Satoyama: dove l’uomo incontra la foresta
Esiste un luogo dove si incontrano le vallate fertili e i pendii scoscesi delle montagne. Non si tratta della natura selvaggia, né delle grandi città costruite dagli uomini. Si tratta, piuttosto, di una linea di confine tra il villaggio e la foresta, dove coesistono i campi coltivati e la fauna selvatica. In Giappone, questo luogo in cui il paesaggio è dominato da un mosaico di boschi, risaie, ruscelli e casupole in legno prende il nome di “satoyama”.
Il termine è scomponibile in due ideogrammi, sato (里) e yama (山), rispettivamente “villaggio” e “montagna”: il luogo dove coesistono villaggio e montagna. In italiano, il corrispettivo potrebbe essere identificato nel paesaggio rurale. Nella cultura giapponese, tuttavia, il concetto va oltre il suo significato più immediato e sta ad indicare un luogo dove entrano a contatto l’ordinario e l’inconsueto. Soprattutto, un luogo dove civiltà e natura coesistono, mescolandosi in modo armonioso.
È questa idea che ha affascinato dei ragazzi di Ivrea, in Piemonte, che nel 2013 hanno deciso di formare il quartetto musicale Satoyama. Una tromba, una chitarra, un contrabbasso ed una batteria a formare un gruppo che, semplificando, si potrebbe definire di nu jazz, ma che fa una musica con commistioni rock, indie e classiche. Il nome Satoyama racconta la loro identità contaminata, di confine tra generi musicali, ed il loro interesse per la crisi ecologica che ha rotto l’armonia tra natura e uomo.
Musica a zero emissioni
Ecologismo e sostenibilità ambientale sono entrambi temi fondanti della musica del quartetto. “Molti artisti nella storia della musica hanno legato la loro opera ad un’idea politica e in un certo senso noi facciamo lo stesso. In questo momento storico ci viene naturale parlare della crisi ambientale: non farlo sarebbe come fingere di non vedere un elefante in salotto”.
Magic Forest, il loro ultimo album, è l’esempio lampante del loro credo. Si tratta, infatti, di un concept album nel quale tutti i brani sono ispirati a tematiche ambientali. C’è la pancia di una balena colma di plastica, la cappa di inquinamento che avvolge le nostre città e l’agonia del gigantesco lago d’Aral, al confine tra Kazakistan e Uzbekistan, destinato a scomparire. C’è, immancabilmente, il cambiamento climatico. Il disco si snoda sulle note malinconiche di “Melting Point”, una traccia sullo scioglimento dei ghiacci artici, ed i toni più inquieti di “One Part Per Million”, sulle emissioni di anidride carbonica; prosegue affrontando lo spettro della desertificazione (“Dry Land”) e l’attesa di un inverno che non arriva mai (“Winter Rise”).
In questi giorni, i Satoyama stanno portando in giro il loro album lungo la Transiberiana, la ferrovia che fende le steppe della Russia da Mosca a Vladivostok, che affaccia sul Pacifico. L’idea originaria era quella di arrivare fino a Shanghai, in Cina, ma le circostanze pandemiche del momento lo hanno impedito. Tuttavia, lo spirito di “Build a Forest” – questo il nome del tour – è rimasto intatto: viaggiare nella maniera meno impattante possibile. L’idea iniziale, purtroppo scartata, era quella di viaggiare su ruota con un carretto pieno di alberi da piantare lungo il percorso. “Quando poi abbiamo scoperto che si poteva fare il tragitto in treno abbiamo pensato che, in effetti, forse era più ragionevole.”
Quello che i Satoyama hanno messo in piedi è a tutti gli effetti un tour a zero emissioni di anidride carbonica. Grazie alla collaborazione con AzzeroCO2, sono riusciti a calcolare quante emissioni di anidride carbonica sarebbero state prodotte dagli spostamenti in treno del tour ed hanno deciso di compensarle finanziando, con l’acquisto di crediti di CO2, un progetto di sviluppo di energia rinnovabile in Cina. “In sostanza, ci siamo autotassati. Un piccolo atto di resistenza civile.”
In “Build a Forest” c’è la curiosità di confrontarsi con culture lontane, il ritmo cadenzato dei viaggi di una volta e la volontà di dimostrare che si possono ridurre le nostre impronte sul pianeta. “E poi c’è la musica, che dovrebbe essere il fine ultimo di un quartetto musicale.” Musica che può contribuire a creare consapevolezza sulle tematiche ambientali, “perché crea empatia, e grazie ad essa un artista riesce a comunicare agli altri le proprie idee.” Attraverso i loro strumenti, i Satoyama si propongono anche di raccontare la necessità di agire di fronte alla crisi ambientale che stiamo vivendo.
Satoyama nell’Antropocene
Tutto ruota attorno alla foresta. Il tour a zero emissioni, l’album, il nome del gruppo. La ragione è che “ci ispiriamo ad un luogo dove tutto coesiste, il più piccolo insetto, l’uomo e l’albero secolare.” Questa idea di interazione armoniosa tra natura e uomo, di coabitazione pacifica tra esseri viventi, è riaffiorata con singolare continuità durante la nostra chiacchierata. Del resto, è ciò cui fa riferimento lo stesso nome del gruppo, ed è un concetto da tenere in considerazione all’alba dell’Antropocene.
Nell’Antropocene, infatti, la coesistenza tra natura e uomo è un dato di fatto. Il 90% degli ecosistemi presenti sulla superficie della Terra è dominato dall’uomo, ed il restante 10% è comunque influenzato dalle attività antropiche e dalle loro conseguenze, come la crisi climatica. Non esiste più, di conseguenza, l’idea di natura come qualcosa di separato ed essenzialmente diverso dagli uomini. Tutti i processi fisici, chimici e biologici dell’Antropocene sono allo stesso tempo naturali ed artificiali: la natura è diventata un ibrido.
Ma forse questo non è necessariamente un male. In fondo ad una natura ibrida, ad un paesaggio che all’apparenza sembra essere naturale ma in realtà è modificato dall’uomo, siamo già abituati. Ci entriamo in contatto ogni volta che passeggiamo in un parco in città, o in un bosco tra le Alpi – che da secoli sono gestiti dall’uomo. Senza dubbio, è ibrido il paesaggio rurale del Satoyama, dove le risaie sono fonte di sostentamento per le specie selvatiche e l’uomo coltiva nella foresta i funghi shiitake. Un luogo in cui la natura ha un valore anche se ibrida – o meglio, ha un valore in quanto ibrida. Un luogo in cui è proprio la coesistenza tra forze naturali ed umane ad essere fonte di ricchezza.
Forse, per affrontare l’Antropocene serve anche riscoprire il segreto di quell’armonia.
Segui Duegradi su Instagram, Facebook , Telegram, Linkedin e Twitter
Add a Comment