Roma sud e la lentezza della politica italiana ad adattarsi al cambiamento climatico
Il cambiamento climatico e l’urbanizzazione non pianificata hanno aumentato il rischio di alluvione nel Municipio X di Roma. L’amministrazione della capitale è lenta a dare risposte ai cittadini. Ma questa tendenza sembra andare al di là di Roma.
Sebastiano Santoro
“Avevo il cuore in gola” dice Marco Fagnani, presidente del comitato di quartiere del Municipio X, mentre mi mostra il video del nubifragio che ha colpito Roma sud il 31 gennaio del 2014. “Negli ultimi anni le alluvioni si stanno facendo sempre più frequenti, ma non si fa nulla perché in Italia la politica lavora solo sui disastri” conclude con tono amaro.
Il Municipio X si trova nella periferia sud della capitale. Si sviluppa in mezzo a due confini naturali: il delta del fiume Tevere e la tenuta di Castelporziano del Presidente della Repubblica . I nomi dei quartieri -Bagnoletto, Saline, Stagni, Acque alte, Acque basse- sembrano ricordare il suo passato acquitrinoso. Infatti, dove ora troviamo villini e case basse con giardino, più di un secolo fa c’erano soltanto palude e malaria. Ancora oggi, dopo la bonifica di fine XIX secolo, parte del suo territorio si trova allo stesso livello del mare, alcune zone anche al di sotto; quindi le alluvioni, come quella del 31 gennaio 2014, non sono un fenomeno nuovo.
Un municipio a rischio alluvione
In Italia il rischio idrogeologico, cioè fenomeni come frane e alluvioni, è un problema di grande rilievo, che interessa tutto il territorio. Le ragioni sono sia le caratteristiche geomorfologiche della penisola, sia alcune attività umane che hanno aggravato la sua vulnerabilità.
Spesso, il rischio si trasforma in danno concreto. L’Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche CNR, nell’ambito del progetto Polaris, ha registrato nel 2019 su tutto il territorio nazionale 8.777 persone danneggiate tra morti, feriti, dispersi e sfollati. Nel 2020 le persone danneggiate sono state 3.078.
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, 7.275 comuni in Italia sono a rischio (pari al 91% dei comuni totali), oltre 3 milioni di famiglie vivono in aree ad alto pericolo. La zona del Municipio X di Roma è tra queste aree.
Ma facciamo un passo indietro. Verso la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento, per risolvere il problema delle alluvioni, è stata costruita una rete di canali di bonifica che, sfruttando la pendenza del terreno e una serie di pompe di sollevamento, trasportava l’acqua dalle zone più in alto, come Acilia, direttamente nel mar Tirreno.
“Questa rete di canali ha funzionato fino agli anni ‘50, poi dal 1982 in poi, grazie all’abusivismo edilizio non pianificato, è diventata obsoleta” afferma il Presidente della Commissione Ambiente del Municipio X, Francesco Vitolo, che da anni si occupa della situazione idrogeologica del territorio.
Secondo Vitolo il reticolato dei canali di bonifica, su cui poi si è formata la rete fognaria dell’intero municipio, era previsto per un terreno prevalentemente agricolo. La trasformazione urbanistica avvenuta nella seconda metà del secolo scorso ne ha cambiato totalmente l’assetto, rendendo la rete fognaria inadeguata.
“Si è costruito dove non si poteva fare” aggiunge Sandro Massimei, presidente del Coordinamento Sicurezza Idraulica Municipio X (CSI). Da anni, attraverso l’attività di divulgazione del CSI, Massimei cerca di sensibilizzare residenti e istituzioni locali sul rischio di alluvione.
Fino ad oggi, però, ha ottenuto pochissimi risultati. Con il tempo la popolazione di Roma sud si è moltiplicata in maniera esponenziale, passando dalle poche migliaia del 1950 ai 231 mila abitanti attuali. E la tendenza non sembra fermarsi: il Municipio X è il secondo a Roma in quanto a tasso di crescita demografica.
Secondo Massimei, la costruzione incontrollata di quartieri residenziali nel Municipio X è avvenuta prima ancora dell’adeguamento dei canali di bonifica e della rete fognaria.
