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Trasporti in-sostenibili: disegnare mobilità alternative per riprenderci le strade

Trasporti insostenibili. Disegnare mobilità alternative per riprenderci le strade.

Superare il modello di trasporto urbano basato sul mezzo privato su gomma è indispensabile se vogliamo rendere le nostre città più sicure e salutari, aumentando anche gli spazi conviviali a disposizione di chi le vive. Ma a che punto siamo? 

di Beatrice Ruggieri 

 

Il diritto (negato) alla città

Mentre le auto continuano a crescere per dimensioni e numeri, lo spazio pubblico pensato per chi l’auto non ce l’ha o non la usa si riduce sempre più insieme ai suoi livelli di sicurezza, specie nei contesti urbani dove ormai si concentra e vive la maggior parte della popolazione mondiale. Indubbiamente, diverse amministrazioni – se pensiamo a quelle del Nord Europa – hanno fatto passi da gigante per garantire quel diritto alla città di cui parlava Henry Lefebvre nel 1968 riferendosi al diritto di poter accedere alle risorse della città, usufruendone attraverso la riappropriazione dei tempi e degli spazi di vita. Tra tutti, il modello olandese è quello che più risalta per le sue capacità e modalità innovative di ridisegnare gli spazi urbani e garantire migliori condizioni di vita per chi li attraversa e chi li vive nel proprio quotidiano. 

 

Eppure, persino il modello olandese stereotipicamente rappresentato come il paradiso dei ciclisti, soffre dello stesso problema di molti altri paesi: le strade sono pensate e progettate per coloro che viaggiano alle velocità più elevate e su veicoli più grandi piuttosto che come spazi pubblici e luoghi di lentezza, incontro e condivisione fruibili da chiunque.

 

E così, mentre gli studi sulle mobilità e sui trasporti concordano sul fatto che gettare nuovo asfalto per ampliare strade esistenti al fine di diminuire il traffico provoca, in realtà, l’effetto opposto a causa del principio della domanda indotta (più spazio per le auto porta ad avere più veicoli per strada), gli investimenti pubblici e privati continuano a finanziare questo tipo di interventi, spesso accompagnati dalla retorica delle compensazioni verdi (piantumare alberi, installare pannelli fotovoltaici lungo i tratti autostradali…). Tipologie di interventi che dimostrano la cecità con cui, ancora oggi, si affrontano i temi del cambiamento climatico, della prevenzione dei disastri ambientali e dell’adattamento climatico nell’agenda politica. 

 

 

Di chi sono le strade?

Come scrivono Thalia Verkade e Marco te Brömmelstroet (soprannominato “the cycling professor”) nel loro recente libro “Movement. How to take back our streets and transform our lives” (Scribe, 2022), occorre iniziare a porsi nuove domande in merito a chi appartengono le strade, a quali usi vogliamo che siano destinate e, soprattutto, a chi ha il diritto di decidere a riguardo.

 

La sfida, com’è facilmente intuibile, non è solo di natura tecnica. Come sottolineano Verkade e il professore ciclista, la sfida è innanzitutto sociale e culturale oltre che politica, ed è affrontabile solo se si inizia a progettare le città dopo averle viste come un insieme di persone e altri esseri viventi, e non come una ammasso di strade ed edifici. Solo ripensando le funzioni dello spazio pubblico è possibile riprogettarlo per metterlo a supporto di un numero crescente di persone con un’altra idea di mobilità, basata sulla prossimità, sulla sicurezza e sul piacere di muoversi, su uno spostamento più confortevole e democratico. 

 

Negli anni, lo spazio pubblico pensato per bambini, ciclisti e pedoni è stato progressivamente eroso a favore di quello dedicato al trasporto privato. Basti pensare che solo in Olanda lo spazio riservato al parcheggio delle automobili è quasi pari al numero di persone che vivono nel paese, che sono il doppio rispetto al numero effettivo di veicoli privati presenti. Cifre che diventano spaventose se rapportate agli Stati Uniti, dove esistono due miliardi di parcheggi per un totale di circa duecentocinquanta milioni di macchine, ossia più spazio dedicato alle auto in sosta rispetto a quello adibito agli alloggi.

 

Il numero di automobili pro capite in Italia è pari a 663 ogni 1000 abitanti (Eurostat, 2019) posizionando il nostro paese al secondo posto in Europa. Oltre alla conformazione geografica, agli incentivi fiscali per l’acquisto di nuove auto, agli investimenti in infrastrutture pensate per le automobili e alla macchina ancora vista come status sociale ed economico, a pesare è ancora un sistema di trasporto pubblico inefficiente, costoso e molto meno accessibile rispetto alla media europea. 

 

Ri-disegnare i sistemi di trasporto e mobilità 

Strade inizialmente pensate per le biciclette sono state lentamente adibite all’uso delle quattro ruote che, a loro volta, hanno spinto a progettare infrastrutture di trasporto e mobilità sempre più ampie, energivore, inquinanti e insicure. Spostarsi in sicurezza è sempre meno possibile a causa delle elevate velocità di chi conduce mezzi sempre più ingombranti ma anche del modo in cui sono progettate le strade, entrambi ingredienti di una violenza sistemica insita nel traffico motorizzato privato.

