A woman spins a traditional spinning wheel to produce yarn in Melukote, India. India is on track to achieve two of the three components of its Paris target having already reduced emissions intensity by 21% given its target to reduce emissions intensity of GDP by 33-35% by 2030. Second, with 38% of non-fossil fuel capacity (includes renewables, large hydro and nuclear), India is just 2% short of its 2030 target of 40% of installed non-fossil fuel electricity capacity.  But on the third component, to achieve 2.5 to 3 billion tonnes of carbon dioxide equivalent in forest cover by 2030, much more work is needed, according to a paper by climate experts Anjali Jaiswal and Madhura Joshi.

Le ragioni della sobrietà energetica

Le ragioni della sobrietà energetica

La sobrietà energetica, come categoria dell’azione sociopolitica, consiste nella scelta di una o più persone di ridurre o rinunciare volontariamente a un bene o servizio energetico.

di Ettore Barili

Che cos’è la sobrietà energetica

Concetto molto dibattuto, la sobrietà, intesa come categoria del discorso politico sullo sviluppo, non gode ad oggi di una definizione unanime. Tuttavia, se proviamo a restringere il campo al settore dell’energia, è più facile che politici e ricercatori concordino su una nozione che vede la sobrietà come un approccio complementare allo sviluppo delle energie rinnovabili e all’efficientamento energetico, i due pilastri delle politiche mainstream di transizione energetica.

 

Questi si fondano su soluzioni tecniche e mirano a garantire la fruizione di un bene o servizio riducendo o evitandone l’impatto in termini di emissioni di gas climalteranti. La sobrietà energetica, invece, si fonda sulla scelta di una o più persone di ridurre o rinunciare volontariamente a quel bene o servizio. Pertanto, per dirla con Luc Semal, la differenza sostanziale tra questi due approcci risiede nella dimensione essenzialmente sociopolitica della sobrietà energetica e nella messa in discussione delle abitudini di consumo (parliamo qui ovviamente dei paesi con i più elevati indici di consumo di energia pro capite) che questa nozione porta con sé.

 

Se non affiancate a politiche di sobrietà, infatti, le soluzioni di sviluppo delle energie rinnovabili e di efficientamento energetico hanno il solo obiettivo di garantire gli attuali standard di consumo – e idealmente la loro crescita – abbattendo le emissioni di gas a effetto serra di cui questi sono responsabili. Il presupposto politico di una strategia di transizione energetica fondata esclusivamente su soluzioni tecniche dà per scontato che:

 

  • La domanda energetica della somma su scala globale dei nostri consumi possa un giorno essere soddisfatta interamente dalle energie rinnovabili.
  • Le soluzioni basate su energie rinnovabili ed efficientamento energetico permetteranno di raggiungere l’obiettivo di un’economia mondiale a zero emissioni nei tempi impartiti dagli accordi di Parigi.
  • Qualora ciò si avverasse e riuscissimo ad azzerare le emissioni legate ai nostri consumi, questi sarebbero automaticamente da considerarsi sostenibili.

 

La differenza tra soluzioni tecniche e soluzioni non tecniche di mitigazione può sembrare poco rilevante, ma ci permette di riflettere sulla sostenibilità energetica dei nostri consumi. Le energie rinnovabili e la ricerca di efficienza energetica sono in grado di ridurre le emissioni dei consumi mondiali nei tempi necessari ad evitare derive climatiche? La risposta è “probabilmente no”, e questo per una serie di buone ragioni.

 

Perché la sobrietà dovrebbe essere la priorità delle politiche di transizione energetica

Le ragioni avanzate dai sostenitori del primato della sobrietà energetica nelle politiche di transizione sono molteplici e affondano le loro radici in vari settori, non solo quello dell’energia. Questo appare evidente se si pensa alle varie sfide che la transizione energetica ci impone in termini di consumo di suolo e di materiali. Procediamo per gradi. 

 

La prima grande ragione per cui è necessario che energie rinnovabili ed efficientamento siano coniugati con politiche di sobrietà energetica, risiede nelle differenze sostanziali tra le energie fossili e le energie rinnovabili. Il nostro modello economico, così come la crescita della produzione di beni e servizi, si basa su un tipo di energia dalle caratteristiche molto specifiche e strumentali alla crescita stessa.

 

 

Il petrolio, la più consumata delle fonti fossili al mondo, rappresenta l’archetipo dell’energia super concentrata: 1000 metri cubi d’aria che passano a una velocità di 80 km/h in una pala eolica producono la stessa energia che si ottiene bruciando 3 millilitri di petrolio. Per di più, poche barriere impediscono lo sfruttamento di questa risorsa (almeno per quanto riguarda il petrolio convenzionale, più facilmente estraibile e per questo più redditizio) che, una volta estratta dal sottosuolo, non ha bisogno di essere stoccata.

 

Le energie rinnovabili, invece, presentano diversi “difetti” se paragonate alle fonti fossili. Si tratta infatti di energie più diffuse, l’accesso alle quali è condizionato alla costruzione di un complesso sistema di infrastrutture. Sono inoltre energie la cui produzione è legata a flussi naturali intermittenti, ragion per cui necessitano la creazione di unità di stoccaggio in grado di garantirne la disponibilità permanente. Per non parlare del sistema industriale necessario a estrarre i metalli di cui queste infrastrutture sono composte: tante macchine, ancora oggi fortemente dipendenti dai combustibili fossili, che entrano in gioco. 