Per capire bene basta vedere cosa succede a Infernetto, uno dei quartieri più recenti: un conglomerato di case basse con giardino addossate a una serie di supermercati che, in poco più di dieci anni, ha visto raddoppiare il numero di abitanti. Nella maggioranza del territorio manca ancora una rete fognaria per raccogliere le acque pluviali: quando piove l’acqua si accumula così nelle fogne domestiche. Se piove molto, le fogne tracimano e le strade si allagano con pioggia mista a liquami. Se piove ancora più forte, può succedere qualcosa di grave. Nel 2011, in seguito ad un forte nubifragio, una persona che abitava in una zona a forte rischio è stata travolta dall’acqua nel proprio scantinato.
Alluvioni, piogge intense e trombe d’aria
Se non si interviene con rapidità per mettere in sicurezza i canali del Municipio X, la situazione è destinata a peggiorare. Infatti, il cambiamento climatico e l’aumento della frequenza di eventi meteorologici estremi non fanno che accentuare il rischio di alluvione.
“Il cambiamento climatico di per sé non crea rischi, ma va ad esacerbare rischi preesistenti” sostiene la ricercatrice Paola Mercogliano, coautrice dello studio “I cambiamenti climatici in Italia” del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici . Lo studio dedica un capitolo intero al rischio idrogeologico, in cui viene sottolineata la relazione esistente tra l’aumento della temperatura e l’aumento di fenomeni meteorologici estremi, come ad esempio alluvioni, piogge intense, trombe d’aria e ondate di calore. “L’aumento della temperatura -continua la ricercatrice– determina l’aumento della capacità dell’atmosfera di trattenere acqua e questo, a sua volta, determina gli eventi meteorologici estremi”.
In quanto ad eventi meteorologici estremi, tra le grandi città italiane, Roma è quella che sta messa peggio. È nella capitale, secondo il rapporto Cittàclima di Legambiente, che piogge e trombe d’aria si verificano con frequenze più drammatiche. Negli ultimi dieci anni, si sono verificati 47 eventi estremi, più della metà dei quali hanno avuto impatti considerevoli.
Qualche anno fa, l’Autorità di Bacino Distrettuale ha avvertito che a Roma ci sono 250.000 cittadini che vivono in zone a rischio idrogeologico. Un numero così elevato che ha portato la città ad essere la capitale europea con il maggior numero di cittadini a rischio.
La lentezza della politica italiana
Nonostante queste evidenze, l’amministrazione capitolina non sembra accorgersi del problema. In un recente articolo il giornalista Stefano Liberti ha messo in evidenza l’inadeguatezza della strategia di adattamento ai cambiamenti climatici della capitale. Nel 2013, l’ex sindaco Ignazio Marino aveva formato un gruppo di lavoro per elaborare una strategia di resilienza che comprendeva anche il tema dell’adattamento. Due anni dopo, con le dimissioni del sindaco, il percorso si è interrotto, e l’arrivo di Virginia Raggi nel 2016 non ha migliorato le cose. Oggi Roma non solo non ha un piano di adattamento ai cambiamenti climatici, ma nemmeno uno studio che individui le aree di maggior rischio. In materia, “siamo all’anno zero” ha dichiarato Andrea Filpa, professore di pianificazione urbana all’università di Roma Tre.Ma va aggiunto anche che ciò che succede a Roma è solo il riflesso di una tendenza ben più ampia, che coinvolge tutto il Paese. Il confronto dell’Italia con gli altri paesi europei è sconfortante: al di là delle enunciazioni, l’Italia è uno dei pochi paesi europei che a conti fatti ancora non dispone di un piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
Il 24 febbraio scorso la Commissione Europea ha adottato la nuova strategia di adattamento ai cambiamenti climatici, per rafforzare il piano anteriore del 2013. La Spagna ha adottato il primo piano di adattamento nel 2006, e nel settembre dell’anno scorso ha fatto entrare in vigore il secondo. La Francia ha approvato il suo primo piano di adattamento nel 2011 e attualmente ne sta elaborando uno nuovo. Da tempo in Germania lo hanno fatto tutti i 16 Länder.
