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Le negoziazioni sul clima sono ferme

Le negoziazioni sul clima sono ferme

Il COVID-19 sta mettendo a rischio gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

 

Lo scorso marzo, in un comunicato agli Stati Membri, il Segretario Generale delle Nazioni Unite António Guterres aveva definito il 2020 “un anno fondamentale” per capire come affrontare la complessa crisi climatica. Tuttavia, non immaginava che da lì a poche settimane una pandemia globale avrebbe bloccato il sistema socio-economico mondiale per molti mesi a venire.

 

Le restrizioni al movimento imposte dal COVID-19 non hanno solo significato la chiusura di attività commerciali e l’impossibilità di riunirsi con amici e parenti; hanno anche interrotto gran parte degli eventi e degli incontri internazionali in ambito sociale, culturale e politico, compresi i negoziati internazionali sul clima. 

 

Un anno senza negoziazioni

Sono due gli appuntamenti annuali irrinunciabili per le negoziazioni internazionali sul clima: l’incontro degli organi sussidiari della convenzione quadro delle nazioni unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) a maggio, e la più famosa conferenza delle Parti (COP) a novembre-dicembre. In entrambe le occasioni gli Stati firmatari della convenzione quadro  e dell’accordo di Parigi si riuniscono per discutere e rivedere regole e linee guida che governano i meccanismi internazionali sul clima. 

 

Tali incontri per negoziare politiche climatiche più ambiziose durano almeno 2 settimane, e riuniscono più di diecimila delegati da tutto il mondo. La situazione di emergenza scaturita dal COVID-19 ha reso impossibile l’organizzazione di questi eventi. La COP26 di quest’anno, che si sarebbe dovuta tenere a Glasgow, sarebbe stata di particolare importanza per completare le regole per l’implementazione dell’accordo di Parigi.

 

 

Dopo anni di negoziazioni, rimangono infatti ancora irrisolte le linee guida dell’Articolo 6 dell’accordo di Parigi, che governano il mercato internazionale del carbonio. Finché tali linee guida non saranno completate, i meccanismi previsti dall’Articolo 6 non potranno essere applicati. In origine, le linee guida per l’Articolo 6 sarebbero dovute essere state completate nel 2018, durante la COP24 tenutasi a Katowice. I numerosi disaccordi politici sull’argomento hanno portato i delegati a posticipare ulteriormente la decisione.

 

Un rinvio della COP26 comporterebbe un ritardo di almeno tre anni sull’originale tabella di marcia – ritardo  che la comunità internazionale non può permettersi, con una crisi climatica ormai già avviata. I mercati del carbonio sono infatti una componente fondamentale per il raggiungimento dell’obiettivo dell’accordo di Parigi, innanzitutto grazie alla loro capacità di stimolare anche il settore privato nella riduzione delle emissioni; senza il coinvolgimento di industrie e fabbriche, sarà difficile riuscire a limitare in maniera sostanziale l’aumento della temperatura media globale.

 

Un colpo duro per l’ambizione climatica mondiale

L’aver posticipato la COP26 di Glasgow porta almeno un’altra cattiva notizia per il clima: meno visibilità alla crisi climatica. Le negoziazioni internazionali sul clima, oltre ad essere un luogo in cui i paesi si possono incontrare per definire accordi internazionali e relativi dettagli tecnici, offrono anche un’enorme opportunità alla comunità internazionale (governi e società civile inclusa) di intavolare un discorso multilaterale e di scambiare idee, piani ed obiettivi per fronteggiare la crisi climatica.

 

Le COP sono sempre accompagnate da numerosi eventi secondari in cui organizzazioni, società civile, attivisti e governi possono presentare nuove idee per riuscire a mitigare il cambiamento climatico, o per imparare gli uni dagli altri da esperienze di altri Paesi. Le COP, insomma, sono un luogo in cui diversi attori possono motivarsi (o rimproverarsi) a vicenda per le misure climatiche intraprese, sottolineando l’urgenza dell’impegno necessario a fronteggiare la crisi in atto. Ad esempio, è proprio nel contesto delle COP che molti paesi colgono l’occasione per annunciare nuovi obiettivi climatici.

