Il bacino del Mediterraneo, hotspot dei cambiamenti climatici
Il riscaldamento globale potrebbe determinare la transizione di una parte della regione verso condizioni climatiche tipiche delle regioni aride.
di Ettore Barili
La nostra comprensione dei cambiamenti climatici si basa sullo studio di alcune tendenze, valori medi che aggregano “nascondendo” realtà temporali e spaziali diverse. Pensiamo al famoso grado e mezzo, risultato dell’intesa di 194 paesi che segna l’obiettivo di contenimento dell’aumento delle temperature medie su scala globale. Si tratta certo di un dato fondamentale, dal momento che senza di esso non avremmo una traiettoria condivisa per affrontare una sfida che oltrepassa i confini dei singoli stati, ma anche di un dato iniquo in quanto cela delle diseguaglianze. Infatti, non tutte le aree del mondo saranno colpite allo stesso modo dall’evoluzione delle condizioni climatiche: alcuni paesi dispongono di pochi mezzi per adattarsi e alcune regioni, chiamate hotspot dei cambiamenti climatici, risentono maggiormente dei loro effetti.
Il bacino del Mediterraneo è una di queste. Qui i cambiamenti climatici sono particolarmente preoccupanti per due grandi tendenze che, se combinate, sono in grado di esercitare una forte pressione sui sistemi sociali ed ecologici dell’area.
Da una parte, la regione del Mediterraneo si sta riscaldando più rapidamente : l’aumento delle temperature è maggiore del 20 % rispetto all’aumento delle temperature medie globali. Ma è in estate che la differenza si fa più acuta essendo il riscaldamento del bacino del Mediterraneo più intenso persino del 50 %.
Proiezione del riscaldamento terrestre nel bacino del Mediterraneo
Variazioni previste della temperatura annuale rispetto al periodo di riferimento (1980-1999), basate sulla media d’insieme di EURO-CORDEX 0,11°, a : simulazioni per gli scenari RCP2.6 e RCP8.5, b: riscaldamento alla fine del XXI secolo (2080-2099) per RCP2.6, c: lo stesso per RCP8.5.
Dall’altra parte, si osserva una riduzione delle precipitazioni, anch’essa maggiormente accentuata nel periodo estivo. Si stima infatti che le precipitazioni potrebbero diminuire del 4 % in media per ogni grado in più di riscaldamento climatico. Questo significa che, a seconda della traiettoria di riduzione delle emissioni che imboccheremo, nella regione del Mediterraneo, le precipitazioni potrebbero diminuire tra il 4 e il 22 % entro la fine del secolo.
Proiezione del cambiamento delle precipitazioni nel bacino del Mediterraneo
Variazioni previste delle precipitazioni annue rispetto al periodo di riferimento del passato recente (1980-1999), sulla base della media di insieme di EURO-CORDEX 0,11°, a : simulazioni per gli scenari RCP2.6 e RCP8.5, b: anomalie delle precipitazioni anomalie di precipitazione alla fine del XXI secolo (2080-2099) per RCP2.6, c: lo stesso per RCP8.5.
La combinazione di questi due fattori – rapido aumento delle temperature e riduzione delle precipitazioni – in una regione già interessata da estati molto calde e secche espone l’area al rischio ricorrente e concreto di forte siccità: nel periodo estivo, l’aumento delle temperature medie, favorisce l’evaporazione dell’umidità del suolo (evapotraspirazione) che, a fronte di una riduzione delle precipitazioni, ha sempre minori occasioni di “ricaricarsi di acqua”. Si dà il caso che il Mediterraneo segni il confine tra il clima temperato dell’Europa e il clima desertico proprio dell’area nordafricana e mediorientale. Con il riscaldamento globale questo confine tenderà a salire. L’aumento di qualche grado delle temperature medie potrebbe determinare la transizione di una vasta porzione dell’area del Mediterraneo verso condizioni climatiche ed ecologiche tipiche delle regioni aride con effetti destabilizzanti per le popolazioni umane e non umane.
Acqua
Siccità più forti e ricorrenti significano non solo desertificazione ma anche meno disponibilità d’acqua. Nel sud e nell’est del bacino del Mediterraneo, caratterizzati da poche precipitazioni e da una forte crescita demografica, la situazione desta già oggi grande preoccupazione. Sono 180 milioni, infatti, le persone che vivono con meno di 1.000 metri cubi d’acqua all’anno mentre la mancanza estrema d’acqua, vale a dire meno di 500 metri cubi d’acqua all’anno, colpisce 80 milioni di individui.
Il cambiamento climatico viene quindi ad aggravare una situazione già estremamente complessa riducendo la portata dei corsi d’acqua e la ricarica delle falde acquifere, principale fonte di acqua potabile per alcuni paesi del Mediterraneo come la Libia, Malta, la Palestina e Israele, e aumentando il fabbisogno idrico delle colture. È allora facile immaginare come la rarefazione della risorsa possa acuire i conflitti esistenti tra i vari utenti e i vari settori, e, perché no, tra i paesi che si spartiscono il controllo dei bacini idrografici della zona.
