L’impatto ambientale della carne: perché è importante ridurne il consumo
La produzione di carne è un sistema inefficiente di produzione del cibo.
L’industria della carne è oggi una delle principali responsabili dell’emissione di gas serra nell’atmosfera, producendo il 14% delle emissioni globali – più dell’intero settore dei trasporti, considerando treni, macchine, aerei e camion. Cambiare le nostre scelte alimentari e adottare una dieta meno ricca (se non priva) di carne avrebbe dunque un impatto significativo sulle emissioni globali di CO2 e metano.
Gran parte dell’opinione pubblica, però, non ha ancora internalizzato questo potenziale. Quando la deputata americana Ocasio-Cortez ha evidenziato l’urgenza di affrontare il problema della produzione della carne, è stata presa di mira e criticata duramente dall’opposizione. “They want to take away your hamburgers” – “Vogliono togliervi i vostri hamburger”, l’accusa. Come se l’hamburger rappresentasse l’ultimo baluardo delle libertà umane. E se invece fossero proprio le nostre scelte alimentari, e il nostro spropositato consumo di carne, a ledere il diritto di milioni di persone a vivere in un pianeta più pulito e sano, nonché a prova di cambiamento climatico?
La relazione tra carne e cambiamento climatico: terreni agricoli, flatulenze e disboscamento
La produzione di carne è, di fatto, un sistema decisamente inefficiente di produzione del cibo dal punto di vista dell’utilizzo delle risorse. Se carne e latticini forniscono solo il 18% delle calorie e il 37% delle proteine consumate a livello globale, la loro produzione comporta l’utilizzo dell’83% dei terreni agricoli, nonché di un terzo dell’acqua destinata all’agricoltura. Tale uso di risorse naturali, associato alla pratica degli allevamenti intensivi e all’uso di pesticidi, spesso avviene a discapito della biodiversità locale, ed ha un impatto negativo non indifferente sugli ecosistemi circostanti.
Il nesso tra produzione della carne e cambiamento climatico, però, è da ritrovarsi in particolar modo nelle enormi quantità di gas serra che questa rilascia nell’atmosfera. Innanzitutto, l’allevamento di animali comporta l’emissione diretta di un importante gas serra: il metano. Tramite la fermentazione enterica (una parte naturale del processo digestivo degli animali ruminanti), i microbi nel tratto digestivo decompongono e fermentano il cibo ingerito, producendo metano.
Il metano è particolarmente dannoso per il clima, essendo capace di intrappolare 84 volte più calore della CO2 nei primi due decenni dopo che è stato rilasciato nell’atmosfera. A livello aggregato, le flatulenze di centinaia di migliaia di mucche hanno un impatto non indifferente, e sono responsabili di circa il 30% delle emissioni globali di metano.
L’allevamento di bestiame è anche indirettamente responsabile dell’emissione di CO2 nell’aria. Per sostenere i 70 miliardi di animali da allevamento che oggi popolano il pianeta, negli ultimi decenni centinaia di migliaia di ettari di foreste e boschi sono stati distrutti ad ogni latitudine. L’utilizzo del suolo legato all’allevamento ha due finalità: da un lato, quello di creare zone pianeggianti adibite a pascolo; dall’altro, quello di dare spazio a centinaia di ettari di monocolture di soia ed altri vegetali destinate a sfamare gli animali.
Secondo il WWF circa l’80% del disboscamento della foresta amazzonica è dovuto alla necessità di fare spazio agli allevamenti di bovini; i recenti fuochi dell’Amazzonia sono in gran parte stati appiccati per questo motivo. Un utilizzo non regolamentato del suolo e, soprattutto, la perdita di foreste – importanti serbatoi di carbonio – libera nell’aria migliaia di tonnellate di CO2, e ci priva della possibilità di ri-assorbire l’anidride carbonica presente nell’atmosfera.
