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Guidare la crisi climatica 

Guidare la crisi climatica 

Affrontare la crisi del clima significa saper comunicare chiaramente i rischi, le necessità e le prospettive future delle nostre scelte.

 

Affrontare la crisi del clima non significa solamente fare le giuste scelte per combattere il cambiamento climatico e creare maggiori capacità di mitigazione e adattamento; ugualmente importante è infatti saper comunicare chiaramente i rischi, le necessità e le prospettive future legati a tali scelte.

 

Quando pensiamo ai lati negativi e controversi della transizione, ai rischi e alle incertezze che le si accompagnano, verrebbe forse facile ripensare all’annosa questione del “salviamo il clima, ok. Ma chi comincia?”. Del resto, con posti di lavoro messi a repentaglio, mercati energetici in subbuglio e informazione mediatica parziale, nessuno sembra avere il coraggio di mettersi al timone. In realtà a cominciare deve essere sempre la politica, che attraverso i propri rappresentanti ha il compito, per definizione, di guidare la società in un periodo complesso come quello della crisi climatica. Questo, poi, senza cedere a facili slogan, ragionamenti fuorvianti o timori superficiali. 

 

 Cambiare i comportamenti per il clima

Quando parliamo di crisi climatica parliamo innanzitutto di cambiamento e transizione. Ogni cambiamento implica, per l’individuo, uno choc iniziale che può portare a due risposte differenti:

 

Se il cambiamento viene compreso nelle sue ragioni e nelle sue opportunità, tenderemo a percepirlo con aspettative ed entusiasmo, esplorandolo e integrandolo nella nostra quotidianità;

 

Se il cambiamento non viene spiegato o affrontato adeguatamente ci sentiremo invece esclusi da quello che succede, quando non apertamente avversati.  Di conseguenza, resisteremo la situazione e solo dopo una fase di negatività potremo finire per accettarlo e adattarci.

Questo modello, conosciuto comunemente con il nome di Kubler-Ross, si applica perfettamente anche alle politiche generate dai bisogni climatici. è qui, dunque, che si innesta il fulcro dell’azione politica contemporanea: i responsabili politici sono gli attori fondamentali a superare tutte quelle narrazioni che non rallenterebbero un’azione tempestiva, inclusiva e ambiziosa rispetto agli obiettivi climatici. 

 

Prendiamo, per esempio, le politiche incluse nel piano dell’Agenzia Internazionale per l’Energia per arrivare a emissioni globali zero entro il 2050: tale strategia prevede cambiamenti strutturali imponenti, come il fatto che entro il 2035 a livello globale non si dovrebbero più vendere auto termiche (ossia con motori a scoppio); ma anche importanti modifiche individuali, con le temperature per il condizionamento degli ambienti che dovrebbero limitarsi a 20 gradi d’inverno e 25 d’estate.

 

Se queste proposte dovessero trasformarsi in politiche vere e proprie, è assolutamente necessario che ne vengano spiegate accuratamente le ragioni e illustrati i limiti, pena il fatto che i cittadini troveranno facili scappatoie a imposizioni di cui non capiscono l’importanza. Perché, del resto, dovrei tenere il condizionamento a 25 gradi se ho caldo e l’elettricità la pago di tasca mia? Perché quella goccia nel mare contribuisce a creare, nel lungo termine, situazioni alla stregua di quella del Canada (o di Siracusa) 2021, o dell’Australia 2019: inondazioni, incendi, temperature estreme e via dicendo; la crisi climatica, insomma.  

In Italia

La questione sollevata finora, chiaramente, si applica anche all’Italia. Nel nostro Paese sono tre i Ministeri maggiormente coinvolti nella questione climatica: Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali (Mipaaf), il Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) e, ovviamente, il Ministero per la Transizione Ecologica (MiTE). Per far sì che l’insieme dei cittadini comprenda i benefici della transizione ecologica e i rischi della crisi climatica occorre presentare chiaramente la base scientifica di partenza, ma ancor più chiaramente il piano attraverso cui orientarsi durante il periodo di cambiamento.

 

Nel momento di maggiore insicurezza riguardante il cambiamento, la comunicazione deve occuparsi di rafforzare la qualità dell’informazione che si riceve, sottolineando prima di tutto quali sono le azioni utili a minimizzare il rischio che qualcuno rimanga indietro e abbia solo da perdere dai processi in atto. Nel caso dell’Europa, ad esempio, queste azioni sono rappresentate dal Meccanismo per la transizione giusta, che avrà lo scopo di finanziare ogni iniziativa utile a far fronte ai problemi socio-economici derivanti dalla transizione. Tramite il Meccanismo si potranno riqualificare operai del settore fossile per reinserirli nell’ambito rinnovabile, finanziare iniziative di sostegno e recuperare aree più strettamente legate a sistemi di produzione insostenibili, come l’llva di Taranto.

 

Quando si parla di transizione ecologica, quindi, sarebbe meglio evitare di associarla a un “bagno di sangue”, perché si rischia di comunicare l’idea che il decisore politico, che dovrebbe occuparsi di renderla sostenibile, si voglia liberare della propria responsabilità. In questo caso, la frase proviene dallo stesso Ministro per la Transizione, e fa parte di un sistema di comunicazione (altri esempi qui e qui) fallimentare, che suscita dubbi prima di tutto sulla effettiva necessità dei cambiamenti (se deve essere un bagno di sangue è davvero utile imboccare questa strada?), poi sulla capacità e la volontà politica di ridistribuire i benefici di chi avrà da guadagnare per equilibrare le perdite degli altri.

 

Per evitare, quindi, che l’Italia rimanga una “nave senza nocchiere in gran tempesta” in ambito climatico, sarà fondamentale che la comunicazione e le strategie istituzionali evolvano sviluppando un linguaggio coerente e comprensibile, ma soprattutto una pianificazione sistematica che possa aiutare i cittadini a conoscere quelli che saranno i sacrifici da compiere senza esserne spaventati. Questo, chiaramente, può avvenire solo nel momento in cui lo Stato si assume, attraverso i propri Ministeri (MiTE, MiSE, Mipaaf) la responsabilità di guidare il Paese nella crisi anziché seguirne semplicemente gli sviluppi.

 

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