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Le risorse genetiche ci salveranno?

Le risorse genetiche ci salveranno?

La diversità genetica di piante e animali è una risorsa cruciale per l’adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico. Ma senza sforzi congiunti per mappare e conservare le sementi e il materiale seminale rischiamo di perderla per sempre.

di Viola Ducati

 

Nel 2008 il governo norvegese ha inaugurato la Global Seed Vault, il più grande deposito di risorse genetiche alimentari al mondo. La struttura sorge all’interno di una montagna su una remota isola dell’arcipelago delle Svalbard, a metà strada tra la Norvegia e il Polo Nord. È stata costruita per resistere alla prova del tempo e alla sfida dei disastri naturali o provocati dall’uomo: in un possibile scenario di crisi globale, la Svalbard Global Seed Vault avrà il compito di fornire sementi e risorse genetiche all’intero pianeta.

 

Il suo primo intervento, in realtà, è già avvenuto nel 2015, quando a causa del conflitto siriano sono stati ritirati dal caveau i semi di alcune varietà di grano resistenti alla siccità e al calore che erano state compromesse dalla guerra. Oggi la struttura ospita più di un milione di campioni, ma c’è posto per un totale di 4,5 milioni di varietà. Il lavoro di ricerca e raccolta svolto in collaborazione con le oltre 1700 banche genetiche di tutto il mondo è continuo. 

 

La diversità genetica in tempo di crisi climatica

Di risorse genetiche si parla da relativamente poco tempo. La loro definizione risale al 1992, quando la Convenzione sulla diversità biologica le ha descritte come “materiale genetico con un valore reale o potenziale”. Il primo riferimento diretto alle risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (Genetic Resources for Food and Agriculture, GRFA), tuttavia, risale al 2013.

 

fonte: The Crop Trust

 

Dopo due decenni di sostanziale inazione, infatti, la Commissione per le risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura (Commission on Genetic Resources for Food and Agriculture, CGRFA), un organismo interno alla FAO creato nel 1983, ha adottato un programma di lavoro finalizzato a comprendere il ruolo delle GRFA in rapporto al cambiamento climatico. Negli anni successivi sono stati fatti alcuni importanti passi avanti, con l’obiettivo di integrare il tema delle risorse genetiche nei piani nazionali di adattamento al cambiamento climatico.

 

La loro importanza è destinata a crescere, perché in un pianeta sempre più minacciato da cambiamenti climatici rapidi e difficili da prevedere, avremo bisogno di mettere in campo tutte le risorse possibili per garantire la sicurezza alimentare globale. La biodiversità, e in particolare la diversità genetica, giocherà un ruolo cruciale nelle strategie di adattamento e mitigazione.

 

Anche l’industria e la finanza se ne stanno rendendo conto: nel suo rapporto annuale pubblicato a gennaio, il Forum economico mondiale ha indicato la perdita di biodiversità e il cambiamento climatico tra i cinque maggiori rischi globali per probabilità e impatto; già nel 2020 la società di consulenza McKinsey & Company ha segnalato la selezione genetica del bestiame mirata alla riduzione delle emissioni di gas serra come una delle 15 misure agricole necessarie per affrontare il cambiamento climatico. Ma in concreto, in che modo le risorse genetiche possono aiutarci? 

 

fonte: The Crop Trust

 

Il principio alla base delle GRFA è semplice: quando il clima di una determinata regione cambia a tal punto che la varietà animale o vegetale normalmente allevata o coltivata non è più in grado di produrre rese soddisfacenti, l’adozione di un’altra varietà o, in casi estremi, di una specie diversa, è l’unica strada percorribile.

 

Le alternative a disposizione degli agricoltori sono di due tipi: possono introdurre delle nuove varietà migliorate, ottenute con tecniche tradizionali di incrocio selettivo o per manipolazione genetica, oppure delle varietà consolidate, già coltivate in climi simili a quello che sta emergendo nella regione in questione. La conoscenza, l’accesso e lo scambio delle risorse genetiche alimentari, di conseguenza, sono la chiave per costruire sistemi agricoli resilienti. Maggiore è il grado di diversità interspecifica o intraspecifica, infatti, maggiore è la capacità del sistema produttivo di resistere agli stress biotici – nuovi parassiti e malattie – e abiotici – siccità, aumento della salinità, inondazioni – causati in modo più o meno diretto dal cambiamento climatico.