 

L’European Transport for Safety Council (ETSC) stima che dal 2011 al 2020 sono stati uccisi circa 6000 bambini in Europa in incidenti stradali di vario tipo: a causa dell’alta velocità, di guida in stato di ebbrezza o sotto l’uso di stupefacenti, di infrastrutture inadeguate a proteggere gli utenti maggiormente esposti e vulnerabili. Sempre l’ETSC stima che nel 2019 più di mille ciclisti abbiano perso la vita in collisione con moto e automobili per le stesse ragioni. Il quadro, inoltre, si complica se si fa riferimento alle forme di micromobilità elettrica sempre più incentivate nei contesti urbani senza che, però, siano garantite infrastrutture adeguate e controlli rigorosi del rispetto delle nuove norme di circolazione.

 

BRUSSELS: TIME TRAVEL AT PLACE STÉPHANIE from Jan Kamensky on Vimeo.

 

In questo modo i mezzi che dovrebbero facilitare gli spostamenti, rendendoli più agili ed economici, e apportare benefici alla propria salute e all’ambiente, diventano oggetto di tragedie spesso evitabili. Il problema principale, sottolinea l’ultimo report dell’OECD (2021) sulle strategie di trasporto per disegnare sistemi a emissioni zero, è che le policies pensate per migliorare gli standard di sicurezza dei sistemi di viabilità e al tempo stesso ridurne l’impatto ambientale vanno ad agire sulle singole componenti di tali sistemi anziché trasformare questi ultimi che, si legge, sono insostenibili “by design”.

 

Insomma, un ambiente insalubre, pericoloso e perennemente congestionato non è frutto del caso ma di modi insostenibili di disegnare questi ambienti. Non sorprende, quindi, che si continui a parlare di come incentivare la mobilità elettrica insistendo su un sistema di trasporto dipendente dal mezzo privato, senza riflettere in modo serio su dove andremo a finire – letteralmente e metaforicamente – proseguendo su strade così pericolose. Nel suo rapporto, l’OECD mostra delle possibili vie da seguire per ri-disegnare sistemi di mobilità sicuri, sostenibili e salutari. L’immagine utilizzata è la stessa delle ormai celebri piramidi alimentari solo che in questo caso si tratta di piramidi che indicano con che frequenza utilizzare i vari mezzi di trasporto, dando priorità all’uso di biciclette e mezzi pubblici collettivi e relegando l’uso di auto, moto e aerei a momenti sporadici e sempre più limitati.   

 

We do not lack space, we lack imagination 

Ma cosa succederebbe se iniziassimo a fare le cose diversamente? Forse, come recitano alcuni slogan accattivanti, ciò che manca non è lo spazio ma l’immaginazione per trasformarlo in qualcosa di più vicino alle persone e far nascere nuove possibilità. Per rendere le nostre città a prova di bicicletta, ad esempio, occorre renderla un mezzo desiderabile ampliando e migliorando la qualità delle infrastrutture ciclabili e sacrificando lo spazio per i mezzi motorizzati, non disegnando stretti corridoi “ciclabili” sull’asfalto tra auto parcheggiate da un lato e dall’altro mezzi che sfrecciano incuranti di chi hanno intorno.

 

A questo proposito è interessante citare uno scritto di Ivan Illich del 1973 (apparso su Le Monde con il titolo Énergie et équité) tradotto in Italia nel 2006 e poi ristampato nel 2020 sotto il titolo di “Elogio della bicicletta” (Bollati Boringhieri). In questo breve saggio, Ilich si dedica a un ragionamento che getterà le basi del pensiero ecologico moderno, sottolineando le potenzialità della bicicletta come preziosa alternativa alla crescente carenza di energia e all’inquinamento soffocante. Nello scritto di Ilich, la bicicletta è un mezzo che occupa poco spazio, che permette di spostarsi velocemente utilizzando la propria energia metabolica e che favorisce l’incontro – e il processo di ricostruzione sociale basato sul rifiuto dell’accelerazione – proprio come fa lo spostamento a piedi. E laddove la bicicletta non arriva, il trasporto pubblico dovrebbe consentire di sostituire l’auto privata perché più efficiente e più conveniente. 

 

BERLIN: KARL MARX ALLEE from Jan Kamensky on Vimeo.

 

Un’utopia? Non è ciò che pensa l’artista visionario Jan Kamensky, creatore del progetto Visual Utopias e impegnato nella realizzazione di brevi video animati che mostrano come sarebbero le nostre città se non fossero dominate dai mezzi a motore e dal cemento, bensì progettate come human-friendly places. Un esperimento visuale che mostra in tutta la sua semplicità il potenziale di trasformazione delle città in cui viviamo, realizzabile se iniziassimo a guardarle con occhi nuovi e se, soprattutto, cambiassero le priorità delle politiche di trasporto e di mobilità. In questo senso, gli sforzi per ridurre la velocità massima nelle città e limitarla a 30 km/h vanno nella direzione giusta. 

 

Resta ancora da vedere, però, se – e quando – le logiche delle politiche di mobilità urbana andranno oltre il modello tecnocratico di intervento e supereranno definitivamente la tentazione di trovare soluzioni semplici a questioni complesse che, prima o poi, non ammetteranno più alcun compromesso. 

 

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