Un riscaldamento climatico moderato, compreso tra il grado e mezzo e i due gradi di aumento delle temperature medie globali, potrebbe aumentare i periodi di debole portata dei fiumi e la frequenza dei fiumi in secca. Le popolazioni urbane saranno quindi sempre più esposte a siccità severe: ogni decimo di grado in più di riscaldamento non farà che ampliare la platea delle persone colpite.
Se invece le temperature medie globali dovessero eccedere i due gradi di riscaldamento entro la fine del XXI secolo, gli impatti sulla disponibilità d’acqua sarebbero molto più gravi. In numerose regioni del Mediterraneo, gli episodi di siccità potrebbero diventare tra le 5 e le 10 volte più frequenti, con effetti disastrosi sull’agricoltura e sulla disponibilità di acqua potabile.
Alimentazione
Con l’aumento delle temperature medie, le rendite agricole nel bacino del Mediterraneo tenderanno a calare. Si tratta anche in questo caso di una tendenza legata a una molteplicità di fattori. L’innalzamento del livello del mare e la ridotta portata dei fiumi favoriscono l’intrusione di acqua salata nei bacini acquiferi costieri del Mediterraneo. Questo fenomeno rappresenta una vera e propria minaccia per l’agricoltura sviluppatasi intorno ai delta del Nilo, del Po e della Camargue. Per un paese come l’Egitto, dove il settore agricolo è maggiormente concentrato sul delta del Nilo, la progressiva salinizzazione dell’acqua rischia di compromettere la sicurezza alimentare di una popolazione che si stima possa contare più di 150 milioni di abitanti entro il 2050.
Va da sé che la riduzione delle precipitazioni e la crescita dell’intensità e della durata degli estremi di temperatura renderanno i raccolti meno abbondanti. In questo caso, l’entità dell’impatto sulle rendite dipende sia dallo scenario di riduzione delle emissioni che dagli sforzi di adattamento realizzati. Per esempio, si prevede che, tra il 2021 e il 2050 in mancanza di mitigazione e adattamento, il rendimento del grano potrebbe subire una diminuzione che si stima tra il 5 e il 22 %. Tra gli altri fattori di rischio, troviamo anche la diffusione di nuovi parassiti e agenti patogeni che potrebbero anche loro influire negativamente sulla qualità e la sicurezza alimentare.
Come se non bastasse, l’acidificazione, il riscaldamento e l’inquinamento del mar Mediterraneo avranno un impatto maggiore anche sulla produttività marina causando, si stima, l’estinzione del 20 % dei pesci e dei vertebrati marini oggi sfruttati dagli esseri umani. Gli effetti del cambiamento climatico si inseriscono quindi in un contesto già preoccupante di declino delle popolazioni: tra il 1994 e il 2017, gli sbarchi del pescato proveniente dalla pesca professionale nel Mediterraneo sono diminuiti del 28 %.
Degli importanti margini di adattamento
Oltre a essere un hotspot dei cambiamenti climatici, la regione del Mediterraneo subisce gli effetti di politiche spesso controproducenti. In questo senso, appare emblematico come i tassi di sfruttamento delle falde acquifere continueranno ad avere un impatto maggiore dei cambiamenti climatici sulla riduzione del livello delle acque sotterranee in alcune aree del Mediterraneo. Allo stesso modo, le coste della regione sono oggetto di una forte urbanizzazione, incentivata nei paesi del sud-est del bacino dalla crescita della popolazione. Già molto severe nelle città di Alessandria, Beirut e Gaza, dove è maggiore la parte di popolazione che non ha accesso alla climatizzazione, le ondate di calore fanno più vittime proprio nelle zone maggiormente urbanizzate.
Seppur limitati, esistono importanti margini di adattamento. I fenomeni di desertificazione, estinzione delle specie e riduzione del rendimento delle colture tratteggiati qui sopra, dipendono da una molteplicità di fattori. Questi rientrano spesso e volentieri nell’ambito delle scelte umane. È il caso delle politiche agricole e di urbanizzazione del territorio che presentano un grande potenziale quando si tratta di preservare il suolo e rallentare la desertificazione; ma è anche il caso delle politiche che inquadrano la pesca e la tutela degli ecosistemi marini. Lo stesso si dica dello sviluppo di colture più resistenti alle condizioni climatiche presenti e future e della gestione e dell’efficientamento del sistema idrico.
Non scordiamoci però che la migliore strategia di adattamento rimane la mitigazione delle emissioni di gas a effetto serra, per evitare i peggiori scenari di riscaldamento e i loro impatti associati. Questa regola è tanto più vera in una regione, quella del Mediterraneo, che pagherà il prezzo più salato dell’inazione climatica.
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