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Il mare non è pieno di pesci

Il mare non è pieno di pesci

Oltre metà delle risorse ittiche è colpita negativamente dal cambiamento climatico

di Federica Catonini 

disegno di Dada

 

Vi ricordate di quel conoscente o amico che, per consolarvi da una delusione sentimentale, vi ha detto ‘non preoccuparti, il mare è pieno di pesci’? In quel momento di delusione probabilmente la verità vi sarà sembrata un’altra. E avevate ragione: oggi il mare non è più pieno di pesci. La pesca eccessiva e illegale sono il motivo principale di questo crollo. A queste si aggiungono i cambiamenti climatici e ambientali, che indebolendo l’ecosistema marino contribuiscono alla riduzione delle specie marine. 

 

Secondo le stime del WWF, il 53% delle risorse ittiche è oggi pienamente sfruttato, mentre il 32% è sovrasfruttato, si è esaurito o è in fase di recupero da un eccessivo sfruttamento. Tuttavia, il pesce continua ad essere largamente consumato e pescato, spesso in maniera illegale o con pratiche insostenibili. Il cambiamento climatico ha un forte impatto negativo sulle capacità di riproduzione dei pesci, e quindi sul numero di molte specie pescate. Il risultato è un mare impoverito, una biodiversità ridotta e dunque una robustezza del sistema marino messa in discussione.

 

Pesca e cambiamento climatico

Secondo un articolo recentemente pubblicato sulla rivista Science, che fa luce sul rapporto tra il riscaldamento degli oceani e la produttività della fauna marina, oltre metà delle risorse ittiche è colpita negativamente dal cambiamento climatico. Il riscaldamento delle acque, infatti, oltre all’impatto diretto sulle specie marine (ne diminuisce le capacità di riproduzione), ha anche un effetto indiretto: la diminuzione di organismi come lo zooplankton, che rappresenta un nutrimento per altre specie,che si risolve in un effetto-cascata negativo sul resto della catena alimentare. Inoltre, l’aumento delle temperature oceaniche e l’acidificazione degli oceani rendono più difficili i processi di calcificazione (la formazione del guscio) di alcuni organismi marini come ostriche o gamberi, alterando così la rete alimentare marina e dunque, potenzialmente, distruggendo intere catene alimentari. 

 

Come se non bastasse, tramite la pesca eccessiva, molte specie vengono drasticamente ridotte o eliminate dall’ecosistema. Questo crea una rottura della catena alimentare, che rende le popolazioni ittiche più deboli e più vulnerabili a fattori di stress ambientale, quale il cambiamento climatico. Secondo il WWF, solamente la limitazione della sovrapesca “accrescerà la possibilità per gli stock ittici di affrontare gli effetti negativi derivanti dai cambiamenti climatici, aumentandone la capacità di adattamento”. 

 

Questa tendenza non solo ha effetti devastanti sugli ecosistemi marini, ma anche un impatto significativo sulle popolazioni costiere, per le quali la pesca è la maggiore o unica forma di sostentamento, o che hanno bisogno della pesca per adattarsi al cambiamento climatico e alle sfide alimentari da esso create. Le comunità che vivono in piccole isole e in paesi in via di sviluppo potrebbero infatti perdere più del 70% del guadagno derivante dalle attività di pesca.

Regolamentare la pesca

Regolamentazioni efficaci e un miglior controllo sui metodi di pesca sono cruciali per affrontare le conseguenze tragiche che il cambiamento climatico ha sulle risorse ittiche e sulle popolazioni dipendenti da esse. 

La situazione europea

Dall’inizio del secolo, l’Unione Europea ha fatto passi da gigante in materia di pesca, distinguendosi a  livello internazionale per le politiche e i regolamenti progressisti finalizzati a limitare pratiche di pesca eccessiva ed illegale.  La cosiddetta Politica Comune della Pesca pone una serie di regole per evitare la pesca eccessiva e far sì che l’industria ittica europea (e l’acquacoltura) siano quanto più possibile ecologicamente, economicamente e socialmente sostenibili. Tuttavia, recenti sviluppi potrebbero minacciare questi progressi.

 

Infatti, il 12 Novembre 2019, La Commissione Pesca del Parlamento Europeo ha votato sì alla reintroduzione nel Fondo Europeo per gli Affari Marittimi e la Pesca (2021 – 2027) di sussidi alla pesca che erano stati banditi nel 2004 in quanto considerati dannosi dal punto di vista ambientale Questi sussidi rappresentano il 60% del totale dei sussidi alla pesca a livello globale. Se reintrodotti, faciliterebbero la costruzione di nuovi pescherecci e attrezzature da pesca industriale, contribuendo ad aumentare la pesca. Questo enorme passo indietro accrescerebbe la pressione esercitata sull’ecosistema marino, rendendolo ancora più vulnerabile ai cambiamenti climatici, e potrebbe danneggiare gli oceani in maniera irrimediabile. 

