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L’importanza di produrre meno rifiuti

L’importanza di produrre meno rifiuti

Solo a livello domestico, nel 2016 l’Italia ha prodotto 496 kg di rifiuti a persona.

 

Vi siete mai chiesti quanta spazzatura produciamo ogni giorno? Vi domandate mai quante stanze potremmo riempire con i sacchi di spazzatura che escono settimanalmente dalla nostra porta d’ingresso? Avete mai fatto il calcolo dei metri cubi di pattume che generiamo ogni anno? Probabilmente no, ma alcuni studiosi sì.

 

Nel 2018 alcuni ricercatori dell’Eurostat hanno pubblicato un articolo sulla produzione di rifiuti generali che mette i brividi. Nel 2016 le attività economiche e le famiglie dei soli stati dell’Unione Europea ne hanno prodotti duemilacinquecento trentasette milioni (2.537.000.000) di tonnellate: la quantità maggiore di rifiuti mai registrata dal 2004 in poi. Per quanto i settori più colpevoli rimangano le industrie di costruzioni, l’industria mineraria e manifatturiera, i nuclei domestici risultano responsabili di circa l’8.5% del totale europeo (Eurostat, 2018). Solo a livello domestico, nel 2016 l’Italia ha prodotto trenta-milioni-centosedicimila-seicentosei tonnellate di rifiuti (30.116.606 tonnellate). Vale a dire quattrocentonovantasei chilogrammi di rifiuti a persona. 496 kg di rifiuti sulle spalle di ognuno di noi, in un paese in cui l’uomo medio ne pesa 74 di chilogrammi e una donna adulta 59. Ogni giorno, in media, ne produciamo 1,3 kg (fino ad arrivare ad una media di 2 kg in paesi come la Gran Bretagna).

 

Il legame diretto tra rifiuti e cambiamento climatico

Più della metà delle tonnellate di spazzatura prodotte finisce in discarica. E meno le componenti di ogni prodotto sono degradabili, più lente saranno a decomporsi, più rimarranno nei siti di discarica, emettendo gas serra (al 90-98% metano e anidride carbonica) e favorendo quindi il cambiamento climatico. Basti pensare che le discariche contribuiscono a più del 10% delle emissioni da metano mondiale, e nel 2010 hanno prodotto globalmente 779 milioni di metri cubi dell’equivalente di anidride carbonica! Quando non decomponibili, i rifiuti inorganici contribuiscono alle emissioni di gas nocivi se vengono bruciati, ed in aggiunta sono responsabili delle emissioni degli stessi gas durante il processo produttivo.

 

Ma cosa si può fare per ridurre drasticamente la nostra individuale produzione di rifiuti? Ci sono alcune azioni che includono la diminuzione di rifiuti dalla fonte, come ad esempio il non comprare prodotti imballati più del necessario o acquistando frutta e verdura sfuse. Altre pratiche, come il riciclo, mirano invece a limitare i danni di consumi inevitabili. Riutilizzare le materie prime, infatti, riduce la domanda di estrazione di quelle stesse materie prime, attraverso attività come l’estrazione mineraria e la deforestazione, che contribuiscono all’inquinamento e all’emissione di gas serra nell’atmosfera.

 

Riciclare una tonnellata di carta, ad esempio, equivale a salvare 17 alberi maturi dal venir abbattuti. E preservare gli alberi significa proteggere un sistema di cattura dell’anidride carbonica, gas protagonista nella lotta contro il cambiamento climatico. L’Agenzia di Protezione dell’Ambiente ha calcolato che nel 2014 negli Stati Uniti il riciclo di 89 milioni di tonnellate di rifiuti urbani ha comportato il risparmio di un ammontare energetico pari al normale consumo energetico di 25 milioni di famiglie americane! Riciclare, dunque, aiuta a combattere il cambiamento climatico fin dalle origini del problema, perchè riduce la quantità di materiali che finisce in discarica ma anche quella che viene utilizzata nei processi di produzione.

