I serbatoi di carbonio possono salvarci dalla CO2
Foreste e oceani assorbono il carbonio dall’atmosfera, diminuendo l’effetto serra. In che modo?
L’espressione “serbatoi di carbonio” potrebbe sembrare a molti sinonimo di bacini carboniferi, e potremmo allora associarla a qualcosa di negativo. In realtà, con questo termine identifichiamo tutti i depositi naturali che assorbono il carbonio dall’atmosfera, riducendone la concentrazione e diminuendo, così, l’effetto serra.
L’anidride carbonica (CO2), il principale responsabile del cambiamento climatico, è un gas serra formato da un atomo di carbonio legato a due atomi di ossigeno. Per serbatoi di carbonio si intendono quindi tutti i mezzi che il nostro pianeta ha a disposizione per scomporre la molecola di CO2, sottraendo carbonio dall’atmosfera e rilasciando ossigeno. Si bilancia così la quantità di carbonio emessa da tante altre sorgenti come le industrie, i mezzi di trasporto, o la nostra attività respiratoria.
L’ultimo esempio vi ha fatto pensare alle piante? In effetti le foreste possono essere considerate un serbatoio di carbonio: che le piante “respirino” lo si impara alle elementari studiando i concetti della fotosintesi, e comprendendo, dunque, la loro importanza per la sopravvivenza umana; ci sono però altri serbatoi di carbonio. L’oceano, il suolo, le paludi “respirano” a modo loro, sequestrando carbonio dall’atmosfera e rivelandosi strumenti fondamentali nel mantenimento della stabilità climatica del pianeta.
Le foreste: un enorme bacino di carbonio
Le foreste coprono circa un terzo del suolo terrestre. Se gestite adeguatamente, sarebbero in grado di assorbire, ogni anno, un ottavo del carbonio immesso nell’atmosfera in tutto il mondo. Gli alberi hanno una capacità superiore di trattenere il carbonio rispetto alle piante, perché le loro fibre lo imprigionano più a lungo che le semplici foglie.
Per questo motivo, una foresta rappresenta un enorme bacino di carbonio prelevato dall’atmosfera e immesso nel terreno. Ogni volta che una foresta si ingrandisce, gli alberi crescono o vengono gestiti in maniera appropriata, la capacità di questo serbatoio aumenta.
Al contrario, nel momento in cui una foresta brucia, viene tagliata o si ammala a causa di agenti patogeni, il carbonio catturato nel tempo può tornare a liberarsi, trasformando un serbatoio in una “via di fuga”. Allora, il degrado di un serbatoio come quello forestale diventa ancor più grave, perché una foresta che scompare causa un duplice danno: da un lato il carbonio, prima catturato, è reimmesso nell’atmosfera; dall’altro il meccanismo di sequestro del carbonio viene perduto.
Gli oceani: un equilibrio delicato
Anche gli oceani rappresentano un serbatoio di carbonio importantissimo. Nel complesso, l’assorbimento oceanico avviene attraverso la catena alimentare (resti che si decompongono finendo in profondità) e un processo chimico chiamato “pompa di solubilità”. In breve, l’anidride carbonica si lega spontaneamente all’acqua marina e crea nuovi composti chimici lasciando una parte di carbonio nell’oceano. Il carbonio viene poi spostato dalle correnti e si muove dalle acque superficiali a quelle più profonde, sedimentandosi sui fondali.
Se il concetto è affascinante, l’equilibrio di questo sistema è delicato: l’accumulazione di carbonio negli oceani sta infatti provocando un’acidificazione generalizzata delle acque, con serie conseguenze per molte specie che contribuiscono alla capacità di assorbimento oceanico, ma anche alla stabilità degli ecosistemi naturali. Il sempre maggiore cambiamento climatico rende allora l’oceano un elemento da tutelare anche in quest’ottica.
Per approfondire, leggi anche: “Gli Oceani sono una bomba a orologeria“
Il suolo e le paludi
Anche altri tipi di terreni ed ecosistemi possono sequestrare il carbonio nel terreno, facendolo rimanere nei serbatoi a meno di importanti cambiamenti ambientali, che vanno dai terremoti, alla dissodatura, all’utilizzo intensivo del terreno. La maggiore differenza tra questi serbatoi e i precedenti è che i processi di sequestro del carbonio avvengono, in questo caso, in tempi molto lenti.
Il suolo raccoglie carbonio principalmente tramite l’assorbimento ad opera delle piante, così come grazie ai processi di decomposizione di ogni essere vivente. Una volta sotto terra, il carbonio forma parte del materiale organico terrestre: sotto forma di humus e altri composti, ma anche legandosi ai minerali della terra.
Anche elementi artificiali come le discariche possono contribuire alla formazione di un serbatoio di carbonio nel suolo, per quanto il loro impatto ambientale rimanga comunque deleterio: basti pensare alla decomposizione del cibo o della carta.
Le paludi, invece, pur coprendo solo il 5-8% dei territori esistenti, contengono dal 20 al 30% di tutto il carbonio sequestrato nel suolo, e sono quindi importantissimi serbatoi non tanto per la capacità di assorbimento che hanno, ma per tutto il carbonio che, se distrutte, libereranno nell’atmosfera.
In entrambi i casi, l’utilizzo del suolo da parte dell’uomo mette a rischio la stabilità dei serbatoi di carbonio, perché quando il suolo viene arato e una palude bonificata per creare campi coltivati, il risultato immediato sarà un rilascio netto di carbonio, che invece sarebbe potuto rimanere intrappolato per millenni.
Il quadro generale
Abbiamo allora capito quali siano i maggiori serbatoi di carbonio, e come funzionano. La loro importanza pratica può essere ribadita dai numeri: tra il 2007 e il 2016, ad esempio, il serbatoio terrestre di carbonio (foreste, suolo, paludi, etc) ha sequestrato quasi un terzo di tutte le emissioni generate dall’uomo nello stesso periodo di tempo; nell’oceano, invece, è finito un buon 25% delle emissioni riferite allo stesso periodo.
Il ruolo dei serbatoi nel frenare il cambiamento climatico è allora chiaro ed essenziale, ma dipende in larga misura anche da condizionamenti esterni di cui noi umani possiamo essere i fautori. Per fare sì che i serbatoi di carbonio conservino tutto il proprio potenziale, sarà essenziale preservare le loro capacità. Significa limitare le nostre azioni dirette (deforestazione, cambiamenti nell’uso del territorio) e indirette (continue emissioni) deleterie.
Prospettive: catturare artificialmente la CO2, il CCS
Per completezza, è anche necessario dire che l’uomo è riuscito a sviluppare un meccanismo artificiale di cattura e conservazione del carbonio che si spera possa contribuire a risolvere il problema delle emissioni nel futuro. Si chiama “Carbon Capture and Storage” (CCS) ed è già stato testato in tutto il mondo.
Tuttavia, dal punto di vista pratico, quella del CCS rimane un’opzione costosa in termini di incognite tecnologiche e operazionali. Per questo, la prevenzione del cambiamento climatico rimane un investimento più sicuro e conveniente che scommettere su una possibile cura. Finché i metodi alternativi non si dimostreranno efficienti e stabili, giocarsi il clima oggi per un’ eventuale soluzione futura è un rischio più alto che scommettere al casinò.
**Le opinioni espresse in questo articolo sono quelle dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione di altre organizzazioni ad essa collegate**
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