Cosa succede a livello internazionale

Le problematiche relative alla pesca non si limitano all’Europa né sono risolvibili solo attraverso legislazioni nazionali (o sovranazionali, nel caso della Politica Comune della Pesca dell’Unione Europea). Più del 65% degli oceani è considerato come acque internazionali,  un patrimonio comune dell’umanità sul quale gli stati non esercitano alcuna giurisdizione. Anche le risorse viventi e non viventi che vi si trovano sono ritenute beni comuni appartenenti alla comunità internazionale e, come tali, non sono soggette a giurisdizioni nazionali. Siamo dunque di fronte ad un vuoto legislativo nella gestione delle risorse ittiche, che permette ad aziende multinazionali di esercitare attività di pesca eccessiva e illegale in maniera pressoché inosservata. 

 

Fonte immagine originale: http://www.unfalumni.org/world-oceans-day-and-the-high-seas/

 

Uno strumento per limitare questo problema sono  le Organizzazioni Regionali di Gestione della Pesca (ORGP), organismi internazionali costituiti da stati che hanno interessi comuni in materia di pesca. Secondo l’Accordo delle Nazioni Unite sugli stock ittici, chiunque peschi in acque internazionali deve entrare a far parte o instaurare una cooperazione con tali organismi. Le ORGP possono in parte aiutare a colmare il vuoto legislativo tramite la creazione di regole interstatali per la gestione degli stock ittici in aree determinate.  Inoltre, il recente potenziamento di diverse ORGP ha accresciuto la loro capacità di gestire le risorse ittiche secondo un approccio ecosistemico e la loro rilevanza come organi consultivi in importanti negoziazioni internazionali.

 

Anche le istituzioni internazionali stanno cominciando ad interessarsi della pesca eccessiva ed illegale, come dimostrato da iniziative quali Blue Justice o il Common Oceans ABNJ programme. Il primo ha portato alla dichiarazione di Copenhagen, con la quale ministri di diversi paesi hanno riconosciuto la necessità di cooperare per fermare i crimini in materia di pesca. Il secondo è un programma della FAO, il cui scopo è quello di promuovere la gestione efficiente e sostenibile delle risorse ittiche nelle acque internazionali.

 

Nondimeno, le aspettative maggiori sono riposte nell’accordo delle Nazioni Unite sulla difesa e l’utilizzo sostenibile della biodiversità marina nelle zone non soggette alla giurisdizione nazionale, di cui si è appena concluso il terzo ciclo di negoziazioni. La speranza è che questo accordo, che dovrebbe essere finalizzato nella prima metà del 2020, sia in grado di fornire uno strumento di controllo globale su problematiche che riguardano la biodiversità degli oceani, inclusa la pesca eccessiva ed illegale. L’obiettivo è quello di coprire i vuoti legislativi di cui abbiamo parlato fornendo nuove regole globali e facendo da ponte tra vari strumenti esistenti.

 

Cosa possiamo fare noi

Fare scelte rispettose dell’ambiente e del clima quando si consuma il pesce è più facile di quanto possa sembrare. Sapevate, ad esempio, che in Italia le pescherie sono tenute ad indicare il metodo e l’area di pesca sulla targhetta che accompagna i prodotti in vendita? Lo stesso vale per il pesce in scatola, sul quale sono riportate le stesse indicazioni. In questo modo, possiamo decidere di non comprare quel pesce proveniente da aree dove la pesca è mal regolamentata o dove la pesca da esportazione danneggia le comunità locali. Inoltre, possiamo evitare di comprare quelle specie che vengono da molto lontano e che quindi, a causa del trasporto, hanno un impatto maggiore sul clima.

 

Infine, essere coscienti di quali siano i metodi di pesca insostenibili ci aiuta a scegliere prodotti che non danneggiano l’ecosistema marino e che possono addirittura contribuire a ridurre l’impatto del cambiamento climatico sugli oceani. Fishfinder e Slow Fish spiegano in maniera chiara e semplice quali sono i metodi di pesca insostenibili, quali pesci mangiare e quali evitare sulla base della zona, della stagionalità o se siano o meno specie a rischio.

 

 

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