 

Non ultimo, l’impiego mirato delle GRFA può aumentare il rendimento delle colture, permettendo di risparmiare suolo a parità di resa, e migliorare la qualità nutrizionale degli alimenti, sempre più minacciata da siccità prolungate, precipitazioni irregolari e dall’aumento della concentrazione di anidride carbonica. Di recente, infine, la ricerca scientifica ha cominciato a evidenziare il potenziale di mitigazione delle GRFA: selezionare e allevare varietà animali e vegetali adattate a specifici contesti ambientali potrebbe consentire di ridurre l’impiego di acqua, fertilizzanti e pesticidi, diminuendo l’impatto delle produzioni sul clima

 

fonte: The Crop Trust

Risorse genetiche minacciate

65 milioni di anni di evoluzione e 12500 anni di pratiche agricole ci hanno consegnato un patrimonio genetico immenso, in gran parte ancora sconosciuto. Oggi, tuttavia, questa ricchezza rischia di scomparire per sempre: il cambiamento climatico e le cattive pratiche agricole stanno mettendo a repentaglio la disponibilità di risorse genetiche per il presente e il futuro. La selezione millenaria di colture e razze animali, infatti, ha portato a un considerevole aumento delle rese, ma ha anche aumentato l’omogeneità genetica delle varietà più diffuse.

 

Scarsa varietà significa maggiore vulnerabilità: una manciata di colture diffuse su larghissima scala rischia di diventare presto obsoleta a causa del cambiamento climatico. Per migliorare la resilienza degli attuali sistemi agricoli sarebbe necessario incrociare le varietà ad alto rendimento con i cosiddetti “parenti selvatici delle colture” (crop wild relatives, CWR) o con varietà autoctone, con l’obiettivo di assicurare alle varietà commerciali una base genetica più ampia. Ma molte popolazioni di piante selvatiche, compresi i CWR, oggi sono a rischio di estinzione a causa della perdita e della frammentazione degli habitat e dei cambiamenti nell’uso del suolo.

 

Anche le colture tradizionali, gli orti domestici e gli impianti di piccola scala, che costituiscono nel loro insieme un importante serbatoio di diversità, sono sempre più minacciati dallo sviluppo incontrollato di città e infrastrutture e dalla diffusione di sistemi di produzione industriale. Se a questo scenario aggiungiamo i cambiamenti climatici in atto, la vulnerabilità dell’intero sistema agroalimentare si moltiplica. In un mondo incerto e in rapido cambiamento, la mancanza di alternative potrebbe essere letale. 

 

La manipolazione genetica di piante e animali è la risposta?

Nel suo ultimo rapporto la Commissione FAO per le risorse genetiche ha valutato le biotecnologie di manipolazione genetica come uno strumento promettente per far fronte al cambiamento climatico. Dal primo organismo geneticamente modificato (OGM), datato 1973, il settore delle biotecnologie ha fatto enormi progressi: oggi sono disponibili molte tecnologie, come la CRISPR/Cas9 – un sistema per eliminare o sostituire le sequenze di DNA dannose dal genoma bersaglio – che consentono di migliorare e accelerare il naturale sviluppo di nuove varietà vegetali.

 

fonte: The Crop Trust

 

In breve, grazie alle New Breeding Techniques (NBT) siamo in grado di “creare” artificialmente la diversità genetica, ottenendo varietà meglio adattate agli scenari climatici futuri. Gli esempi di successo non mancano: CRISPR/Cas9 ha permesso di ridurre la sensibilità al sale di alcune varietà di riso, ora coltivabili anche in ambienti ad alta salinità; alcune recenti sperimentazioni, invece, promettono di migliorare la termotolleranza del bestiame.

 

La questione degli OGM e delle NBT, tuttavia, rimane aperta, perché accanto ai benefici permangono alcune evidenti criticità. La FAO stessa invita ad adottare con cautela queste soluzioni, affiancandole ad altri tipi di intervento. Il rischio concreto è di ridurre ulteriormente la biodiversità, soppiantando molte razze e varietà locali a favore di poche colture geneticamente modificate. 

 

Agire ora per mangiare anche domani

Le raccomandazioni della Commissione per le risorse genetiche per l’alimentazione e l’agricoltura sono chiare: per adattare il sistema agroalimentare globale al cambiamento climatico è necessario agire in modo coordinato secondo più linee d’azione. Il primo passo è assicurarci di conservare e consegnare alle generazioni future la grande varietà animale e vegetale tuttora presente nei sistemi agricoli.

 

A questo proposito le banche genetiche svolgono un ruolo centrale, ma è importante che alla conservazione ex situ si affianchi anche quella in situ, che consente l’evoluzione continua delle varietà e la generazione di popolazioni adattate. In secondo luogo, servono sforzi congiunti per caratterizzare e valutare le diverse razze e colture, con l’obiettivo di conoscere i loro caratteri altamente ereditabili, le prestazioni agronomiche e la risposta ambientale.

 

fonte: The Crop Trust

 

Le maggiori responsabilità, tuttavia, forse non spettano al mondo della ricerca, ma alla politica, che ha il compito di diffondere e sostenere una maggiore cultura delle risorse genetiche, a tutti i livelli: dai piani nazionali di adattamento al cambiamento climatico, chiamati a tenere conto delle GRFA, alle politiche di finanziamento all’agricoltura. Senza una chiara visione politica, del resto, le risorse genetiche rischiano di finire nelle mani di pochi o di non raggiungere chi potrebbe beneficiarne: proteggerle è anche una questione di giustizia sociale. 

 

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