 

Certo – non dimentichiamolo – le rinnovabili hanno il grande vantaggio di non arricchire l’atmosfera e gli oceani di gas climalteranti e di evitare derive climatiche capaci di destabilizzare profondamente le nostre società. Per questo motivo, rimangono una soluzione fondamentale da perseguire a ritmo sostenuto. Le differenze tra i due tipi di energia appena illustrate, però, ci danno un’idea della complessità di transitare le nostre economie, i cui forti consumi si fondano su un’energia estremamente competitiva come il petrolio e gli altri altri combustibili fossili, verso un modello energetico fondato su energie diffuse e intermittenti, tanto più se continuiamo a darci obiettivi di crescita economica e quindi energetica.

 

Mentre ci impegniamo per coprire i nostri bisogni energetici con fonti rinnovabili, costruendo le infrastrutture necessarie, la crescita dei nostri consumi rallenta (o nel peggiore dei casi vanifica) gli sforzi realizzati, aumentando i nostri bisogni energetici che senza le infrastrutture adatte saranno verosimilmente coperti dai combustibili fossili.

 

Questo del perseguimento di una crescita annuale del PIL, poi, rappresenta un problema non solo per le rinnovabili, ma anche per la ricerca dell’efficienza energetica. Sia che si tratti di migliorare le performance energetiche dei processi di produzione o ridurre le dispersioni di calore degli edifici isolandoli, il fenomeno che va sotto il nome di “effetto rimbalzo” rende inutile ogni sforzo di mitigazione.

 

Infatti, la riduzione dei consumi associati a un bene o a un servizio porta spesso con sé un aumento della domanda e quindi dei consumi stessi. Banalmente, se le spese di riscaldamento dovessero diminuire, potremmo avere la tentazione di riscaldare il nostro appartamento o la nostra casa di più rispetto a quanto facevamo prima dei lavori di efficientamento energetico.

 

Se a questo aggiungiamo che abbiamo i mesi contati per scongiurare i peggiori scenari climatici – l’ultimo rapporto dell’IPCC ci dà otto anni di tempo per ridurre drasticamente le nostre emissioni – le due soluzioni tecniche, rinnovabili ed efficientamento energetico, non sembrano tutto sommato poterci avvicinare abbastanza velocemente agli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi.

 

Per rimanere entro il grado e mezzo di aumento delle temperature medie mondiali rispetto ai livelli preindustriali, tra il 2020 e il 2030, dovremmo ridurre le emissioni mondiali del 7,6 % ogni anno. Per dare un’idea della portata di un tale sforzo di mitigazione, nel 2020, quando l’economia di una parte importante del mondo è stata costretta a rallentare a causa della pandemia mondiale di Covid-19, le emissioni sono diminuite di 5,8 punti percentuali rispetto alle emissioni prodotte nel 2019.

 

 

Le ragioni a sostegno della sobrietà – lo abbiamo accennato – non si limitano al solo settore energetico: le infrastrutture necessarie per lo sviluppo delle energie rinnovabili comportano, nella maggior parte dei casi, il consumo di ingenti quantità di materiali (litio, cobalto, silicio, …) e di estese superfici di suolo.

 

In questo senso, un’espansione indiscriminata delle rinnovabili non potrà che accrescere le pressioni esistenti su delle risorse finite e strategiche. La pressione sui terreni agricoli, forestali e naturali è destinata a crescere sotto gli effetti del cambiamento climatico e assegnare sempre più terra allo sviluppo delle energie rinnovabili potrebbe mettere a rischio la sicurezza alimentare, ridurre la biodiversità e la capacità del suolo di assorbire il carbonio.

 

La sobrietà energetica, una scelta inevitabile

Un’ultima grande ragione per perorare la causa della sobrietà energetica è che, volenti o nolenti, essa diventerà una realtà diffusa alla quale dovremo adattarci. Lo sappiamo: i combustibili fossili sono energie non rinnovabili frutto di un processo di fossilizzazione della materia organica un milione di volte più lento dell’attuale ritmo di estrazione. Motivo per cui il consumo di queste risorse non potrà che ridursi nel tempo.

 

Dei segnali in questo senso si fanno già sentire. Nel 2018, l’Agenzia Internazionale dell’Energia ha riferito che la produzione mondiale di petrolio convenzionale, che rappresenta circa tre quarti della produzione totale, ha raggiunto il suo picco nel 2008 e non fa che diminuire da allora. Certo, ciò non significa che siamo al riparo da livelli insostenibili di emissioni di gas a effetto serra, essendo le riserve conosciute di carbone e gas ancora importanti; ma ci deve servire da monito circa il futuro delle nostre economie che dovranno inevitabilmente tendere verso una maggiore sobrietà energetica. 

 

La scelta, quindi, non è tra società sobrie o “abbondanti” energeticamente; ma verte piuttosto tra una sobrietà subita e un governo della sobrietà. La riduzione pianificata dei nostri consumi energetici è il mezzo più efficace che abbiamo per tentare di rispettare gli accordi di Parigi e allo stesso tempo preservare stili di vita sani e appaganti.

 

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