Nel nostro Paese la prima bozza del piano nazionale di adattamento risale al 2017, ma ad oggi è ancora tutto fermo. Il documento è in attesa di una valutazione ambientale strategica che dopo quattro anni ancora non è arrivata. In ogni caso, come sottolinea il climatologo Sergio Castellari, il piano non include una pianificazione finanziaria, né uno schema di monitoraggio, né l’individuazione di una governance efficiente; e queste lacune non lo rendono un vero e proprio piano d’azione.
Il 30 aprile scorso, il governo Draghi ha inviato alla Commissione europea il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Uno dei pilastri è la transizione ecologica. Alla prevenzione degli effetti del cambiamento climatico sono destinati 9 miliardi. Per quanto riguarda il rischio idrogeologico, il PNRR ha evidenziato “l’assenza di una politica nazionale, di natura preventiva e non urgente”.
Come mai questa lentezza? Il problema, secondo la ricercatrice Mercogliano, è che “in Italia ancora non esistono norme vincolanti per quanto riguarda l’adattamento alle conseguenze del cambiamento climatico, e tutto è lasciato al buon cuore dei sindaci”. In effetti, non esistono norme europee o nazionali che obbligano i governi o le amministrazioni locali a redigere i piani così come avviene, ad esempio, con l’inquinamento, i rifiuti o le energie rinnovabili.
Probabilmente, però, i ritardi dell’Italia non sono dovuti solamente all’assenza di una normativa vincolante. “Si tratta di un problema culturale, per cui non c’è consapevolezza di quello che sta accadendo e quindi non si ritiene urgente intervenire” sostiene Raimondo Orsini, direttore della Fondazione per lo sviluppo sostenibile.
Pochi passi avanti
Per anni l’amministrazione di Roma Capitale ha ignorato il rischio di alluvione del Municipio X. Come afferma il consigliere Vitolo, l’ultimo piano regolatore della città, quello del 2008, ha previsto 6.58 milioni di nuove volumetrie da edificare su territorio a rischio alluvione. Nel 2014, in seguito all’alluvione del 31 gennaio, un gruppo di cittadini ha occupato la sede del municipio per chiedere alle istituzioni azioni concrete.
Un punto di svolta è stato il 2018. Per la prima volta uno studio dell’università di Roma Tre ha accertato la grave situazione di rischio idrogeologico in cui si trova gran parte del territorio urbanizzato del Municipio X. Lo studio è stato commissionato dal Comune di Roma e non è stato reso pubblico; tuttavia, secondo le informazioni raccolte dal CSI, in esso si individuano 110 interventi di adeguamento del rischio, divisi in diverse priorità, al fine di mettere in totale sicurezza la zona. Nel luglio scorso i risultati dello studio sono stati recepiti dal Piano di Assetto Idrologico dell’Autorità di Bacino Distrettuale, il principale strumento di valutazione del rischio idrogeologico in mano ai comuni.
Ad oggi, le nuove volumetrie concesse con il Piano Regolatore del 2008 sono state sospese. Nonostante questi piccoli passi avanti, i lavori di adeguamento del rischio indicati dallo studio del 2018, vanno a rilento. Come comunica Massimei, tra le opere con urgenza massima solamente una è stata realizzata; per quanto riguarda le altre, una metà è ferma alla verifica di fattibilità tecnico-economica, l’altra metà non ha visto partire nemmeno l’iter progettuale.
Alla luce dei nuovi studi, il rischio che incombe sul municipio è chiaro. Massimei crede che la conoscenza sia un passo importante per risolvere i problemi, ma la lentezza con cui la politica agisce lo sta facendo ricredere. Nel frattempo, ogni volta che piove è una palpitazione. “È come vivere su un vulcano e aspettare che erutti – confida Massimei prima di salutarmi – fortunatamente le piogge eccezionali successe di recente in Italia ci hanno sfiorato, eventi estremi come quelli di Palermo (dove, nel luglio passato, sono caduti in due ore 125 mm di pioggia) se fossero successi qui, avremmo avuto 2 metri d’acqua sul livello stradale”.
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