Gli Oceani sono una bomba a orologeria
Assorbendo anidride carbonica dall’atmosfera, gli oceani stanno diventando sempre più “acidi” e caldi. E questo li rende meno ospitali alla vita.
di Laura Basconi e Luca Famooss Paolini
disegno di Dada
Il mare è per molti un luogo di calma e lentezza. Quante volte ci è capitato di fermarci sulle coste lambite dalle onde ad ammirare l’orizzonte, stando alla fine un po’ meglio con noi stessi? Il mare cura. Ma noi, noi abbiamo cura del nostro mare?
Perdita di biodiversità, sovrasfruttamento delle risorse ittiche, specie aliene, inquinamento e plastica, perforazione per i combustibili fossili e ora anche cambiamento climatico. Quasi verrebbe da dire che, questo nostro mare, l’abbiamo dato per scontato da un po’ di tempo.
Il problema è che il suo ruolo nel delicato equilibrio climatico del nostro Pianeta è talmente tanto rilevante che dimenticarsene potrebbe essere l’errore più grave che potremmo compiere. L’Oceano infatti, ricoprendo il 70% della superficie terrestre e raccogliendo il 97% dell’acqua del pianeta, svolge il ruolo di principale regolatore climatico.
Ciò è possibile grazie alla sua enorme capacità termica, vale a dire la quantità di calore che riesce immagazzinare, prima di cambiare temperatura. Pensate che tale capacità risulta essere circa 1000 volte superiore a quella dell’aria, e quindi dell’atmosfera. Parallelamente, l’Oceano rappresenta uno dei principali serbatoi di carbonio, assorbendo una quota parte di anidride carbonica (CO2) emessa nell’atmosfera dalla combustione dei combustibili fossili e dalla biosfera.
È essenzialmente grazie alle capacità di “assorbimento” dell’Oceano che il cambiamento climatico indotto dalle emissioni antropiche non si è manifestato in maniera repentina. L’Oceano è a tutti gli effetti il “Grande Gigante Gentile” del sistema Terra: ascolta e accumula, lentamente, tutelandoci contro i nostri stessi errori.
Ma l’assorbimento di calore e di CO2 in eccesso che si è registrato nelle acque mondiali durante le ultime decadi ha purtroppo delle conseguenze. A causa delle emissioni umane, l’Oceano si sta scaldando e acidificando, mettendo così a repentaglio non solo la stabilità di diversi ecosistemi, ma anche quella dell’intero sistema climatico.
Il surriscaldamento degli Oceani
Fino ad ora si pensava che l’Oceano fosse responsabile di un assorbimento della metà, o poco più, del calore in eccesso in atmosfera dovuto alle emissioni antropiche; un recente articolo pubblicato su una rubrica di Nature, tuttavia, ha permesso di stimare, grazie a misurazioni diverse da quelle canoniche, come l’Oceano ne abbia in realtà assorbita il 90%. A conti fatti quindi, quello che noi viviamo sulla Terra è solo il 10% del reale calore che abbiamo causato tramite le nostre emissioni .
Componenti del riscaldamento climatico nel periodo 1993-2003, calcolate a partire dal report IPCC AR4 5.2.2.3.
Nell’ultimo rapporto dell’IPCC (Gruppo Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) si stima che lo strato più superficiale dell’Oceano (fino a 750 m di profondità) si sia riscaldato su scala globale, di 0,09-0,13 °C per decennio negli ultimi 40 anni. Uno studio pubblicato nello stesso report ha poi previsto un aumento della temperatura media dell’Oceano di 1-4 °C entro la fine del secolo.
Ma quali sono le conseguenze di avere un Oceano così caldo? Quando un corpo idrico si scalda accumula energia, e questa energia in eccesso deve essere liberata in qualche modo. Ciò può manifestarsi in vari modi, tra cui eventi estremi sempre più frequenti ed intensi, come ad esempio i cicloni tropicali.
Oceani più caldi significa anche espansione termica, vale a dire acque che si dilatano, arrivando a determinare, secondo gli scenari di fine secolo, un livello del mare mediamente più elevato di 0,07-0,55 m su scala globale, che diventa 1,20 m aggiungendo anche l’effetto dello scioglimento dei ghiacciai terrestri.