 

Sperimentando sul riciclo

Riciclare è facile e richiede uno sforzo trascurabile. Tuttavia, mentre alcuni rimangono scettici sull’effettiva efficienza del riciclaggio, gli esperti tengono a sottolineare che le inefficienze provenienti dagli elevati costi di lavorazione derivano per la maggior parte da errori nei sistemi di raccolta differenziata implementati nei diversi paesi. Per questo, dagli anni ’90 circa, economisti comportamentali in tutto il mondo hanno provato a studiare il problema, associando all’adozione di nuove politiche comunali di raccolta differenziata un esperimento di economia comportamentale.

 

Nel 1999, il professore di Psicologia Wesley Schultz decise di dividere in gruppi una comunità californiana vicino a Los Angeles che avrebbe implementato da zero un sistema di raccolta differenziata porta a porta per studiare l’effetto di diversi meccanismi comportamentali. Con l’obiettivo di aumentare l’ammontare di raccolta differenziata e diminuire la contaminazione di materiali sbagliati nel pattume delle famiglie, un primo gruppo di famiglie ricevette una sorta di esortazione scritta a prestare attenzione alla propria condotta perché uno studio avrebbe analizzato la raccolta differenziata.

 

Altri gruppi di famiglie, in aggiunta, percepirono rispettivamente anche dei commenti sulla loro prestazione individuale, sui risultati collettivi e delle informazioni illustrate sul regolamento della raccolta differenziata. Con questo esperimento Wesley Schultz dimostrò quanto l’utilizzo di un semplice meccanismo di riscontro, di commento, possa avere un reale impatto sui comportamenti delle persone: con questi strumenti, infatti, non solo la quota di partecipazione alla raccolta differenziata aumentò, ma pure il materiale riciclabile raccolto.

 

Nel 2012, Bente Halvorsen paragonò dieci Paesi dell’OCSE per studiare le motivazioni psicologiche che spingono le persone a riciclare, e quanto le diverse politiche pubbliche implementate avessero effetto sul riciclo. Riscontrò che la motivazione più forte provenisse da un lato dalla convinzione di star facendo qualcosa di buono per l’ambiente e dall’altro dal senso civico di cittadino. Inoltre, Bente dimostrò, come un altro studio di Henning Best e Thorsten Kneip del 2010, quanto all’aumento dei servizi di raccolta differenziata porta a porta o dei punti di scarico di quartiere seguisse un significativo aumento delle quantità riciclate.

 

Oltre che da esperimenti di economia comportamentale sul tema, è possibile farsi ispirare da svariati esempi virtuosi. Da città come Copenhagen che, dopo aver implementato la raccolta dei rifiuti organici, provvede alla distribuzione per posta di appositi contenitori e alla scorta di sacchetti biodegradabili gratuitamente, eliminando barriere di tipo fisico/economico per i cittadini. Provvedere agli strumenti e alla distribuzione di materiali utili per il riciclaggio è, infatti, virtù di Paesi lungimiranti; utilizzarli e adoperarsi per ridurre il proprio impatto sul cambiamento climatico è onere civico. Si prendano come esempio ragazzi come Lauren Singer e Marianna Mea, che riescono ogni anno a far stare i rifiuti inorganici che producono personalmente dentro ad un barattolo di vetro: è lo stile di vita “zero-waste” che, sebbene possa sembrare estremo e molto difficile da applicare, funge da prova che vivere senza produrre un chilo e mezzo di rifiuti al giorno a testa è più che realistico.

 

Non rifiuti-amoci di provarci

L’ aspetto bizzarro di questo tema è che i rifiuti sono un concetto tutto umano, non esistono in alcun ecosistema naturale. In natura, ogni “rifiuto” diventa poi risorsa per un altro fine. L’uomo invece è l’unica specie capace di trasformare delle risorse naturali in spazzatura che, lasciata a marcire a cielo aperto, rilascia quantità nocive di gas serra responsabili del cambiamento climatico. Nonostante la fattibilità del riciclo, partecipando con dedizione (e precisione) alla raccolta differenziata o dando una seconda vita ai nostri consumi, c’è spesso una lunga lista di scuse e di “barriere” nella nostra condotta quotidiana: pigrizia, mancanza di tempo, scarsità di interesse, carenze di infrastrutture o di strumentazione adatta. Per lo meno, questo articolo punta ad eliminarne una: giustificare comportamenti deleteri per il cambiamento climatico con mancanza di conoscenza, di ispirazione, ignoranza. Mettiamoci in gioco, passiamo parola!

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