Quanto è circolare la nostra economia?
La strada è ancora lunga: solo l’8,6% delle risorse utilizzate in un anno viene oggi reimpiegato nell’economia mondiale, rispetto al 9,1% del 2018.
di Fabiola De Simone
Dove eravamo rimasti?
In un precedente articolo abbiamo introdotto il concetto di economia circolare, riferendoci con questo termine ad un tipo di economia che si basa su un modello di crescita “rigenerativo”. Se vi è mai capitato di vedere a casa dei vostri nonni un piatto riparato dal “cucipiatti”, allora il concetto di circolarità vi parrà piuttosto familiare. In caso contrario, provate a pensare ad un sistema che progetta, produce, consuma, ricicla e smaltisce un prodotto in modo da valorizzarlo al massimo, mantenendo le sue componenti in vita il più a lungo possibile. Un sistema economico che riesca a rispettare il funzionamento e i limiti di quello ecologico – di cui fa parte – sfruttando le risorse naturali in modo da garantirne la sostenibilità, così come previsto dalla teoria dell’economia della ciambella. Questo tipo di modello ha un potenziale significativo in termini di riduzione delle emissioni di gas serra a livello mondiale e può contribuire quindi in maniera importante a mitigare il cambiamento climatico.
L’economia circolare si contrappone infatti al paradigma “produzione – consumo – smaltimento” del modello economico lineare attuale, che vede ogni prodotto inesorabilmente destinato ad arrivare al “fine vita” in tempi brevi, e a volte anche dopo un solo utilizzo. Questo paradigma ci ha portati a triplicare in meno di cinquant’anni l’estrazione globale annuale di materie prime, passando dai 27 miliardi di tonnellate nel 1970, ai 92 miliardi di tonnellate nel 2017. Dal 2000, il tasso di estrazione continua ad aumentare del 3,2% ogni anno. Secondo l’ONU, considerato l’aumento di popolazione previsto, nel 2050 saranno necessarie le risorse di tre pianeti Terra per garantire a tutti il tenore di vita attuale delle società occidentali. Ma di pianeta Terra nel nostro sistema solare ce n’è soltanto uno. È necessario fare un’inversione di rotta.
Come far sì, quindi, che l’economia circolare diventi realtà? Nel precedente articolo, sostenevamo anche l’importanza della regolamentazione della materia da parte dei governi, che si devono impegnare per adottare politiche ambiziose, chiare ed efficaci per supportare il settore privato ed incentivare i consumatori in questa fase di transizione. La domanda allora sorge spontanea: a che punto siamo?
Cosa ha fatto l’Unione Europea finora e cosa intende fare
Nel 2015 la Commissione Europea ha adottato il primo piano d’azione sull’economia circolare, con l’idea di dare il via alla transizione verso un’economia in cui “le risorse sono utilizzate in maniera più sostenibile”. Il piano, comprensivo di 54 azioni, si proponeva di “chiudere il ciclo” di vita di un prodotto seguendone tutte le fasi, in modo da ottimizzare l’uso delle materie prime, dei prodotti stessi e degli scarti, aumentando il risparmio energetico e riducendo le emissioni di gas serra. Attenzione particolare era stata data alla normativa sui rifiuti, con obiettivi precisi da rispettare: la legge prevede, ad esempio, che entro il 2035 la percentuale di rifiuti urbani che finiscono in discarica venga ridotta al 10%, e che il 65% di essi venga riciclato. Nel marzo del 2019, quattro anni dopo l’adozione del piano d’azione, lo stato di avanzamento era positivo: secondo la relazione della Commissione, tutte le 54 azioni previste erano state completate o in fase di attuazione.
