Antropocene

L’antropocene e il tempo profondo

L’antropocene e il tempo profondo

Tra milioni di anni, l’unica traccia del nostro passaggio potrebbero essere i cambiamenti climatici

di Alessandro Cattini

disegno di Dada

 

Entro il 2021 i trentaquattro scienziati dell’AWG (Anthropocene Working Group) presenteranno una proposta formale alla Commissione Internazionale di Stratigrafia per includere l’Antropocene nella scansione dei tempi geologici della Terra. Se questa proposta venisse accolta e successivamente ratificata, verrebbe suggellato l’ingresso in un’epoca geologica nuova.

 

Avremmo quindi la conferma che gli eventi occorsi in queste poche migliaia di anni di storia umana rappresentino un punto di svolta nella storia della Terra, alla stessa stregua di altri fenomeni che si ripetono con una frequenza misurabile di solito in milioni di anni, come l’impatto di un meteorite, un’attività vulcanica straordinaria o l’oscillazione dell’asse terrestre. In tal caso saremo certi di aver modificato il corso del tempo profondo (cioè quello scandito dalle epoche geologiche) in modo imprevisto rispetto a quanto sarebbe accaduto se la nostra specie non fosse mai comparsa su questo pianeta. 

 

In termini geologici, inoltre, potremmo dire che l’impatto della nostra civiltà sarà stato così grande da rimanere scritto a chiare lettere su uno strato di roccia detto GSSP (Global Standard Stratotype Section and Point). Un GSSP è una sezione di roccia sedimentaria, accumulatasi lungo un intervallo di tempo di durata variabile, utilizzata per definire il confine morbido e sfumato tra un’epoca geologica e l’altra. Associare un GSSP alla storia dell’umanità significherebbe quindi interpretarla anche come un vero e proprio periodo di transizione geologica.

 

Ma, se tutto ciò verrà confermato, saranno davvero gli esseri umani i protagonisti della nuova epoca?

 

L’erosione del tempo

Gli scienziati le hanno dato l’evocativo nome di Antropocene poiché saremmo proprio noi umani, gli anthropoi, i responsabili di questa nuova “rivoluzione geologica”. Tuttavia, come ci ricorda Stanley C. Finney, già presidente della Commissione Internazionale di Stratigrafia tra il 2008 e il 2016, alle epoche geologiche viene dato un nome non solo in base agli eventi che le hanno causate, ma anche guardando al loro contenuto, cioè ai fossili e alle tracce indelebili dei fenomeni più importanti che in esse si sono verificati.

 

Proviamo a metterci nei panni di un “geologo” del futuro. Quali tracce della nostra società (oggetti, materiali artificiali, corpi fossilizzati…) troverebbe tra qualche milione di anni? Anche per noi esseri umani i fossili sono l’unico modo di trasmettere un ricordo a chiunque abiterà la Terra in un momento indeterminato del futuro profondo. La loro formazione, però, è rara e complessa poiché, da un punto di vista geologico, buona parte di  ciò che sta sulla superficie terrestre verrà eroso e polverizzato in men che non si dica. Le nostre città non faranno eccezione a questa regola.

 

Se ci estinguessimo domani, ad esempio, sarebbe già molto arduo spedire un ritratto della nostra civiltà a chiunque camminerà sulla Terra fra soli 300mila anni. Come il dio greco Crono divora i suoi figli pochi istanti dopo che siano stati partoriti, così è assai probabile che il tempo inghiottirà quasi ogni testimonianza del nostro passaggio. Ma esiste qualcosa di umano che risulti particolarmente indigesto all’inesorabile trascorrere delle ere?

 

La relativa resistenza dei tecnofossili

Jan Zalasiewics, leader dell’AWG, ritiene che, in condizioni molto particolari, frammenti di plastica, alluminio e altre leghe metalliche potrebbero già conservarsi come fossili per diversi milioni di anni. Tuttavia, la normale degradazione del più duraturo fra questi materiali avviene nel giro di appena un migliaio di anni.

 

Anche se qualche polimero di plastica prodotto oggi finisse per fossilizzarsi, quindi, saremmo “fortunati” se tra un milione di anni riemergesse come un’incerta macchiolina in un cocktail di rocce del tutto anonime. Secondo lo studioso e giornalista scientifico Peter Brannen, infatti, due secoli di produzione industriale, per quanto forsennata, sono un tempo irrisorio affinché si accumuli una quantità di materiale sufficiente a dar vita a uno strato di roccia sedimentaria ampio quanto quello di un’epoca geologica.

