Abbiamo il diritto di essere informati sui cambiamenti climatici, dal 1998

Abbiamo il diritto di essere informati sui cambiamenti climatici, dal 1998

Abbiamo il diritto di essere informati sui cambiamenti climatici, dal 1998

La possibilità accedere alle informazioni scientifiche in materia ambientale è un diritto umano. In italia, è tutelato dalla Convenzione di Aarhus del 1998.

 

di Agnese Glauda

 ‘’Sapere è potere’’ diceva Sir. Francis Bacon nel XVI secolo, quando il metodo scientifico veniva proposto come la nuova istanza regolatrice del rapporto tra uomo e natura. Lo sviluppo storico di questa visione ha legittimato l’uso della scienza come strumento di potere e controllo sulla natura. Questa strategia si è dimostrata illusoria, e oggi la sfida è trasformare l’informazione scientifica da mezzo utilitaristico a promotore della tutela ambientale. 

 

L’informazione scientifica in materia ambientale non è facilmente accessibile: se non è in mano a esperti del settore, troppo spesso è sotterrata in siti obsoleti e oscurata dalla burocrazia. Secondo un rapporto di Eurobarometer, il 95% della popolazione europea ritiene importante tutelare l’ambiente, ma solo il 60% si ritiene sufficientemente informato. L’informazione è ancora più ridotta riguardo problematiche specifiche che hanno un effetto sui cittadini, come l’impatto dei fertilizzanti sulla salute o il degrado del suolo. 

 

Non dovrebbe essere così: esiste infatti un principio internazionale che tutela il diritto all’informazione in materia ambientale come diritto umano. Ne consegue la responsabilità di ciascuno Stato di garantire sufficiente informazione in materia ambientale a tutti i suoi cittadini.

 

 

 

Come nasce questo diritto?

La comunità internazionale riconosce l’accesso a informazioni riguardo l’amministrazione delle risorse e dei beni naturali come un diritto umano. Dare questa possibilità ai cittadini fa parte dei cosiddetti “diritti ambientali procedurali”, i quali scaturiscono dal diritto di vivere in un ambiente sano, sancito nella Conferenza di Stoccolma del 1972. Come si traduce il diritto all’accesso all’informazione ambientale in pratica? Secondo l’Agenda 21 dell’Onu, in una partecipazione democratica dei cittadini alle questioni ambientali; una partecipazione che per essere consapevole richiede, per l’appunto, che lo Stato garantisca l’accesso alle informazioni rilevanti in materia.

 

L’Italia, insieme ad altri 46 Paesi firmatari, riconosce il diritto all’informazione sull’ambiente tramite la Convenzione di Aarhus del 1998, il primo trattato multilaterale internazionale nel suo genere. Questo strumento legale, unico nel suo genere, “obbliga” legalmente il nostro Paese a rendere pubbliche ed accessibili tutte le informazioni in mano alla pubblica amministrazione riguardo lo stato dell’ambiente e alle politiche ad esso connesse. Ma non solo: lo Stato è anche tenuto a garantire la diffusione attiva di queste informazioni e la partecipazione attiva dei cittadini nei processi decisionali.

 

Questo trattato è un punto di partenza importante per integrare nel sistema legale nazionale strumenti che proteggano i cittadini dall’azione inefficace e dalla mancata trasparenza della pubblica amministrazione nell’ambito della tutela e gestione ambientale. Purtroppo le consuete difficoltà procedurali e burocratiche nel trasformare un principio di diritto internazionale in azioni di governo, dovute anche all’unicità della Convenzione di Aarhus e alla mancanza di precedenti legali, non hanno finora reso del tutto effettivo l’esercizio di questo diritto.

