Che aria tira nelle città italiane?
In Italia spesso respiriamo un’aria inquinata oltre i limiti medici e normativi: che effetti ha sulla nostra salute e sul clima?
di Francesco Graziano
La qualità dell’aria nelle città italiane può diventare spesso “scadente” in inverno.
Ce ne accorgiamo in questa stagione per i frequenti titoli dei giornali sugli “sforamenti delle polveri sottili” e dai provvedimenti dei Sindaci per limitare il traffico e altre attività inquinanti. Il meteo nei mesi freddi difatti può aggravare alcune condizioni di stagnazione dell’atmosfera; ma la causa del problema è comunque un’altra: l’inquinamento da fonte antropica.
Le attività umane di combustione – per i trasporti, il riscaldamento, l’energia, l’industria – emettono in atmosfera diverse sostanze inquinanti: alcune sono climalteranti (come l’anidride carbonica), altre invece non contribuiscono al surriscaldamento globale ma hanno un impatto negativo sulla salute umana (come il particolato fine e il biossido di azoto).
Le città italiane non se la cavano molto bene nel limitare queste emissioni e – mentre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a settembre 2021 ha reso più severi i suoi limiti raccomandati – in Italia non riusciamo ancora a rispettare i criteri meno stringenti definiti dalla legislazione nazionale.
I dati a confronto
Dunque quanto è “buona” la qualità dell’aria che respiriamo, rispetto ai limiti raccomandati dalla comunità medica?
Partiamo dal particolato PM10, le cosiddette “polveri sottili” che – secondo l’OMS – non dovrebbero superare concentrazioni medie annue di 15 mg/m3. Purtroppo nel 2021 a Torino, Milano, Roma e Napoli siamo ben oltre la soglia raccomandata (in alcuni casi con +100%).
Grafico n. 1: “Concentrazioni medie annue di Particolato (PM10) – Fonte OMS e Legambiente”
La situazione peggiora se consideriamo il biossido di azoto (NO2), un gas nocivo che dovrebbe restare in concentrazioni medie annue inferiori a 10 mg/m3 sempre secondo l’OMS. A Milano nel 2021 si è giunti alla soglia di 39 mg/m3, circa il 300% in più.
Grafico n.2: “Concentrazioni medie annue di Biossido di Azoto (NO2) – Fonte OMS e Legambiente”
Confrontiamo infine gli “sforamenti” del PM10, ovvero il numero di giorni in cui le città hanno superato il limite di legge (50 mg/m3 nelle 24 ore). La normativa italiana prevede al più 35 giorni di sforamento in un anno; purtroppo in cima alla classifica troviamo diversi capoluoghi – molti dei quali nella Pianura Padana – con valori ben al di sopra della soglia.
Grafico n.3: “Numero di giorni nel 2020 in cui si è superata la concentrazione massima giornaliera di 50μg/m3 prevista dalla normativa italiana – Fonte Legambiente”
Fin qui abbiamo considerato i dati medi annui; ci sono tuttavia dei giorni in cui si raggiungono picchi davvero pericolosi. Un esempio per tutti può essere il 13 dicembre 2021 a Milano: in quel giorno la centralina ARPA Lombardia “Milano Senato” ha misurato 133 mg/m3 di PM10, quasi il triplo di quanto raccomandato dall’OMS.
Grafico n.4: “Concentrazione media giornaliera PM10 – Confronto tra la giornata di picco a Milano e i limiti consentiti – Fonte Askanews”
Le definizioni
Il particolato e il biossido di azoto sono i due parametri principali che le Agenzie ambientali monitorano e che si prendono a riferimento in Italia per il loro impatto sulla salute.
Il particolato – identificato con l’abbreviazione “PM” di particulate matter – è l’insieme delle particelle solide in sospensione nell’aria. Escluse le sostanze di origine naturale come i pollini, si fa riferimento in genere alle “polveri sottili” da fonte antropica misurate in base alla dimensione (ad esempio il PM10 ha un diametro di 10 millesimi di millimetro o micron).
Minore la grandezza, maggiori i rischi per la salute. Ad esempio, il particolato fine PM2,5 – con un diametro di 2,5 micron – può eludere le difese del nostro corpo e penetrare in profondità nei polmoni, entrando persino nel flusso sanguigno; l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) dell’OMS lo include tra i cancerogeni certi di categoria 1.
Il biossido di azoto (NO2) è invece un gas, emesso ad esempio dai motori diesel, e può essere dannoso per l’apparato respiratorio oltre che contribuire all’acidificazione delle piogge quando genera la formazione di acido nitrico (HNO3).
Eppure particolato e biossido di azoto non sono gli unici inquinanti dell’aria con impatti diretti sulla salute dell’uomo. Secondo le linee guida OMS – che dal 1987 definiscono i livelli massimi raccomandati delle emissioni in atmosfera – sono da monitorare anche:
- l’ozono (O3) che è particolarmente rischioso per chi soffre d’asma,
- il biossido di zolfo (SO2) che deriva dai processi di combustione ad esempio di carbone e gasolio,
- il monossido di carbonio (CO) che è prodotto principalmente dai gas di scarico delle auto e può impedire l’opportuna ossigenazione del sangue.