 

Anche lo iodio-129, il più longevo frutto della fissione nucleare, non è eterno. Il suo tempo di dimezzamento è di 16 milioni di anni: per questo alcuni hanno proposto di consacrarlo come marcatore chimico d’eccellenza dell’Antropocene. Ma anche lo iodio-129, qualora fosse rilevabile nei fossili, trascorso questo periodo sparirebbe dalla faccia della Terra.

 

L’impronta indelebile del riscaldamento globale

A ben guardare, dunque, il segno più evidente del nostro passaggio è quello lasciato dal cambiamento climatico di origine antropica. Magari non riusciremo a lasciare in eredità ai posteri nessuna forchetta di plastica, né un solo elemento radioattivo che testimoni di cosa siamo stati capaci. Rimarrà tuttavia, su un sedimento sottilissimo, accumulatosi in poche migliaia di anni, il segno indelebile di una brusca alterazione nel ciclo del carbonio, causato dalle emissioni di gas serra generate dalla combustione di fonti di energia non rinnovabili come il carbone e il petrolio.

 

Sarà un segno che accompagnerà anche le tracce della sesta estinzione di massa. In questo caso gli isotopi dell’ossigeno e del carbonio non mentiranno sulla rapidità con cui un misterioso fenomeno (al quale forse, in mancanza di altre prove, non si potrà neanche dare il nome di “umanità”) avrà sconvolto i delicati equilibri climatici che consentono alla vita di prosperare. Inclusa, forse, la nostra.

 

Un’epoca finita prima ancora di cominciare?

Sembra quasi un paradosso, ma è probabile che lo sconvolgimento del clima, il cui riflesso pare essere l’unico in grado di imprimersi per sempre sulle poche tracce geologiche che ci stiamo lasciando alle spalle, sarà proprio ciò che non permetterà la fioritura di alcuna epoca umana.

 

Se continueremo sulla via dello sviluppo insostenibile non dureremo a lungo., Piuttosto che a quella che viene chiamata volgarmente “era dei dinosauri” (durata in realtà quasi 6 epoche geologiche, per un totale di 180 milioni di anni) sarebbe allora corretto paragonare la storia umana al breve periodo (durato non più di qualche migliaia di anni) durante il quale gli sconvolgimenti climatici generati dall’impatto del noto asteroide decretarono l’estinzione dei famosi mega-rettili. Se, come afferma Brannen, non ci saremmo mai sognati di dare al Cenozoico, l’Era in cui scomparvero i dinosauri e nacquero i mammiferi, il nome di “Asteroidocene”, perché mai dovremmo chiamare quest’epoca “Antropocene”? 

 

La differenza è che contrariamente ai dinosauri, di fronte all’“asteroide” che ci siamo malauguratamente costruiti da soli,  noi sappiamo esattamente che cosa dovremmo fare. 

 

Custodi della biosfera

Dobbiamo quindi gettare alle ortiche l’idea stessa di un’epoca umana? In teoria non dovrebbe essere necessario un atto così drastico, a patto di uscire dall’antropocentrismo che ancora pervade la società occidentale, cui persino il nome dell’Antropocene paga un più o meno consapevole tributo. 

 

Come mostra Andrew C. Revkin anche la geologia, dopo la biologia e la scienza del clima, considerando la possibilità che i Sapiens siano divenuti una forza della natura, ha sottolineato il valore delle nostre responsabilità verso il pianeta. Non è difficile immaginare che con un po’ di fortuna e capacità la specie umana possa co-evolversi con gli ecosistemi, imparando a danzare sempre più in sintonia con loro, di millennio in millennio, al ritmo dei lunghi cicli geologici e climatici planetari. Oggi abbiamo non solo gli strumenti scientifici e tecnologici per fermare (laddove ancora possibile) la catastrofe, ma anche per preservare nel tempo un ambiente favorevole al sostentamento di tutta la vita.

 

Immaginare l’Antropocene, dunque, oggi significa lottare per preservare l’unico delicato equilibrio climatico che ci permetterà di guadagnare il tempo necessario a progettare sistemi scientifici, tecnologici, sociali, economici, politici e culturali capaci forse di traghettarci, un giorno molto lontano, al di là delle tempeste apocalittiche che scandiscono di norma il tempo profondo della vita sul pianeta.

 

E se alla fine, dopo decine di milioni di anni (la durata minima di un’epoca geologica), per qualche ragione dovessimo comunque estinguerci, forse l’Antropocene sarà durato abbastanza da far sì che qualcuno ritrovi uno o due degli esili corpi fossilizzati dei nostri discendenti. Confrontandoli con la composizione chimica delle rocce sedimentarie, si potrà ammirare allora in quale grande varietà di climi e ambienti il genere umano sarà stato in grado di prosperare e di far fiorire il resto della biosfera.

 

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