 

A questo proposito, in particolare, la COP del 2020 sarebbe stata una tappa importante per il nuovo regime climatico dettato dall’accordo di Parigi. Secondo tale accordo, i Paesi firmatari dovrebbero comunicare un nuovo Nationally Determined Contribution (NDC) entro la fine dell’anno. Nel proprio NDC (da rinnovare ogni 5 anni), ogni stato presenta l’obiettivo di riduzione delle emissioni che intende raggiungere nel giro di 5-10 anni. L’ultima volta che tutti gli stati hanno presentato un NDC è stato nel 2015, quando è stato firmato l’accordo di Parigi.

 

La comunità scientifica ormai è unanime nel sostenere che gli NDC presentati allora non erano nemmeno lontanamente compatibili con l’obiettivo dell’accordo di limitare l’aumento della temperatura a 1,5 o 2°C. Grandi speranze sono quindi state riposte in questo nuovo ciclo di NDC. Tuttavia, l’emergenza COVID-19 ha avuto un impatto non indifferente sulla formulazione degli obiettivi,  anche  a causa dell’ingente stress economico che la crisi ha causato, costringendo molti governi a focalizzarsi su tematiche diverse dal clima.

 

Ad oggi infatti, a meno di due mesi dalla fine del 2020, solo 12 stati hanno comunicato un nuovo NDC. Di questi, solo quello del Cile è considerato da Climate Action Tracker come sufficientemente ambizioso e sufficiente per rimanere entro i 1,5°C di riscaldamento globale. Senza un evento come la COP capace di puntare i riflettori sulle azioni dei governi sul fronte climatico, le speranze di vedere nuovi ambiziosi obiettivi dal resto del mondo diventano poche. Insomma, senza la COP, questo 2020 per il clima passerà in sordina con le azioni dei governi ancora una volta posticipate.

 

Fonte: Climate Action Tracker (2020)

 

Cosa ci aspetta?

Con una crisi climatica ormai già avviata, ulteriori ritardi sul già lento processo delle negoziazioni internazionali sul clima rischiano di rendere l’obiettivo dell’accordo di Parigi ancora più difficile da raggiungere. Negli ultimi mesi molte organizzazioni, nonché l’UNFCCC stessa, si sono impegnate per organizzare una serie di dialoghi virtuali per parlare di clima. Tra questi, il summit più atteso arriverà il 12 Dicembre, in occasione del 5° anniversario della stipulazione dell’accordo di Parigi.

 

Tuttavia, questi appuntamenti online, probabilmente potrebbero non essere sufficiente per portare a casa, entro la fine dell’anno, un concreto risultato sul fronte della politica climatica internazionale. Nonostante, da un lato, le conferenze online riescano ad evitare numerose migliaia di tonnellate di CO2 grazie ad un minore traffico aereo, comunicare tramite lo schermo di un computer sembra ancora non essere capace di sostituire le complesse interazioni della vita reale. In eventi come le COP, in cui le discussioni sono molto politicizzate e intricate, riuscire ad interagire efficacemente via Zoom è particolarmente difficile.

 

Bisogna anche considerare le difficoltà logistiche del trovare orari che possano andare bene per i 24 diversi fusi orari del globo. La buona riuscita delle negoziazioni, inoltre, è spesso da ritrovarsi nei confronti informali in cui delegati appartenenti a diversi gruppi politici si intrattengono davanti ad un caffè. Rimane, comunque, ancora un mese e mezzo per capire se questo 2020 potrà davvero essere l’anno del clima. Il COVID-19 ha reso la nostra corsa contro il tempo ancora più difficile, aggiungendo allo scenario internazionale un’ ulteriore crisi che si sovrapporrà a quella climatica.

 

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**Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di altre organizzazioni ad essa collegate**

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