Il completamento delle azioni previste ha spinto la Commissione a porsi obiettivi più ambiziosi. Già lo scorso dicembre, in occasione della presentazione del Piano per il Green Deal, era stata preannunciata l’adozione di un nuovo piano d’azione per l’economia circolare, con l’obiettivo primario di dare una svolta verde alla strategia industriale dell’UE. Pubblicato infine il 10 marzo 2020, il nuovo piano mira a sostenere un’economia europea climaticamente neutrale (ovvero a zero emissioni nette di gas serra) e competitiva in cui le risorse utilizzate siano mantenute il più a lungo possibile in circolo, in linea con quanto già enunciato nel 2015 e con i lavori svolti da allora. In particolare, la Commissione prevede di:
- Proporre una legge a livello europeo per supportare la produzione di “prodotti sostenibili”, ossia di prodotti progettati per durare più a lungo, più semplici da riparare, riutilizzare e riciclare e che provengano il più possibile da materiali riciclati. Questa legge si occuperebbe anche di limitare i prodotti monouso, di contrastare l’obsolescenza programmata e le pratiche di greenwashing, e di vietare la distruzione di beni durevoli invenduti;
- Responsabilizzare i consumatori, garantendogli l’accesso a informazioni attendibili circa la riparabilità, la durabilità dei prodotti e la qualità delle risorse secondarie (con cui si intende il materiale di scarto proveniente dalla lavorazione delle materie prime o dal recupero e dal riciclaggio dei rifiuti);
- Focalizzarsi sui settori “intensivi”, che utilizzano cioè più risorse e che hanno un alto potenziale di circolarità (elettronica, batterie e veicoli, imballaggi, plastica, tessili, costruzione e edilizia, alimenti);
- Ridurre i rifiuti e trasformarli in risorse secondarie di alta qualità, introdurre un target per la riduzione dei rifiuti alimentari e valutare la possibilità di lanciare un nuovo modello armonizzato a livello dell’Unione per la raccolta differenziata.
Un piano d’azione ambizioso, che mira inoltre alla creazione di opportunità commerciali e di lavoro, sfruttando l’innovazione e la digitalizzazione, in modo che “nulla vada sprecato”.
E l’Italia?
A livello nazionale, sembra che abbiamo recepito bene gli obiettivi dell’Unione Europea. Sono diverse le misure di supporto, finanziamento e agevolazione fiscale a imprese che operano nel settore dell’economia circolare. Tra queste spicca il fondo per gli investimenti pubblici a supporto di progetti ad alta sostenibilità ambientale, presente nella legge di bilancio 2020, in cui rientrano progetti legati all’economia circolare. Anche il Piano Industria 4.0 è stato ridefinito a favore delle imprese che operano in questo ambito.
Secondo il Rapporto Nazionale sull’Economia Circolare in Italia del 2020, il nostro Paese è già da un paio di anni il più virtuoso in Europa in tema di economia circolare, seguito da Germania e Francia, grazie soprattutto al suo avanzamento nell’industria bio-based (cioè l’industria che si occupa della trasformazione delle risorse biodegradabili). Il rapporto valuta i Paesi in base all’indice di circolarità, che esprime il grado di uso efficiente delle risorse in cinque diverse categorie: investimenti, occupazione, produzione, consumo e gestione dei rifiuti.
In realtà, però, faremmo meglio a non cantar vittoria troppo in fretta. I dati collezionati dal rapporto, infatti, rilevano un rallentamento nell’avanzamento dell’indice da parte dell’Italia, che ha perso un punto dal 2019, contrariamente a Francia e Polonia, che invece hanno migliorato la propria prestazione acquistando rispettivamente sette e due punti. Inoltre, bisogna ricordare che nonostante la Commissione Europea abbia proposto degli indicatori per monitorare il livello di avanzamento dell’economia circolare in Europa, non esistono ad oggi dei parametri concordati a livello europeo (e internazionale). E senza dei parametri prestabiliti, è difficile fare una classifica per capire chi si stia comportando meglio.
La strada è ancora lunga
Complessivamente, anche l’indice globale di circolarità registra un calo: solo l’8,6% delle risorse utilizzate in un anno viene oggi reimpiegato nell’economia mondiale, rispetto al 9,1% del 2018. A livello europeo, i materiali riciclati riescono a soddisfare in media meno del 12% della domanda di materiali dell’UE. Ciononostante, ci sono dei segnali positivi sul piano economico: secondo i dati della Commissione Europea, già nel 2016 erano impiegati nei settori attinenti all’economia circolare circa 4 milioni di lavoratori (il 6% in più rispetto al 2012), che generavano un valore aggiunto pari a quasi 147 miliardi di euro.
Sembra evidente che ci sia ancora molta strada da fare per raggiungere un’economia interamente circolare, ma stiamo facendo passi avanti e, soprattutto, le intenzioni della Commissione Europea sembrano incoraggianti. Che sia la “spintarella gentile” di cui abbiamo bisogno per abbandonare finalmente il nido di allori che ci siamo costruiti e sul quale abbiamo dormito fino ad oggi?
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