La grande cecità: immaginare il futuro del pianeta
La crisi climatica costringe l’uomo a fare i conti con il non-umano, ritrovando consapevolezza della precarietà dell’esistenza umana.
La grande cecità: un problema culturale
Che tipo di problema è il cambiamento climatico? Il libro La Grande Cecità risponde a questa domanda parlando della crisi climatica come di una vera e propria crisi culturale: secondo l’autore Amitav Ghosh, il problema preliminare non è la mancanza di capacità tecnologica, economica o scientifica; ciò che, in prima istanza, riesce difficile oggi è fornire una risposta culturale al cambiamento climatico.
Amitav Ghosh, scrittore e giornalista indiano, ha pubblicato il saggio in questione nel 2017, in cui ha interrogato sé stesso e tutto il mondo della cultura sul perché l’immaginazione letteraria, ma anche più generalmente artistica, non sia riuscita a raccontare e tradurre in fiction la crisi climatica di questi anni. Manca, forse, un veicolo di comunicazione culturale che riguardi questa tematica nello specifico. Il compito di immaginare nuove prospettive e nuovi stili di vita non spetta solo a politici e burocrati, ma anche a scrittori e artisti.
Il titolo originale del saggio, The Great Derangement, sarebbe tradotto più fedelmente con Il Grande Squilibrio. Tuttavia, Ghosh stesso, in una intervista rilasciata al Manifesto, dice di apprezzare particolarmente la traduzione italiana (La Grande Cecità), poiché pone l’accento sull’atteggiamento della letteratura: una totale cecità nei confronti della sfida più importante del nostro tempo. Uscire da quella che Ghosh chiama l’epoca del “grande squilibrio” vuol dire riacquisire una capacità immaginativa che renda possibile pensare nuove possibilità per il futuro.
L’immaginazione
Ma perché l’immaginazione dovrebbe essere importante quando si affrontano questioni riguardanti il cambiamento climatico? Secondo Ghosh, fin dall’inizio dell’epoca moderna, l’arte ha trascurato via via sempre di più il “non-umano”, a favore di temi prettamente “umani”. La produzione artistica si è conformata allo stile abitudinario e privo di eventi eccezionali tipico della borghesia moderna, rendendo incomunicabile per mezzo di opere artistiche l’imprevedibilità degli eventi climatici. Gli artisti, concentrando i propri sforzi sulla sfera individuale e raccontando l’uomo nella sua vita quotidiana, hanno perso il contatto con la dimensione pubblica e globale del cambiamento climatico, che sfida l’umanità tutta, prima ancora del singolo.
Secondo Ghosh, proprio le influenze ereditate dalle concezioni moderne del rapporto uomo-natura caratterizzano il nostro linguaggio e quello dell’arte, costituendo così una barriera difficile da oltrepassare per la nostra immaginazione, quando cerca di riabbracciare il non-umano. Il cambiamento climatico esige uno sforzo immaginativo da parte dell’uomo, per ricominciare a raccontare le vicende che hanno come protagonista ciò che “non è umano”. Riattivare la facoltà immaginativa nei confronti del cambiamento climatico significa riaprirsi alla natura e alla sua imprevedibilità. L’uomo e l’artista hanno, quindi, l’obbligo di “ri-conoscere”.
Nella prima parte de La Grande Cecità, lo scrittore indiano paragona l’incontro tra una tigre e la sua vittima a quello tra le catastrofi ambientali e l’uomo, prendendo spunto dalle testimonianze raccolte nell’area della foresta delle Sundarban, una foresta indiana popolata da diverse popolazioni di tigri. Come spiega Ghosh, “accade assai raramente di vederne una, e sempre di sfuggita. Ma è indubitabile, visto che le orme sono così fresche, che ci sia una tigre nelle vicinanze; e tu sai che ti sta osservando”. L’incontro con una tigre avviene nel momento dell’aggressione, che risveglia una consapevolezza: nonostante la tigre si sveli di sorpresa, la vittima umana non scopre la tigre per la prima volta in questo momento, ma la riconosce.
Ghosh descrive l’incontro come un “reciproco riconoscimento”: il guardarsi negli occhi con la tigre rappresenta il riconoscimento di una presenza di cui si era già consapevoli. Quest’incontro produce nell’uomo uno “spaesamento”, in quanto viene riconosciuto qualcosa a cui avevamo voltato le spalle. Nel vedere la tigre, riconosciamo nuovamente la presenza di interlocutori non-umani. Allo stesso modo, sembra che gli eventi climatici del nostro tempo abbiano stimolato un riconoscimento.
Il cambiamento climatico costringe l’uomo a fare i conti con il non-umano, che era stato dimenticato e messo da parte. Viene recuperata la consapevolezza della precarietà dell’esistenza umana, presente nella narrativa artistica precedente alla modernità. Nei secoli passati, infatti, l’immaginazione letteraria era ispirata dalla consapevolezza di un’intenzionalità non-umana. Al contrario, la letteratura odierna – che evita di affrontare le sfide non-umane – lascia l’uomo odierno paralizzato davanti a questo tipo di sfide.
Un primo tipo di immaginazione è legata al “qui ed ora” degli eventi presenti, e la sua funzione è prevalentemente di sensibilizzazione: urge un riconoscimento globale di quello che sta accadendo. Nel caso dell’immaginazione rivolta al futuro, invece, si parla di un’immaginazione prospettica, a cui è chiamato non solo lo scrittore o l’artista quando si mette all’opera, ma che riguarda tutti. Mobilitare l’immaginazione verso il futuro è necessario per due motivi: da un lato, ci permette di vedere ciò che non è attualmente presente, di slegarci dal contesto in cui ci troviamo e riuscire a visualizzare possibili scenari futuri che ci motivino ad agire oggi.
È quindi fondamentale anche solo per quel riconoscimento della nostra vulnerabilità di fronte agli eventi climatici. Dall’altro lato, utilizzare la facoltà immaginativa significa diventare capaci di superare il male futuro che ci attende immaginando scenari alternativi. L’immaginazione ci consente di produrre qualcosa di nuovo, costruendo un’immagine del mondo che sia la migliore possibile.
Evitare la “privatizzazione”
Se si riconosce l’importanza della facoltà immaginativa nell’affrontare la crisi climatica, allora non si può negare che vada necessariamente evitata una privatizzazione del problema dei cambiamenti climatici. In altre parole, il cambiamento climatico non deve essere considerato come una questione unicamente scientifica o economica, ma va trattato anche come una problematica culturale.
La difficoltà del mondo artistico nel trattare tali questioni si traduce in una comunicazione meno efficace e talvolta controproducente. Il dibattito sul clima è dominato da terminologie complesse e specifiche, appartenenti a campi del sapere inaccessibili ai più. Un’apertura in questo senso può derivare da una semplificazione del linguaggio e dall’utilizzo di un veicolo più diretto come l’opera d’arte, sia essa un romanzo o un quadro, o come conferenze pubbliche aperte a tutti e non chiuse agli ambiti accademici.
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