dalle energie rinnovabili è inevitabile se vogliamo mantenere le temperature mondiali entro limiti accettabili, e tutte le grandi organizzazioni se ne sono accorte. Non parliamo solo di grandi aziende energetiche, ma anche di compagnie come Google o Facebook, che spostano i propri rifornimenti energetici su alternative pulite. Per questo, la contesa si è ora spostata sul quando il cambiamento debba avvenire. È su questo punto che gli operatori del settore fossile hanno cominciato a concentrarsi, rallentando la transizione. Perché? Per provare a rappresentare la soluzione al problema dopo esserne stati la causa.

 

L’evoluzione del mix energetico mondiale dal 1965 al 2017:

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I grandi produttori fossili sono stati i primi a comprendere i rischi del cambiamento climatico, e i primi a nasconderli; anche ora che la trasformazione è inevitabile molte organizzazioni trascinano i piedi, finché società civile, politici o investitori non li costringono all’azione tramite obblighi o minacce finanziarie. Nel frattempo, tuttavia, si posizionano per riempire il nuovo mercato energetico: comprano compagnie di energia rinnovabile, sfruttano fondi internazionali per fare ricerca su nuovi combustibili sostenibili, come le alghe. L’atteggiamento ambiguo non è frutto di una doppia personalità, ma di un progetto economico chiaro, che possiamo riassumere nei punti seguenti:

 

  • Pur conoscendo le conseguenze del cambiamento climatico, le compagnie fossili non avevano intenzione, nel secolo scorso, di rischiare perdite economiche e spostarsi su un settore appena nato come quello delle energie rinnovabili;
  • Non investendo sulle rinnovabili nella loro fase iniziale, queste organizzazioni non hanno rischiato di perdere capitali. Ora che cambiare è inevitabile gli basta, grazie alle enormi possibilità economiche, investire in tecnologie mature e comprare competitori che gli trasmettano le conoscenze che non hanno inizialmente contribuito a finanziare; alcuni esempi? Solo negli ultimi tre anni, gli investimenti e le acquisizioni da parte di Total, Shell, Equinor e BP.
  • Nel frattempo, cercano di sviluppare brevetti per innovazioni che possano garantirgli una fetta di mercato senza renderle semplici “inseguitrici” del rinnovabile, ormai maturo dal punto di vista tecnologico;
  • Infine, continuano a ostacolare una transizione che avrebbe già soluzioni energetiche (idroelettrico, solare ed eolico prima di tutto) per guadagnare tempo sia dal punto di vista dell’estrazione di combustibili fossili che da quello della ricerca di nuove tecnologie profittevoli e alternative alle esistenti.

 

Il rallentamento della transizione avviene attraverso operazioni mirate a far arretrare la legislazione ambientale ogni volta che si può passare inosservati: a seguito della pandemia di coronavirus in molti hanno denunciato il varo di politiche insostenibili, che verranno probabilmente cancellate alla fine della crisi ma rappresentano un passo indietro da cui dover nuovamente ripartire. Lo stesso avviene in altre occasioni, dalle crisi economiche ai cambi di governo

 

Aspettare che compagnie la cui produzione è al 90% incentrata sui combustibili fossili abbiano il tempo di adattarsi a un nuovo mercato non è però auspicabile, soprattutto nel momento in cui la crisi climatica ne ha finalmente diminuito l’influenza sulla politica e l’economia.

 

Ma se alla fine arriviamo al risultato, qual è il problema?

Il fatto che le grandi multinazionali siano intenzionate a fare gli investimenti necessari a convertire la loro produzione dai combustibili fossili a fonti di energia pulita potrebbe farci ben sperare. Dopotutto, l’obiettivo ultimo è garantire la nostra sopravvivenza in quanto specie; che a raggiungere l’obiettivo siano le grandi multinazionali potrebbe, in quest’ottica, avere un’importanza relativa. Ma questo ragionamento non regge. 

 

 

La questione principale, infatti, non è tanto di sopravvivenza, quanto di giustizia: più la transizione sarà lenta, più gli effetti del cambiamento climatico diventeranno prepotenti, e causeranno morti e ineguaglianze sociali. Sì, perché parlando di clima non parliamo solamente di scomparsa di specie ed ecosistemi, o di scioglimento dei ghiacci, ma di eventi estremi che mettono a repentaglio vite umane, di incendi sempre più forti e più frequenti, di siccità prolungate che causano carestie, di migrazioni che scombussolano instabili equilibri geopolitici.

 

Ogni volta che queste aziende comprano più tempo per riconvertirsi a una realtà che altrimenti le escluderebbe, allora, stanno consapevolmente spostando i costi che dovrebbero affrontare oggi sui singoli cittadini e sulle comunità che si troveranno a pagare il prezzo più alto dei cambiamenti climatici. 

 

Un futuro che rinforza il sistema di disuguaglianze esistente, invece che distruggerlo, non è un futuro sostenibile. Per questo motivo dovrebbe essere osteggiato con coraggio politico e istituzionale, facendo pagare a chi inquina, ha inquinato, e inquinerà finché possibile, il costo delle proprie azioni. 

 

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**Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di altre organizzazioni ad essa collegate**

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