Una questione di dieta: mangiando carne si emette di più
L’ultimo rapporto dell’IPCC, dedicato alle connessioni esistenti tra cambiamento climatico, uso del suolo e sistema alimentare, identifica i cambiamenti nella dieta come uno dei principali strumenti per diminuire le quantità di gas serra emessi nell’atmosfera. Le piccole scelte quotidiane – come decidere cosa mangiare per cena o anche solo la provenienza del cibo che acquistiamo – a livello aggregato possono avere un grande impatto.
Innanzitutto, non tutti i tipi di carne incidono allo stesso modo sul cambiamento climatico. A causa del maggiore uso di risorse e soprattutto della più intensa attività digestiva delle mucche, la carne rossa è sicuramente quella dal più alto impatto climatico e ambientale. Secondo recenti stime, la produzione di carne bovina richiede 28 volte più terra, 6 volte più fertilizzante e 11 volte più acqua rispetto alla produzione di carne di maiale. Inoltre, la produzione di carne bovina rilascia 4 volte più gas serra di una quantità equivalente di calorie di carne suina e 5 volte più di una quantità equivalente di pollame.
Ma anche tra le carni rosse ci sono numerose differenze! Due bistecche prese dal banco frigo possono sembrare apparentemente uguali, ma possono avere impronte ecologiche completamente differenti. Ad esempio, i bovini da carne allevati su terreni disboscati sono responsabili di 12 volte più gas serra e usano 50 volte più terra di quelli che pascolano ricchi pascoli naturali.
Quando confrontiamo le impronte ecologiche di carne e verdure, invece, il confronto è sconcertante. Ad esempio, per singola proteina la produzione di manzo emette oltre venti volte di più rispetto alla produzione di fagioli. O ancora, il manzo produce fino a 105 kg di gas serra per 100 g di proteine, mentre il tofu produce meno di 3,5 kg.
Diete a base di verdure e legumi hanno dunque un’impronta sul clima decisamente più bassa. Secondo l’IPCC, entro il 2050 i cambiamenti dietetici ed una maggiore propensione alle diete a base di vegetali e legumi potrebbero liberare diversi milioni di chilometri quadrati di terra e ridurre le emissioni globali di CO2 fino a 8 miliardi di tonnellate all’anno – circa il 21% delle emissioni odierne.
Un ottimo spunto per chi stesse cercando di contribuire in modo pratico a problema del cambiamento climatico. Uno studio dell’Università di Oxford mostra che, in media, i mangiatori di carne sono responsabili di quasi il doppio delle emissioni di gas serra al giorno rispetto ai vegetariani e circa due volte e mezzo rispetto ai vegani. Ad esempio, se un amante della carne è responsabile, ogni anno, di circa 3,3 tonnellate di CO2, un vegetariano è responsabile solo di 1,7 tonnellate, ed un vegano di 1,5. Rinunciare alla carne rossa farebbe, da sola, una grande differenza, riducendo la propria impronta di carbonio a 1,9 tonnellate di CO2.
Verso un sistema alimentare più equo
I benefici di una riforma al sistema di produzione della carne non risulterebbero solo in un minor impatto ambientale ma, potenzialmente, anche in un sistema alimentare più giusto. Rispetto al 1961, la disponibilità pro capite di carne è più che raddoppiata. In media, quindi, ogni cittadino del mondo ha oggi a disposizione il doppio della carne rispetto ai propri genitori. Tale aumento, però, non è avvenuto in modo bilanciato.
Il consumo di carne, infatti, è strettamente legato al reddito medio di un paese. Nonostante la domanda di carne da parte dei paesi in via di sviluppo sia triplicata negli ultimi decenni, oggi il maggior consumo di carne avviene ancora nei paesi più ricchi, tra cui gli Stati Uniti e gli stati membri dell’Unione Europea.
A causa del forte aumento di produzione e consumo della carne, una quantità sempre maggiore di suolo è destinata a monoculture per mangimi animali. Oggi, il 36% delle calorie della produzione agricola mondiale serve per sfamare gli animali da macello, e solo una frazione delle calorie nei mangimi fornite al bestiame si fa strada nella carne e nel latte che consumiamo.