Limiti di legge e soglie raccomandate
Il 22 settembre 2021, l’OMS ha aggiornato le proprie linee guida alla luce degli studi medici sugli effetti dell’esposizione prolungata a sostanze inquinanti. Il risultato è stato l’aggiornamento, spesso al ribasso, dei limiti previsti in precedenza, a tutela della salute umana.
Si attende che la Commissione Europea adegui le proprie soglie di legge entro il 2022. Per l’Italia quindi diventerà ancora più complicato rispettare i nuovi parametri.
Grafico n.5: “Limiti raccomandati per le sostanze inquinanti nell’aria – Fonti OMS e ARPAT”
Ciò accade perché, come ricorda il Rapporto Mal’Aria 2022 di Legambiente, numerose città italiane sono già inadempienti rispetto i limiti di legge attualmente in vigore sul territorio nazionale, meno stringenti di quelli definiti dall’OMS.
Gli effetti per la salute sono ormai evidenti: l’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) stima più di 50.000 morti premature in Italia in un anno per l’esposizione prolungata ad aria inquinata.
Grafico n.6: “Concentrazioni di PM10 nelle città italiane – Fonte European Environment Agency (EEA)”
E il clima?
L’anidride carbonica (CO2) è riconosciuta come la principale responsabile del surriscaldamento globale (insieme ad altri gas climalteranti). Tuttavia la CO2 difficilmente raggiunge concentrazioni tali da risultare direttamente tossica per l’uomo.
Al contrario, il particolato fine PM2,5 – pur dannoso per la salute umana – non contribuisce attivamente ai cambiamenti climatici siccome agisce a livello locale e si disperde rapidamente in atmosfera.
Ciò permette di sottolineare che – dal punto di vista chimico – non tutte le sostanze inquinanti in atmosfera hanno lo stesso impatto sulla salute e sul clima. Più semplicemente, le attività umane di combustione sono in grado di generare un doppio effetto negativo, con emissioni di:
- alcune sostanze nocive all’uomo (come particolato fine e biossido di azoto), e
- altre sostanze che invece restano in atmosfera per lunghi periodi alterando l’equilibrio climatico (come l’anidride carbonica).
Grafico n.7: “Fonti OMS e Duegradi – Nota: la lista degli inquinanti monitorati dall’OMS e dei gas climalteranti (Greenhouse Gases o GHGs) chiaramente non è da ritenersi esaustiva. A titolo di esempio, anche il vapore acqueo rientra tra gli elementi che contribuiscono all’effetto serra”
Le emissioni di inquinanti atmosferici e di gas climalteranti hanno dunque molte fonti comuni: trasporti, riscaldamento, industria ed energia da combustibili fossili sono tutte attività che contribuiscono a questo doppio danno.
La soluzione tracciata dalla comunità scientifica è una politica integrata che – ad esempio con energie rinnovabili e mobilità sostenibile – contribuisca sia alla mitigazione dei cambiamenti climatici che al miglioramento della qualità dell’aria.
L’obiettivo insomma non può che essere una cura unica e sinergica: per il clima globale del futuro e anche per l’aria che respiriamo hic et nunc, qui e ora.
Mi permetto di fare un appunto. Il particolato atmosferico ha un effetto sul forcing radiativo in quanto interagisce con la radiazione luminosa sia entrante che uscente dalla nostra atmosfera. La maggior difficoltà nello stimarne gli effetti è legata al fatto che la sua composizione chimica è estremamente variabile nel tempo e nello spazio. Questo, tuttavia, può spiegare la enorme eterogeneità delle manifestazioni delle anomalie termiche/barometriche e di eventi meteorici che si osservano sul globo.
A esempio, le grandi aree di combustione sono influenzate dall’emissione di grandi quantità di black e brown carbon, materiale carbonioso a reattività atmosferica diversa e fortemente foto-assorbente che determina alterazioni meteo-climatiche completamente diverse da aree soggette ad altri regimi emissivi.
Inoltre, da anni si sta anche cercando di far passare il concetto che un eventuale effetto tossico del PM non può considerare solamente le concentrazioni assolute di esso ma deve anche valutare quali composti (e in che quantità) lo compongono. Per esempio, il PM10 nel bacino padano è rappresentato anche per il 60% da solo nitrato di ammonio nei periodi invernali: in letteratura, tuttavia, non si riporta nessun effetto sulla salute se inalato. Se poi si considera che il suo punto di deliquescenza è relativamente basso, in condizioni di umidità modeste il nitrato di ammonio è liquido e, quindi, alla massa di PM contribuisce anche l’acqua. Se, per ipotesi, avessimo 50 ug/m3 come media giornaliera, potremmo avere tranquillamente un 70% della massa come non “nociva”.
Questo mio commento non vuole essere una critica al Suo pregevole articolo ma uno stimolo per valutare la complessità dell’argomento e per approfondire alcuni temi qualora qualcuno fosse interessato.
Grazie.
Luca