 

Una base legale nei contenziosi climatici

Nonostante le difficoltà di implementazione, la Convenzione di Aarhus inizia ad essere usata come base legale per far valere il diritto all’informazione in materia ambientale nelle aule di giustizia, in particolare nel contenzioso climatico

 

Le cause legali riguardanti il cambiamento climatico si sono moltiplicate negli ultimi anni. La più famosa è quella vinta dalla Fondazione Urgenda, che chiedeva allo Stato olandese di ridurre del 25% le sue emissioni rispetto agli anni ‘90 entro la fine del 2020. Il caso Urgenda, divenuto un precedente legale fondamentale per i contenziosi climatici del futuro, ha usato come base legale la Convenzione europea dei Diritti Umani.

 

 

 

Un esempio più pertinente è quello della campagna italiana Giudizio Universale. Lanciata nel 2019 da un team legale appoggiato da numerose associazioni ambientaliste, la campagna prevede un’azione legale contro lo Stato italiano per le sue inadempienze nel mitigare il cambiamento climatico. La causa si basa sull’art 1 della Convenzione di Aarhus, che garantisce il diritto di accesso alle informazioni, di partecipazione del pubblico ai processi decisionali e di accesso alla giustizia in materia ambientale”,e sull’art. 2043 del codice civile italiano, che previene omissioni da parte delle autorità pubbliche. In questo caso, l’omissione consisterebbe nel mancato intervento dello Stato italiano nel fronteggiare l’emergenza climatica.

 

Nello specifico, Giudizio Universale chiede misure più stringenti riguardo alla riduzione delle emissioni di gas serra, per poter circoscrivere l’aumento delle temperature ad 1,5°C rispetto al periodo preindustriale, come previsto dall’accordo di Parigi. Inoltre, lo Stato dovrà rispondere della sua responsabilità di fornire sufficienti informazioni scientifiche, come stabilito nella Convenzione di Aarhus, affinché i cittadini possano partecipare in maniera consapevole.

 

Una tutela contro la privatizzazione delle risorse

Tutelare il diritto all’informazione ambientale è difficile anche perché spesso la gestione delle risorse ambientali, come un bacino idrico o un patrimonio forestale, non è interamente in mano all’amministrazione pubblica, ma è affidata a società private tramite concessioni statali. Esiste infatti una tendenza alla privatizzazione della gestione delle risorse ambientali – basti pensare al referendum del giugno 2011, quando gli italiani furono chiamati ad esprimersi proprio sulla privatizzazione dell’acqua potabile. Questa tendenza è in forte contrasto il dovere dello Stato di coinvolgere maggiormente i cittadini nei processi decisionali in materia ambientale.

 

Anche in questo caso, la Convenzione di Aarhus è una risorsa importante per la tutela dei diritti ambientali dei cittadini. L’ art. 2 della convenzione definisce infatti i termini legali usati per descrivere il diritto all’informazione ambientale. Il termine ‘pubblica autorità’ è definito in maniera ampia e include anche le società private che gestiscono beni comuni tramite concessioni statali. Non ci sono impedimenti alla concessione della gestione dei beni ambientali statali a società private, ma questo a condizione che anch’esse rispettino i diritti partecipativi dei cittadini e agiscano con trasparenza.

 

D’altro canto, la Convenzione, impedisce allo stato di privatizzare l’accesso alla giustizia ambientale. Anche in caso di concessione al settore privato, quindi, i diritti sanciti dalla convenzione di Aarhus devono essere rispettati.

 

Un diritto da conoscere e tutelare

Le difficoltà burocratiche e giuridiche nell’implementazione del diritto all’informazione in materia ambientale sono molte, e non solo in Italia. Anche la Commissione Europea è stata criticata per la mancata ottemperanza nei confronti degli impegni stabiliti dalla convenzione di Aarhus, soprattutto a seguito della promozione di un Green New Deal che non la considera come uno strumento chiave della conversione ecologica europea. Tuttavia, la Convenzione resta una risorsa unica per ottenere una maggiore tutela del diritto all’informazione in materia ambientale; una risorsa da conoscere, utilizzare e tutelare.

 

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