Per ogni 100 calorie di grano con cui nutriamo gli animali, otteniamo solo circa 40 nuove calorie di latte, 22 calorie di uova, 12 di pollo, 10 di maiale o 3 di manzo. Entro il 2050 sarà necessario sfamare 2 miliardi di persone in più rispetto ad oggi, e passare a diete a minor consumo di carne potrebbe liberare notevoli quantità di cibo vegetale in tutto il mondo, oggi destinate invece agli stomaci animali.
Nel suo libro “Se niente importa. Perché mangiamo gli animali”, Jonathan Safran Foer ha raccolto diversi dati che dimostrerebbero che, se il raccolto agricolo oggi destinato agli allevamenti fosse distribuito equamente tra la popolazione mondiale, la fame nel mondo verrebbe debellata. A questioni etiche legate alla qualità di vita e accesso a cibo delle persone, si aggiungono le numerose questioni etiche legate alle condizioni di vita degli animali da allevamento. Un aumento spropositato nel consumo di carne ha costretto i 150 milioni di animali che vengono uccisi ogni giorno a passare la loro breve vita in macabri allevamenti intensivi.
Riflessioni finali
Nell’ultimo anno la minaccia del cambiamento climatico è riuscita a smuovere la coscienza di milioni di persone, indipendentemente da ceto sociale, genere, età, regione di appartenenza. L’indignazione mondiale di fronte all’inazione di governi e industrie ha costretto questi ultimi a muovere i primi e veloci passi verso un futuro più pulito. Misure e politiche, però, possono contribuire solo in parte al successo della risposta globale al cambiamento climatico.
Le azioni e soprattutto le scelte dei singoli individui contribuiscono, nel lungo periodo, a consolidare ed implementare la rotta a basse emissioni che stiamo chiedendo a gran voce. Nel nostro piccolo, fare attenzione ai prodotti alimentari che acquistiamo e limitare il consumo di carne (soprattutto di carne bovina) e latticini può davvero fare la differenza. Se i grandi emettitori faticano ad agire, noi possiamo dare il buon esempio – facendo seguire alle parole i fatti.
Se sei interessato all’impatto ambientale dell’alimentazione, ne abbiamo parlato anche in questo video!
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**Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di altre organizzazioni ad essa collegate**
credo che il problema non siano gli allevamenti di bestiame. Ci vorrebbe più un’educazione ambientale a 360° con forti regole e controlli per farle rispettare.
Buongiorno Paolo; il problema è negli allevamenti nella misura in cui, per soddisfare una domanda continuamente crescente, essi rappresentano una porzione considerevole delle emissioni antropiche totali di gas serra. Per questo occorre prenderli in considerazione, così come ogni altra sorgente rilevante di emissioni.
D’altra parte, quali sarebbero, a tuo parere, le regole ambientali forti da promuovere?
Grazie del tuo commento.
Sono un insegnante e a scuola mi sono accupato, nell’ambito dell’educazione civica, dell’insegnamento all’educazione alimentare. Mi sono dunque soffermato sull’insostenibilità dell’industria alimentare fornendo dati in relazione al consumo idrico, del territorio, all’utilizzo di antibiotoci ed in merito alla salute di ciascun individuo. Aggiungo che, essendo sensibile all’argomento, le mie lezioni si sono svolte anche piuttosto appassionatamente. Per questo motivo un collega, che si occupa di zootecniche, mi dato dell’incompetente e di essere schierato ideologicamente, forendo di contro un video che si trova su youtube, così intitolato: “I 9 paradossi del Farm to Fork (video integrale)”. Vorrei poter far visionare, come risposta, per un mero confronto tra le due posizioni, un secondo video, realizzato da un organo attendibile sulla insostenibilità ambientale dell’industria della carne. Siete in grado di aiutarmi? Grazie.