Articolo-100

Il numero cento

Il numero cento

Grazie a chi ci legge, ci incoraggia o ci consiglia.

 

Una sera di due anni fa, nell’aria umida di Parigi, sedevano tre ragazzi. Facevano loro compagnia il placido scorrere della Senna e un ampio telo da mare, sul quale troneggiavano una bottiglia di bianco e qualcosa da mettere sotto i denti (nella memoria di chi scrive si trattò di taralli ma, come è noto, i ricordi sono spesso più dolci della realtà). Quella sera, in uno slancio risoluto, uno di loro disse: “se di cambiamenti climatici non parla nessuno, forse dovremmo farlo noi”.

 

Qualche mese dopo, quando di foglie ingiallite sui rami degli alberi ne erano rimaste poche, i ragazzi si incontrarono di nuovo. Questa volta erano in sette. Per sopperire all’impossibilità di stendere un telo da mare – i ragazzi si trovavano in cinque città differenti – decisero di svolgere quell’incontro nel mondo virtuale, attraverso lo schermo di un computer. Quella sera si scelse un nome, e l’idea si tramutò in realtà. Il 18 dicembre 2018, durante la COP24, fu pubblicato il primo articolo di Duegradi.

 

Oggi Duegradi pubblica l’articolo numero cento. Nel mezzo interminabili discussioni, un numero imprecisato di contenuti multimediali e qualche bella soddisfazione. Il gruppo si è allargato ad undici persone; chi è arrivato ha portato colori e parole nuove. Come sovente accade quando si raggiunge un piccolo traguardo, la pubblicazione di questo articolo è stata l’occasione per fare il punto sul passato, pensare al futuro prossimo ed immaginare il futuro più distante. Ci siamo domandati se tra cinquant’anni saremo ancora a scrivere e illustrare, se ci piacerà ancora, se tratteremo ancora gli stessi argomenti o se invece ci dedicheremo a tutt’altro. Ne è uscito uno scarabocchio, caotico ma a suo modo coerente, del nostro futuro individuale e collettivo; come ce lo immaginiamo e come vorremmo che fosse. 

 

Pietro è stato il più lapidario: “tra cinquant’anni non voglio scrivere d’ambiente”. Vorrebbe che la coscienza ambientale facesse già parte del bagaglio dell’umanità, che fosse impressa “nella materialità dei nostri edifici, nella libertà dei nostri pensieri e nella bizzarria dei nostri sentieri onirici”. In tanti fra di noi sperano in un futuro nel quale sia diventato superfluo occuparsi della crisi climatica.

 

L’unica possibilità che abbiamo affinché ciò avvenga è un drastico cambio di rotta, nelle ambizioni dei governi come nei nostri stili di vita. Quel cambio di rotta speriamo di poterlo osservare coi nostri occhi. Tra cinquant’anni, Roberta vorrebbe “celebrare come “cinquant’anni fa”, cioè oggi, abbiamo saputo fare la differenza”. A Marta piacerebbe raccontare “di come, ancora una volta, l’Uomo ha saputo evolvere insieme alla crisi, superare la sua miopia, e reinventare il suo rapporto col pianeta e con chi lo popola”.

 

Affinché questo cambio di rotta si materializzi, dovranno verificarsi due condizioni. La prima: l’uomo dovrà aver ritrovato un equilibrio con la natura. Per Dada, questo equilibrio è racchiuso in un momento contemplativo, nel quale “l’umano osserva e il mondo Fa”. Oggi che la mano dell’uomo arriva ovunque, si ritrova a voler ritrarre la natura “sola”; “a desiderare ambientazioni intatte, quasi inconsapevoli della nostra esistenza”. Per Chiara, invece, la natura del futuro è ibrida; immagina un mondo “in cui le nostre infrastrutture si amalgamano armoniosamente con i boschi, le pianure, i fiumi circostanti” e una società resiliente, che si è adattata “a cambiamenti ormai inevitabili: un clima diverso, un paesaggio diverso, una disponibilità di acqua diversa”

 

La seconda condizione necessaria consisterà nell’affrontare la crisi climatica come parte di un più profondo riassestamento della nostra società. Si tratta di sconvolgere il nostro sistema energetico, improntare le nostre filiere alla circolarità, “ridisegnare le nostre città a misura d’uomo, non di automobile.” Ma non solo. Ecco perché Lorenzo vorrebbe scrivere di come siamo stati capaci “non solo di affrontare la crisi climatica, ma di farlo mettendo in discussione il nostro sistema di distribuzione della ricchezza”. Ecco perché Elia si immagina un futuro basato su “un modello socio-economico alternativo a quello attuale” nel quale le scelte “non siano dettate dalle logiche di mercato che stanno esasperando i danni all’ambiente e le disuguaglianze”

 

Questo storico, impronosticabile cambio di rotta qualcuno di noi vorrebbe raccontarlo ai nipoti. Fabiola, che da bambina leggeva, a fianco del padre, un manuale di buone azioni intitolato “Il buon ecologista”, vorrebbe che tra cinquant’anni la scena familiare si ripetesse; stavolta, però, con i bambini a leggere “di quanto sono stati coraggiosi i propri nonni a lottare per una società più equa e in armonia con la natura”. Alice si immagina invece seduta “in una veranda vista mare, sorseggiando del vino scandinavo con figli che ho avuto il coraggio di avere.” Assieme a loro i nipoti, ai quali raccontare per l’ennesima volta degli anni “del risveglio epocale dall’apatia”.  

 

Difficile scrivere queste poche righe senza sembrare sognatori, ha detto uno di noi. Federico, che ha avuto il privilegio di mettere assieme questo guazzabuglio di sensazioni e preveggenze, non può che sottoscrivere. E tuttavia, non c’è alternativa alla speranza di Viola che “chiunque possa rispondere come abbiamo risposto noi oggi: con una prospettiva ottimistica e la convinzione di poter contribuire a cambiare le cose”. Agire, seppur nel nostro piccolo, è l’unica alternativa all’epocale apatia che ci ha condotti fin qui. 

 

Noi continueremo a raccontare la crisi climatica, di modo che tra cinquant’anni non sia più necessario farlo. 

 

Grazie a chi ci legge, ci incoraggia o ci consiglia. Grazie a chi, scrivendo per noi, ha dato il proprio contributo nel raggiungimento di un piccolo, lucentissimo traguardo. Grazie a tutti i componenti di questa matassa aggrovigliata, deliziosamente inestricabile, che è la redazione di Duegradi.

 

E cento di questi giorni. 

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