Inoltre, un Oceano più caldo ha un effetto sulle piattaforme di ghiaccio continentale e sul ghiaccio marino. Il ghiaccio marino più antico dell’Artico è ormai quasi totalmente scomparso, e anche l’Antartide, a parte un’iniziale risposta in controtendenza, sta iniziando a perdere importanti volumi di ghiaccio marino.
Bisogna poi considerare che la capacità di assorbire CO2 dell’Oceano è strettamente legata alla sua temperatura. Più la temperatura aumenta, più tale capacità si riduce, determinando quindi una maggiore concentrazione di CO2 in atmosfera e un inasprimento dei cambiamenti climatici.
Infine, ma non meno importante, un Oceano più caldo ha un effetto sulla biodiversità marina. Le specie marine incapaci di resistere a temperature oceaniche più elevate sono costrette a migrare verso nord, alla ricerca di condizioni fisiche più favorevoli alla loro sopravvivenza. Ma se da un lato le specie in colonna d’acqua (specie pelagiche come pesci e mammiferi marini) possono farlo, questo non è possibile per le specie fisse sul fondo (specie sessili o bentoniche come coralli e molluschi) le quali, se non si adattano alle nuove condizioni, sono destinate a morire.
Parallelamente, la biodiversità marina è minacciata dalla deossigenazione delle acque oceaniche. L’aumento di temperatura dell’Oceano impedisce il normale rimescolamento delle acque superficiali con quelle più profonde, fenomeno che causa una carenza di ossigeno negli strati inferiori e la conseguente morte di molte specie. L’ondata di meduse che da qualche anno vediamo nel Mar Adriatico e in altre parti del mondo sembrerebbe essere il segnale di un “tipping point” da un ambiente marino sano a uno degradato, che presto diventerà privo di ossigeno (ossia anossico).
Le zone “morte” dell’oceano, cioè quelle in cui la deossigenazione ha portato all’impossibilità di prosperare per molte specie marine (Fonte: Science)
L’acidificazione degli Oceani
Gli effetti dei gas climalteranti sull’Oceano non sono però legati solo al suo riscaldamento. Il 30% della CO2 presente in atmosfera si discioglie nell’acqua marina. Parte di questa CO2 viene stoccata nei sedimenti oceanici; parte è invece usata dalle specie marine come il fitoplankton (piccoli organismi che producono l’80% dell’ossigeno che respiriamo), macroalghe e piante marine. La parte residuale e non utilizzata dai meccanismi appena descritti reagisce con le molecole di acqua, producendo acido carbonico (H2CO3). Questo a sua volta libera due ioni di idrogeno (H+) riducendo il pH dell’Oceano, ossia innescando il processo di acidificazione.
Negli ultimi 150 anni l’acidità dell’Oceano è aumentata di circa il 26%, con i tassi di variazione più elevati registrati dagli anni ’50 in poi. L’impatto del processo di acidificazione sulla vita in mare potrebbe essere devastante.
L’alterazione del pH è infatti particolarmente problematica per gli organismi che hanno esoscheletri o conchiglie di carbonato di calcio (CaCO3). In presenza di una maggiore quantità di ioni H+, i processi di formazione e mantenimento di queste strutture calcaree possono essere fortemente alterati, provocando l’indebolimento e la morte di tali organismi. Un esempio classico del fenomeno sono i gravi processi di morìa e deterioramento che stanno subendo i coralli in diverse zone del globo.
Una conclusione
Insomma, la situazione in cui riversano i nostri Oceani è critica. Per fortuna, però, la questione sta cominciando a destare un minimo di attenzione a livello internazionale: durante la prima settimana di Giugno 2020 gli esponenti delle Nazioni Unite si sono incontrati alla UN Ocean Conference, per parlare di come salvaguardare i mari di tutto il mondo. A tal fine si è inoltre istituito “Il Decennio per l’Oceano” (“The Ocean decade”), un periodo durante il quale le condizioni degli Oceani saranno una priorità nelle discussioni, nella ricerca e nelle azioni relative al cambiamento climatico. Speriamo che queste iniziative siano sempre più efficaci e che salvaguardino veramente i nostri Oceani.
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