Salviamo il clima. OK, ma chi comincia?
Lo sentiamo ormai sempre di più: è vero, dobbiamo ridurre le nostre emissioni di gas serra; è vero, è necessario farlo ora e in maniera ambiziosa, affinché le riforme di oggi possano essere davvero efficaci in futuro, e limitare il peggioramento delle condizioni climatiche e ambientali mondiali. Ma chi vuole cominciare per primo? La comunità internazionale è lenta: le COP, pur avendo portato a importanti risultati, deludono le aspettative. Gli Stati non fanno abbastanza: le politiche nazionali e locali messe in atto sono spesso poco coerenti e strutturate. Ma noi, invece, come ce la caviamo quando si tratta di combattere il cambiamento climatico nel nostro piccolo? Non tanto meglio.
Come consumatori, continuiamo a pensare che sarà qualcun altro ad agire per il bene del pianeta, minimizzando il potenziale dei cambiamenti individuali come radice di miglioramenti climatici credibili. In verità, come si è visto nel caso di campagne nazionali ed internazionali (pensiamo alla questione dell’olio di palma, o ai Fridays for Future e all’influenza che stanno esercitando sulle politiche globali), possiamo fare molto anche come singoli.
Quanto emettiamo?
Secondo i dati della Banca Mondiale, in Italia ognuno di noi emette ogni anno all’incirca 5 tonnellate di anidride carbonica. Sono tante, sono poche? Se si guarda agli Stati Uniti, in cui l’emissione media pro capite arriva a 15 tonnellate, sembrerebbe che i nostri numeri non siano poi così gravi: la Russia emette 10 tonnellate, la Germania quasi 9, la Cina, nonostante sia popolosissima, 6.5. Tuttavia, non è tanto in proporzione agli altri che dobbiamo considerare i nostri risultati, ma rapportandoci al clima mondiale, e qui la situazione si fa spinosa. Infatti, per far sì che la temperatura globale non aumenti oltre il grado e mezzo, il budget di emissioni globale dovrebbe dimezzarsi entro il 2040, nonostante un consumo energetico e una popolazione destinati a crescere. Questo vorrebbe dire che, in media, una persona dovrebbe emettere circa 2 tonnellate di anidride carbonica, meno della metà di quelle che raggiungiamo attualmente in Italia.

Ma cos’è che ci fa emettere tanta anidride carbonica? Per capirlo, ci viene in soccorso il concetto di impronta di carbonio, ossia l’ammontare totale di gas ad effetto serra emessi direttamente o indirettamente da un’attività, un prodotto, un’azienda o una persona. Per un cittadino italiano medio, essa è composta da dagli elementi schematizzati in questo grafico:

Per ridurre il nostro impatto sul clima, allora, possiamo concentrarci sulla riduzione del consumo energetico, ma anche su come sono concepiti i trasporti; non esiste un percorso unico per raggiungere gli obbiettivi, ma è essenziale intraprendere il percorso. Ridurre le emissioni nazionali di più della metà può sembrare impossibile, ma non è così: l’Europa ha già ridotto le proprie emissioni negli ultimi anni, ed è un vero esempio in questo senso. Certo, la strada da fare è lunga, ma ci sono più modi di giungere ai risultati sperati.
Come ridurre le emissioni?
Chi decide quali settori devono provvedere per primi, più intensamente, alla riduzione delle emissioni? Di sicuro la politica, che elabora leggi e regolamenti per rendere efficienti i processi produttivi e di consumo. Pensiamo alle classi ambientali delle automobili, che rendono “fuori legge” quelle oramai troppo vecchie per essere compatibili con le necessità ambientali di oggi; o alle classi di elettrodomestici, che permettono di “spingere” la produzione e l’acquisto di apparecchi con una maggiore efficienza energetica.
Anche noi, però, siamo attori fondamentali sulla scena, e come tali dovremmo responsabilizzarci. Dal punto di vista delle azioni individuali, e prendendo spunto dalla suddivisione delle emissioni italiane, potremmo raccogliere le tematiche principali da trattare in 4 gruppi fondamentali: l’energia e l’efficienza energetica,i trasporti, il consumo dei prodotti e l’alimentazione.
Per ognuno dei gruppi è necessario capire cosa causa la più grande percentuale di emissioni e su cosa possiamo agire senza cambiare radicalmente le nostre abitudini, perché sono questi due fattori che ci permettono di ottenere risultati immediati, e di dirigerci sulla strada giusta.
Quando parliamo dei nostri consumi alimentari, per esempio, è necessario sapere se concentrare la propria attenzione sull’impacchettamento o sugli sprechi: è più grave comprare delle banane in una busta di plastica o lasciarle andare a male? Dal punto di vista strettamente climatico, di sicuro farle marcire: le emissioni generate per produzione, trasporto e commercio sono superiori a quelle del passaggio di impacchettamento. E una banana rimane un alimento dal basso impatto ambientale.
Se è ovvio che guardare ad un fattore non escluda occuparsi anche dell’altro, è importante capire che spesso la soluzione migliore per il clima si trova nelle nostre scelte “a monte”, ossia nelle abitudini che ci portiamo dietro.
Per fare un altro esempio, volendo fare qualcosa per il clima potremmo voler comprare solo indumenti made in Italy; questo, tuttavia, non significa automaticamente emettere meno, perchè i materiali potrebbero provenire dall’estero, o la filiera utilizzare energia in maniera molto intensiva. Inoltre, vale la pena tener sempre presente l’alternativa dell’acquisto di seconda mano o, udite udite, del non acquisto (ci servono davvero tutti questi vestiti?).
Non esiste una ricetta miracolosa, dal momento che ogni prodotto o azione dovrebbe essere vagliata. Spesso, quello che è valido per qualcosa non lo sarà per altro, e anche l’incertezza è un fattore da tenere in considerazione. Il punto non è solamente fare sempre “la scelta più giusta”.
Piuttosto, fare sì che ogni volta che compriamo o utilizziamo qualcosa ci poniamo delle domande -butterò questa porzione troppo abbondante? Devo davvero prendere l’automobile per non chiedere un passaggio?- è il primo, fondamentale passo verso la costruzione di una coscienza ambientale matura, che ci può portare molto lontano.
**Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di altre organizzazioni ad essa collegate**
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